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Piccole verità e genio femminile

Piccole verità e genio femminile

Julia Kristeva a Roma - Paludarsi nel mondo maschile della Veriotà o fuggire alla presa? Dialogo, ancora aperto, tra Julia Kristeva e Carla Lonzi

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2006

La sala Montanara è uno spazio decisamente troppo piccolo per ospitare una personalità come Julia Kristeva, nota sia tra le femministe che in ambito letterario e psicoanalista. Io personalmente ci tenevo a non perdermela, e meno male che, arrivando con mezz’ora di anticipo, sono riuscita persino a sedermi, perchè poco dopo la sala straripava di gente in piedi, e l’atrio affollato, la fila sulla strada, avrà certamente scoraggiato qualcuna ad entrare.
Il motivo dell’incontro del 21 marzo scorso è stato il premio “Amelia Rosselli” vinto dall’editore Donzelli, per avere pubblicato Il genio femminile, la trilogia di Kristeva dedicata a tre protagoniste del XX secolo, che si sono distinte nei tre ambiti di interesse della loro biografa: Hannah Arendt (filosofia politica); Colette (letteratura) e Melanie Klein (psicoanalisi).
Stava già parlando l’assessora Mariella Gramaglia, quando i flash impazziti dei fotografi hanno annunciato che Julia Kristeva era arrivata (in ritardo perchè una tv la stava intervistando), e la mia vicina, quasi parlando con se stessa, mi sussurra: “chissà lei com’è poi... voglio dire... veramente”.
Ed è da questo punto in poi che, ricordandomi la lettera che Carla Lonzi scriveva a Julia Kristeva nel 1975 (riportata nel riquadro in questa pagina), la mia mente ha fatto entrare in campo anche lei, la ‘fondatrice’ del femminismo italiano morta nel 1982, che ha trovato subito qualcosa da rispondere a chi mi sedeva accanto: “tradimento sostanziale delle donne che si paludano nel mondo maschile? ”.
Intanto continuavo ad ascoltare relatori e relatrici (Nadia Fusini, Federica Giardini, Pietro Montani, Elisabetta Rasy) che con interventi molto interessanti hanno presentato l’importanza della recente pubblicazione kristeviana, dialogando con essa sapientemente, identificandone punti salienti e collocandola nel più ampio versante culturale.
La mia vicina a un certo punto mi fa: “bella complicata questa qui!”.
E Carla: “La clitoridea è la femminile da scoprire, anzi quella che si scopre da sé, che non appare disponibile all’identificazione da parte di altri, quella che non serve al mondo maschile, quella che parla ma non si sente, quella che sfugge alla presa, ...quella che sta nascendo alla coscienza delle donne, lentamente e faticosamente nell’autenticità di se stessa riflessa nell’altra, mentre tutti la stanno aspettando sul versante culturale del godimento o di un altro analogo destino.” (da Taci, anzi parla, in riferimento a una frase “della Kriteva ne “Le cinesi”).
Certo, pensavo tra me, Julia Kristeva è tutta un’altra persona oggi rispetto a trenta anni fa quando scriveva Donne cinesi, attirando l’attenzione di donne come Lonzi, abituate a pensare in maniera problematica alla propria condizione di donne, a coltivare il senso della propria autenticità e ad accorgersi che la rivoluzione del proletariato non le avrebbe aiutate a liberare se stesse. E nemmeno l’adesione ai partiti di sinistra. E nemmeno il diventare brave come gli uomini, utilizzandone con grande proprietà il linguaggio dotto, fino a, quasi inconsapevolmente, finire col farsi “portatrici di valori paterni” o di “spostare la lotta femminista sul piano delle idee come mezzo di dominio”, come scriveva Lonzi nella lettera mai spedita a Kristeva. E ancora, nel suo diario, il 12 settembre del 1975: “Naturalmente l’impostazione della Kristeva mi ha messo in moto tutto un lavorio mentale. Vorrei incontrarla, parlare con lei. Mi chiedo se si aprirebbe con me. Dove non le credo è in una capacità di godimento diversa dalla mia. Anzi mi sembra una che passa la sua vita a ‘capire’ e a ‘studiare’ molto più di me. Se quella non è trascendenza.....”.
Ma, quando Julia Kristeva inizia a parlare, Carla si ammutolisce dentro di me per fare spazio al presente. E a quel punto l’oratrice pronuncia le seguenti parole: “io mi sono viaggiata attraverso i tre volumi di questa trilogia”.
Poi, pur perplessa per il poco tempo e la probabile stanchezza delle moltissime persone in piedi, non rinuncia a spiegare cosa sta dietro la sua opera. Innanzitutto il femminismo, che lei divide in tre fasi: suffragismo, parità e riconoscimento del “secondo sesso” (di cui Simone De Beauvoir è emblema) e una terza fase, a cui appartiene lei stessa, e che è caratterizzata dal “contributo delle donne alla pluralità del mondo”. Oggi, dice Kristeva, la singolarità e libertà, il “chi” femminile, costituito dell’osmosi di vita, pensiero, corpo, scrittura, e oggetto d’amore che costituiscono una unità costante, la “carne del mondo”, può, e deve, esprimersi in tutta la sua pienezza. Una pienezza che va nella direzione opposta del danno più grave per tutte le società, causa dei mali peggiori: smettere di pensare, non dare più valore al pensiero critico e originale. Praticamente, ciò che Arendt intravide nel nazista Eichmann (La banalità del male), e che sta succedendo adesso in un mondo robotizzato, in cui il marketing ha più valore della vita umana, e che sembra dimentico che la vita non è solo zoe, pura materialità, e non è neanche quella irrilevante “nacque-lavorò- morì”, di geni come Mozart, riconosciuti solo per la sua opera.
Il “genio” delle donne da cui Kristeva si è lasciata viaggiare non è quello “eccezionale”, “divino” dei grandi uomini di genio, ma piuttosto “il rifiuto a lasciarsi ridurre al rango di prodotti o di apparenze... l’invenzione terapeutica che ci impedisce di morire di uguaglianza in un mondo privo di al di là” (cito dal volume su Arendt). Il genio è nella loro soggettività e nella capacità di trovare strade originali e autonome in un mondo che non le prevedeva.
Questa genialità alla portata di tutti (che caratterizza la vita dotata di senso ‘bios’, non ‘zoe’) ha fatto da motore, in modo diverso, alle tre donne della trilogia, portandole lungo processi esistenziali complessi e plurali, come sono quelli di ogni individualità umana. Per Arendt il motore principale era la comprensione: “colei che comprende fa nascere un senso nel quale si legge, trasformato, quello degli altri. Tocca a noi decifrare questo processo del pensiero in azione, che si costruisce-decostruisce”. Per Colette “il godimento continuo e diffuso, scrupoloso e sensuale”. Ma questi sono dettagli, e quando si scrive sulla vita e l’opera di una donna, ci avvisa Kristeva, bisogna stare molto attente a non farne un elenco di dettagli, che possono soddisfare la curiosità di chi legge ma impedire “di vedere insiemi assai più attraenti, ma anche pericolosamente più complessi”.
E questo vale anche per me, mentre mi lascio parlare dentro Carla Lonzi, e ho tutta l’aria di stare criticando l’eccesso di cultura ‘maschile’ nel modo di scrivere (perchè tutte quelle citazioni molto dotte e date per scontate?) e di parlare di Kristeva, anche se mi piacciono le sue idee. Ma l’insieme, pericolosamente più complesso, non si ferma alle critiche e non è fatto di opposizioni bianco/nero, giusto/sbagliato, perchè contiene le “piccola verità” sia di Kristeva che di Lonzi, come di tutte le altre donne come loro, mosse da autenticità, dal desiderio di volere vivere in maniera autentica nel mondo, trovando percorsi originali e rinunciando “a paludarsi nel mondo maschile della Verità”.

