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Peshmerga, angeli armati per la libertà

Peshmerga, angeli armati per la libertà

KURDISTAN - Guerriere valorose in prima linea nella guerra contro l’Isis per difendere le loro conquiste. Prima di tutto come donne

Zenab Ataalla Lunedi, 22/09/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2014

 Chi sono le combattenti peshmerga di cui tanto si sente parlare negli ultimi tempi? Cosa fanno?

Qual è la loro storia? Sono solo alcune delle domande che ci siamo fatte alla luce delle recenti e disumane uccisioni perpetrate dall’Isis, l’auto proclamatosi califfato che ben poco ha di islamico, ai danni delle minoranze curde e yazide che abitano l’area settentrionale dell’Iraq.

Letteralmente il termine peshmerga significa “coloro che sono pronti a fronteggiare la morte”.

Nato come un titolo di riconoscimento per gli uomini e le donne che hanno combattuto per uno Stato curdo libero tra Iran, Iraq, Siria, Turchia dopo la Prima Guerra Mondiale, in tempi più recenti il termine viene associato ai gruppi militari curdi, di cui le donne fanno da sempre parte integrante.

Per la popolazione curda, i peshmerga non rappresentano solo i militari che combattono, sono anche gli angeli che proteggono i loro confini e le loro libertà.

Due ruoli che sono andati delineandosi in due momenti storici. Prima con la fondazione del Movimento d’Indipendenza curdo nel 1920. Poi con la nascita della Repubblica curda di Mahabad nel 1946 ed il suo disfacimento un anno più tardi.

Si parla della storia di un popolo, delle sue e dei suoi combattenti che va di pari passo con la richiesta secolare di uno Stato indipendente, il Kurdistan, e del suo riconoscimento internazionale.

Si tratta di una storia nella quale è un dato di fatto che fin dal secolo scorso l’attivismo delle donne sia stato un cardine fondamentale per la causa curda, anche se si tratta di una presenza riconosciuta ufficialmente solo nel 1996, quando i gruppi volontari femminili sono stati formalmente integrati all’interno dell’esercito curdo con il nome di Unità 106, II battaglione.



Ad oggi parliamo di centinaia di donne addestrate presso il quartiere generale di Sulimaniyah nel nord iracheno. A guidarle è il colonnello donna Nahida Ahmad Rashid, per la quale combattere per il proprio Paese è una questione imprescindibile dell’essere curdi. “Siamo peshmerga ed è nostro dovere nazionale proteggere la nostra terra ed ottenere la sovranità nazionale. Siamo qui per una causa ed una missione. Siamo qui per continuare a lottare e proteggere quello che abbiamo raggiunto: il Parlamento, la stabilità e la sicurezza. Siamo qui per realizzare la libertà e la liberazione”.

Sono donne che non hanno smesso di prendersi cura delle loro famiglie se non quando, per necessità militari, devono muoversi in ricognizione nelle zone settentrionali irachene dove è serrato il combattimento contro l’Isis, tra le città di Kirkuk, Daquq, Jalawla e Khanaqin.

Sono mogli, madri e figlie che combattono accanto ai loro mariti, padri e figli senza favoritismi o facilitazioni e che godono dello stesso trattamento degli uomini così come prevede la legge militare curda.

Si addestrano allo stesso modo dei loro colleghi e come loro partecipano alle lezioni di politica, tecniche militari ed intelligence. E allo stesso modo sono istruite ad utilizzare ogni tipo di arma - da quelle leggere a quelle pesanti, dai fucili di precisione alle armi automatiche - in qualsiasi situazione.

Tutto questo perché per le peshmerga la posta in gioco è doppia: non si tratta solo di combattere per l’indipendenza del loro Paese, ma anche di assicurare alle future donne curde uno status sociale che le loro madri hanno conquistato con fatica nel corso dell’ultimo secolo, lottando contro una società patriarcale e maschilista. E sono disposte a farlo anche fronteggiando la morte come le loro antenate insignite del titolo peshmerga perché donne e guerriere, perché coraggiose e valorose.

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