Lunedi, 18/11/2019 - Capita, ciclicamente, che ci si trovi a ragionare su quali benefici potrebbero produrre più donne in politica.
Ci pensava ad esempio Mila Spicola su Twitter domenica scorsa, chiedendosi, di fronte alle 46 donne e agli 811 uomini eletti all’assemblea regionale siciliana dal 1946 ad oggi, se le priorità di una simile classe dirigente potessero essere davvero i nidi, la scuole, le spese sociali, il lavoro femminile, lo sviluppo.
Si sa, in Italia siamo un po’ alla disperazione e, come dimostrato nelle ultime tornate elettorali, siamo disposti a votare chiunque ci dia un’illusione, dall’incompetente al farabutto, ma che sia soprattutto un uomo. Tra l’altro, non solo gli uomini votano ben poche donne, che si capirebbe, ma pure le donne stesse, in una dinamica autolesionistica.
Le donne rappresentano infatti il 51% dell’elettorato, una percentuale che basterebbe da sola, se lo volessimo e fossimo convinte, a rivoltare il paese come un calzino.
L’Italia infatti non sarà certamente un paese per donne, ma non lo è neanche per gli/le anziani/e, per i/le bambini/e, i/le giovani, gli/le stranieri/e, i/le poveri/e, i/le disoccupati/e, i/le disabili, gli Lgbt. Andate per sottrazione e pensate a cosa rimane: l’Italia è un paese nel quale vivono molto bene gli uomini, benestanti e/o evasori, di ogni età. Non un grande bacino elettorale in termini numerici, a pensarci.
Eppure è un elettorato, quello maschile e, più o meno lecitamente, facoltoso, che riesce a condizionare culturalmente e politicamente un intero paese, che finisce per votare e far votare, anche alle donne, una classe dirigente soprattutto maschile a propria immagine e somiglianza, con l’obiettivo di portare avanti politiche che, direttamente o indirettamente, lo favoriscono e ne perpetuano il potere.
Le donne che miracolosamente riescono ad essere elette hanno poi pochissimo spazio di autonomia
che, quando va bene, riescono a spendersi su cause circoscritte e poco “pericolose”. Se non sono già state selezionate all’origine secondo criteri di compiacenza e remissività, infatti, ci penserà poi il sistema a far capire loro bene come funziona: o si adeguano o, prima o poi, verranno espulse o si autoescluderanno, sfinite dall’esperienza.
Eppure ci sarebbero così tante possibilità di benessere, sviluppo e crescita se chi ha la maggioranza elettorale del paese, sì, proprio noi donne, riuscissimo a immaginare, a vedere e quindi a votare un’Italia diversa, nella quale i valori delle donne trovassero piena rappresentanza attraverso politiche portate avanti da una classe dirigente femminile e maschile in uguale misura e, soprattutto, simile peso politico e autonomia.
E qui sento già l’obiezione di molti: le donne non sono tutte uguali, non conta il genere, l’importante è che uno/a sia un bravo politico/a.
Mi spiace, vi sbagliate.
E non lo dico io, lo dimostrano e lo certificano, numeri alla mano, tutte le ricerche condotte in mezzo mondo. Certo, a livello individuale, valutando persona per persona è possibile che emergano differenze anche tra le donne in politica tali da arrivare a dire che la differenza di genere non conta: che hanno in comune ad esempio Giorgia Meloni e Laura Boldrini?
Ma questo è un punto di vista particolare che perde di vista il dato collettivo riferito ad una intera classe dirigente, per la quale si media tra gli opposti estremi e si definisce un trend generale rispetto al quale possiamo poi trovare le eccezioni che, però, confermano la regola.
Quindi rassegnatevi, teoreti del “sono tutti uguali”. A livello collettivo, di intera classe dirigente, le statiche e le ricerche ci dicono che le donne portano in politica valori e priorità differenti che, guarda caso, migliorano il benessere di tutti, sì, anche degli uomini. D’altronde, se la nostra esperienza di vita è così diversa sin da quando siamo nate, è normale che anche il nostro sistema di valori sia differente.