da Carla Lonzi Taci, anzi parla, Scritti di Rivolta Femminile, Milano, 1978:
5 settembre 1975. Cara Julia (Kristeva), io credo che il dramma tra noi donne stia in questo: che una parte di noi tenta di funzionare come quella “piccola verità” che tu dici, mentre la maggioranza, per ora, adopra gli elementi di quella piccola verità, scoperta, vissuta, sminuzzata dalle altre, e se ne fa strumento per paludarsi nel mondo maschile della Verità. In questo passaggio si opera un tradimento sostanziale che vanifica la piccola verità e perciò l’esistenza di quelle di noi che si identificano in essa. E vanifica l’azione femminile, poiché l’uomo è portato a riconoscere la donna quando essa gli appare come il fondamento di se stesso, e cioè quando gli garantisce il piano dei valori, quando lo asseconda nella sua opera di rimozione (come tu hai chiarito).
Il femminismo contiene entrambe queste tipologie femministe, ma il fatto che si possa vedere il femminismo esclusivamente come un’autoinvestitura delle donne a essere “la Verità dell’ordine temporale” non fa altro che suffragare la mia ipotesi. Di qui l’odio tra donne. infatti queste ultime finiscono per attivare la sofferenza del misconoscimento nelle altre, la cui autenticità diventa sinonimo di impotenza e di cancellazione di sé. Elettre non sono solo le donne che, dimentiche della guerra tra i sessi, si alienano nella società facendosi portatrici di valori paterni, ma anche quelle che spostano la lotta femminista (analogamente a quanto fanno i femministi) sul piano delle idee come mezzo di dominio. Ora entrambe queste categorie femminili rispondono ai richiami della vaginalità (in senso lato), mentre le donne che agiscono secondo la piccola verità, sono psichicamente clitoridee. Anche le omosessuali possono essere estremamente vaginali. Le donne di cui l’uomo ha parlato e scritto, cioè di cui ha registrato l’esistenza, non sono altra che diversificazioni di vaginali.
L’altra non esiste e il motivo è il motivo è da ricercare proprio all’interno del mondo femminile, che per questo risulta così dilaniato. L’altro femminismo quello di cui non si parla, di cui non si può parlare perchè parla da sé e che vive nei focolai del riconoscimento (in questo senso) fra donne – focolai inutilmente clandestini perché sono da un lato invisibili, dall’altro continuamente mediati dalle volenterose che intendono renderli competitivi, perciò visibili, mentre è l’occhio altrui che deve cambiare – l’unico femminismo che riscatti un nome altrimenti equivoco, è questo. Affrontato individualmente questo scoglio, che per ora collettivamente è insuperabile, resta da vedere in che modo la piccola verità funziona.
(17 maggio 2006)

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