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PERIPLO di NICOLA MANICARDI

PERIPLO di NICOLA MANICARDI

Recensione alla raccolta Periplo di Nicola Manicardi edita da Rupe Mutevole Edizioni

Lunedi, 21/03/2016 - Periplo. Con questo titolo si vuole rimandare a un lirismo eversivo, scomposto e disordinato nel suo insieme ma riorganizzato entro una solida struttura d’indagine che vuole il mondo come rete dei possibili.

Muoversi all’interno del disordinato universo di Manicardi significa circumnavigare le infinite combinazioni del suo movimento. Viene edificata unità laddove la disomogeneità crea caos.

Dinnanzi abbiamo un poeta distruttore e costruttore al contempo, il quale ingrandisce e rimpicciolisce l’ottica del suo sguardo a seconda dell’oggetto della sua analisi.

Tuttavia, già Calvino con Palomar c’insegna che lo sguardo non può coprire l’intera dimensione spaziale in cui è immerso. Le coordinate spazio-temporali risultano non pienamente padroneggiabili: due occhi rimangono insufficienti per salvare dalla dispersione confusa l’ordine degli elementi diffusi nel tempo e nello spazio. Quando se ne catturano due o tre, ecco pronta l’onda successiva a sovrastarle.

C’è dunque nell’essenza di Nicola un vivo atteggiamento di denuncia silenziosa nel quale si intravede una trasfigurazione letterariamente possibile della vita. Un occhio ponderato, scrutatore, talvolta scettico ma sempre languido sognatore.

In Tremens (pag.15) mediante un procedimento di tipo visivo/immaginativo, la mente del nostro autore compie un periplo nella Terra silente. Le palpebre si chiudono disegnando una linea retta… verso il Mondo ma non l’Infinito. Il silenzio del globo interpone brevi distanze, desta il presentimento d’inattesi sconvolgimenti, risponde all’assenza di vitalità e significato in cui vita e morte, egualmente compresenti, coincidono. La tesi è l’atto affermativo a cui corrisponde una frattura. Nel silenzio, la sintesi d’entrambe. L’ampliarsi/assottigliarsi d’ogni percezione. Il denso concentrarsi del tutto in un punto di svolta. La metamorfosi che continua a operare incorruttibile.

In Metamorfosi (pag.28), il divenire viene identificato come effusione di tutto quel che vive e resterà metamorfosi. C’è un solo elemento unificante che abbraccia il corso di tutte le cose. Questo è il mutamento che però non ha potere su se stesso. Non può arrestarsi. Non può fermare il suo corso. Le rughe e la rabbia vanno a braccetto metamorfosi dell’inquietudine. La clorofilla resta dello stesso colore…forse un po’ più acida. Dove un processo metamorfico prende inizio, attesta un confine oltre il quale non può andare. L’inquietudine si modella, ma sempre inquietudine resta. Un tema quella della metamorfosi frequentato anche da Rainer Maria Rilke, ancora capace di innervare le trame della poesia del nostro secolo.

In Vuoto (pag.19), prende corpo una riflessione imperniata attorno a una cosmologia orfica dalla quale il mutamento trae atto. Un bicchiere vuoto, l’inizio della digressione. Il vuoto pieno del suo vuoto che pietrifica ogni estremo razionale tentativo di attribuirgli un senso. Quello stesso vuoto fantasma governatore del Cosmo che continua a operare nella negazione. Soltanto effondendosi in esso, risulta possibile radicarsi nel presente. Soltanto presumendolo tra le cose prime, a fianco a Dio, risulta possibile una

spiegazione. A questo punto, però, s’attesta una brusca interruzione,

ci si pente per non andare oltre la propria rete di domande, Dio non va messo in discussione. Il tutto naturalmente mescolato a una buona dose d’ironia. Così Manicardi prende posizione contro il dogmatismo religioso. Dove la fede è dogma, la sete di conoscenza non assurge a vita.

Il perenne immodificabile intrecciarsi di vita e morte è uno dei punti tematici della poesia Arsenico(pag.35) , in cui si riflette sull’erratico itinerario di corpi distratti. Storditi, frastornati, avvelenati. S’intenta, come in un assurdo kafkiano, un processo alla realtà di cui sono vittime e di cui n’è restituita un’immagine poco nitida, sfuocata, indefinita. Ratti che trovano la morte nei metalli che li hanno traditi. (…) Puttane e uomini spia che, dopo aver consumato un pranzo d’amore, brindano con la morte. Un immaginario quasi baudelairiano, a tinte fosche, forse con un implicito riferimento a quegli uomini da ostello morti per aver baciato prostitute con arsenico sulle labbra. In Bambagia di seta pura(pag.36), il sogno di leggerezza del poeta assume le ali delicate d’una farfalla nata da un bozzolo appena dischiuso sulla camicia d’un secondo personaggio la cui identità non viene chiarita. Al suo interno l’io lirico vorrebbe riposare, come a voler soddisfare il suo bisogno di regressione nel grembo materno e rinascere a nuova vita. L’immane sensibilità poetica di questo artista non si ferma a questa visione suggestiva. Intende dare una definizione della stessa sensibilità poetica. In Sensibilità (pag.37), la stilografica solca quel mare di carta- a cui Nascimbeni accennava in prefazione- sulle note della sola leggerezza dell’anima. Di essa si sostanzia la genialità. Da essa prende forma l’ispirazione poetica. Immobile (pag.49) offre un’evocativa panoramica di un sogno di vita ad occhi aperti. Uno scenario notturno sospeso e immobile in cui gli occhi roteando cercano luce e decifrano quel sogno prolungato fino alle prime tenere voci del mattino.

Beta (pag.46) sintetizza la tendenza al gioco e all’ironia. Beta, ch’la seconda lettera dell’alfabeto greco, panciuta e soddisfatta, non rimpiange di essere prima ad alfa in quanto non ha nessun interesse a primeggiare. Un’esplicita dichiarazione d’umiltà da parte d’un poeta votato a una conoscenza che va oltre le cose perché consapevole della profondità della loro superficie. Infine, per concludere il nostro volo d’angelo sulla raccolta, ho scelto di esaminare un altro testo. Numeri (pag.50) costruisce attraverso lo stile colloquiale tipico del nostro Manicardi una precisa simbologia concettuale venata da un accento di lieve ironia. Proprio come beta, anche un numero pari qualsiasi si trova posposto rispetto a un altro elemento numerico che sistematicamente lo precede. Sempre alla ricerca di un’impossibile unità, l’io lirico generosamente dona un numero pari. Forse proprio perché ordinario, un dono comunemente considerato privo di valore ma non per il poeta che vi scorge nuova poesia: Non voglio che rimanga scordato da solo ma che viva rendendovi utile per ancora contare qualcosa. Di seguito, un numero dispari, monco del filamento che lo teneva legato a quell’altro numero pari dopo di lui, diviene oggetto di apprensioni da parte del poeta, che piano lo prende, e veloce passa in rassegna. Di fondo, c’ è la tenace volontà di tenere inalterato un ordine che così funziona perché è il solo modo in cui può schiuderci innumerevoli possibilità di crescita e trasformazione. Anche se non passa in controluce l’inquieta impossibilità di cogliere la molteplicità dei punti di vista e il perché di vita e morte.



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