Rivoluzioni mancate - “Chi è consapevole della propria forza, perfino l'intero genere femminile, sa che con la forza non si vince”
Giancarla Codrignani Mercoledi, 12/09/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2012
Le donne sono ben sveglie e attive ovunque nel mondo, ma i "poteri forti" - che non sono solo le varie Goldman Sachs - sotterraneamente se ne avvalgono per recuperare posizioni perdute: contro le vecchie tradizioni "di classe", ma anche e, soprattutto, quelle "di genere".
Sull'altra sponda del Mediterraneo le "rivoluzioni dei gelsomini" avevano visto le piazze piene di donne desiderose di buoni cambiamenti per tutti ma anche per sé: le elezioni "democratiche" portano qualche donna al governo, ma velata e ininfluente sul diritto di famiglia mentre le altre corrono pericolo di essere picchiate e violentate. In Germania sono stati offerte remunerazioni alle famiglie che educano in casa i bimbi dell'asilo, a significare che il posto delle mamme è la casa. E non c'è paese in cui la stampa non denunci la costante violenza di maschi-proprietari che uccidono le donne.
"La differenza" ci distrugge? Nessuno lo riconoscerebbe mai, ma nessuno accetta che un'altra percezione del mondo voglia modificarlo. Quindi, il diritto alla parità si conferma purché il modello resti immutato. Non mancano donne che condividono: a che cosa potremmo mai aspirare se non ad avere anche noi parte di quel potere forte che è intrinsecamente maschile?
Tra le mie letture estive un posto particolare ha avuto Limbo di Melania Mazzucco, la storia di una soldata italiana che fa parte della forza italiana "di pace" in Afganistan: verrà ferita gravemente e riportata in Italia da "eroe", un eroe pieno di traumi. Mazzucco è un'autrice che, da Vita a La lunga attesa dell'angelo, è una che sa scrivere sul serio: questa volta racconta come una ragazza diventa "soldata", anzi comandante di plotone, per autentica passione militare con tutto il corredo di disciplina, sacrificio, senso dell'onore. Un'identità paritaria, dunque; che rivela tuttavia che cosa comporta per le donne: "in missione... il corpo si trasforma. È come se recepisse un messaggio dal cervello. Non c'è nemmeno il bisogno di inibirle con una bomba ormonale. Spariscono: le donne diventano soldati, e basta". Infatti le mestruazioni tornano a Manuela quando si innamora e la storia diventa un'altra storia.
Luisa Muraro (Dio è violent, ed. Nottetempo) pensa che lo stato di guerra sia "permanente e normale" e si estenda alle gare, alle esercitazioni, alle opportunità politiche: lo dice oggi mentre, spezzato il contratto sociale, la democrazia e le sinistre hanno scelto la guerra "umanitaria". Ne deriva, da femminista convinta che l'ordine della violenza sia tutto maschile, una dichiarazione: "a chi detiene un potere quale che sia, io non mi presento dichiarando che ho rinunciato all'uso della forza fino alla violenza se necessario". Liquidazione, dunque, della nonviolenza (ideata e diffusa in tempi recenti da uomini, che non sono mai partiti dalla denuncia della violenza di genere)?
Le provocazioni sono sempre utili e servono a far pensare. Tuttavia, anche se - o forse proprio perché - le parole per dire "violenza" sono tante e non a caso in uso da sempre (dominio, comando, potenza, potere, hybris, sopraffazione....), le distinzioni sottili possono essere pericolose. Il femminismo ha tracciato una storia ben precisa degli squilibri di potere che hanno penalizzato le donne, anche se non si propaganda il vittimismo se si dichiara la "nonviolenza" (dando per scontato che anche i nonviolenti picchiano la moglie). Non dimentichiamo che nulla di quello che assume ufficialità e diritto ad essere conosciuto è ancora femminile: le universitarie cercano invano nelle bibliografie dei testi scientifici dei colleghi il proprio nome, come le madri e le nonne nei libri dei liceali cercano invano menzioni di storia delle donne.
Il rischio di diventare - tutti e tutte - ostaggi della legge del più forte è, forse, "il" discorso politico più rilevante oggi. Ma non è una buona ragione per ritenere che la nonviolenza "cerca di addomesticarci e dà addosso ai movimenti". Nessun contratto sociale ci ha mai davvero comprese, nessuna rivoluzione, nessuna democrazia: se non conoscessimo le nostre storie, ci basterebbe guardare ai paesi di "nuova democrazia" e le rivoluzioni dei gelsomini. Se poi uomini e donne di potere sono ancora così irresponsabili da produrre nuove guerre (i rischi sono vicini), noi della società civile abbiamo meno impegno di trent'anni fa contro il commercio delle armi (chi sa qualcosa di Finmeccanica?) e non riusciamo a fare politica di proposta. Diamo pure la colpa al limite umano, alla non-providenzialità di dio, all'ignoranza dei più che disconoscono il senso della rappresentanza, ma non evochiamo la "forza": rientreremmo nella logica amico-nemico. Chi è consapevole della propria forza, perfino l'intero genere femminile, sa che con la forza non si vince. Per questo la democrazia è, in sé, debole - come la ragione. Il rischio è aiutarla a perdere.
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