E quindi eccoli, i risultati di alcune ricerche internazionali che ci spiegano cosa succede quando le classi dirigenti di un paese sono equilibrate nella presenza di donne (soprattutto se non sono cooptate dagli uomini).
Aumentano le spese per il sociale e per le donne (e per i loro figli maschi e femmine)
Lo sospettavamo, ma le ricerche internazionali confermano che nelle istituzioni dove ci sono più donne elette o nominate ci sono più politiche di carattere democratico/progressista quali ad esempio più diritti civili, parità sociale, meno diseguaglianza in generale e, nello specifico, più iniziative a favore delle donne e delle loro famiglie e figli/e quali ad esempio la parità salariale, il contrasto alla violenza contro le donne, politiche per la famiglia.
A livello empirico può essere utile ricordare come in Italia già nel 2011 nelle regioni dove vi erano più donne elette nelle amministrazioni comunali vi era anche una spesa pro-capite per i servizi socio-assistenziali più elevata.
Migliora la salute e campiamo tutti di più (sì, anche voi uomini).
Un risultato al quale le donne hanno contribuito proponendo una scala diversa di priorità e facendo spendere di più le amministrazioni nelle aree della salute, della prevenzione e dell’istruzione. Che fossero di destra o di sinistra, la ricerca ha trovato comportamenti molto simili, per cui per diminuire il tasso di mortalità è risultato essere più importante votare delle donne che scegliere un partito di destra o di sinistra.
Si litiga di meno e si produce di più
Uno studio ha analizzato 188 paesi nel periodo tra il 1950 e il 2004 e ha confrontato la crescita del PIL di ciascuno rispetto al livello di disuguaglianza e di conflittualità etnica interna, monitorando le capacità politiche di 1.338 leader nazionali, dei quali meno del 5% donne. Ne è emerso che nei paesi più conflittuali per contrasti multietnici le leader donne hanno garantito una crescita del PIL mediamente superiore del 6,6% rispetto ai leader uomini. Le donne sono risultate essere leader migliori soprattutto nelle situazioni di elevata tensione sociale, nelle quali le loro capacità di mediazione, di inclusione e di pacificazione hanno fatto la differenza.
C’è più collaborazione in politica anche in un’ottica bipartisan
Le ricerche confermano che le donne sono più capaci di lavorare in modo collaborativo con i colleghi/e, anche di altri partiti, hanno uno stile di leadership più democratico e meno autoritario degli uomini, sono più efficaci nel costruire alleanze e aggregare consenso.
C’è maggiore capacità di portare a casa un risultato politico
Negli USA una ricerca ha dimostrato che le elette al Congresso riescono mediamente a far arrivare ogni anno ai loro distretti il 9% di fondi federali in più rispetto agli uomini e a far approvare il doppio delle leggi. I risultati della loro attività legislativa sono migliori del 10% rispetto ai loro colleghi uomini in termini di capacità di costruire coalizioni, mediare negli accordi per approvare le leggi, sapersi orientare nelle complessità dell’agenda politica.
1 Le donne sono meno corrotte degli uomini nella vita pubblica e politica
2 Le donne tollerano meno la corruzione degli uomini
3 Le donne hanno un livello di percezione della corruzione più alto di quello degli uomini
4 Le donne hanno meno esperienza di corruzione degli uomini nella vita privata
E se non vi ho ancora convinto con le ricerche internazionali, vi basti una prova empirica che mette a confronto per il 2017 l’Indice di corruzione percepita di Transparency International e il Global Gender Gap Report per i 31 paesi del continente europeo.
Si vede in questo chiaramente come tutti i paesi più progrediti e avanzati sono concentrati nella parte in alto a destra, dove ad una maggiore parità tra donne e uomini corrisponde una minore corruzione percepita.
Riuscite a vedere dove sta l’Italia e in compagnia di quali paesi?
Ecco.
Articolo di Giovanna Badalassi pubblicato il 12 novembre 2019 in Ladynomics
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