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Piazza della Loggia e la stagione delle stragi, tra omissis e ipocrisia di Stato.

Piazza della Loggia e la stagione delle stragi, tra omissis e ipocrisia di Stato.

Tabù - La vergogna è un’emozione rivoluzionaria. Marx

Emanuela Irace Lunedi, 17/05/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2010

Sono passati 36 anni dalla strage di Piazza della Loggia. Era il 28 maggio 1974, nessun sentimento di vergogna è stato espresso per una ferita ancora aperta, e un iter giudiziario puntellato di assoluzioni. Morirono 8 persone e 94 furono ferite. La bomba era stata piazzata in un cestino di rifiuti, sotto i portici, tra la gente che assisteva a una manifestazione antifascista. Due anni fa, il 25 novembre del 2008, nell’indifferenza generale dei media, è partito il terzo filone di inchiesta per i sei rinviati a giudizio: Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e suocero del sindaco di Roma Alemanno; Delfo Zorzi, attivista nero scappato in Giappone; Francesco Delfino, Generale dei Carabinieri legato ai vertici piduisti e radiato dall’arma per aver intascato parte del riscatto nel sequestro Soffiantini; Carlo Maria Maggi, Giovanni Maifredi, Maurizio Tramonte, nomi di spicco della galassia nera.

L’amnesia culturale, con cui stampa e politica stanno soffocando uno dei processi simbolo della “Strategia della tensione”, legittima l’opinione di continuità nella mentalità di un paese che non ha ancora voltato pagina rispetto a uno dei periodi più bui della propria storia. L’atteggiamento censorio e la rimozione collettiva sul processo di Brescia non rinsalda quel senso di comunità e interdipendenza morale che ci si aspetterebbe dalla politica di uno Stato nazionale sovrano. Eppure sembrava diversa quell’Italia in bianco e nero.

Era l’Italia dell’austerity e della crisi economica, dei mini assegni e della tv a due canali, dello scontro tra industriali e sindacati, di Leone che diventa Presidente della Repubblica grazie ai voti dell’MSI, dei campi paramilitari in cui si allenano neo-fascisti, della domanda di rovesciamento istituzionale con opzione tra Repubblica Presidenziale o giunta militare. Quell’Italia si dibatteva tra due visioni del mondo. Tra una idea di autonomia nazionale e una di tutela all’interno di un sistema di potere più vasto ed economicamente più attrezzato, capace di capovolgere scelte democratiche come in Grecia, Portogallo e Spagna. Il sospetto con cui l’ultima democrazia mediterranea, insieme alla Francia, veniva vista oltreoceano, diventava patente di impunità per gli attivisti dell’eversione nera. Nostalgici della Repubblica di Salò, vertici dello stato e dei Servizi. Massoni e piduisti. Quattro tentativi di colpo di stato in dieci anni: Piano solo (1964), Golpe Borghese (1970), Golpe Rosa dei venti (1973), Golpe Edgardo Sogno (1974). E poi le stragi, tra il ’69 e il ‘74: Piazza Fontana, Gioia Tauro, Peteano, Questura di Milano, Italicus.

È il capitolo buio degli anni ’70, che attraverso il processo di Brescia cerca di scardinare collusioni e depistaggi da parte di pezzi dello Stato, facendo emergere, per la prima volta in un’aula di tribunale, l’implicazione di servizi segreti stranieri nella “Strategia della tensione”. Un sistema cinico e astuto, che attraverso la paura cercava di realizzare un disegno politico: la richiesta di uno Stato autoritario e forte, capace di mettere ordine e far uscire il paese dalla crisi. L’obiettivo dell’attentato di Piazza della Loggia, secondo l’accusa dei pm Di Martino e Piantoni, erano i carabinieri, che solitamente sostavano sotto quei portici. Un simbolo potentissimo, per attrarre accuse contro la sinistra anarchica e far sprofondare il paese nell’autoritarismo. Ma non andò così. Quella mattina del 28 maggio 1974 pioveva e per lasciar posto ai manifestanti i Carabinieri furono spostati nel vicino cortile della Prefettura. Così le vittime furono solo civili.



(17 maggio 2010)

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