Camilla Ghedini Sabato, 26/04/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2014
Sono le 19.30 di una domenica primaverile, ho appena finito di pulire in casa, ho portato all’isola ecologica la spazzatura - sperando di non essere stata vista coi sacchi in mano - sono davanti al pc e sento vibrare il cellulare. È Caterina, una delle mie più care amiche, che via sms mi annuncia di avere finito Le difettose (Eleonora Mazzoni, Einaudi) e di averlo molto apprezzato. Io, che il libro lo avevo preso in mano tempo fa, attratta dal titolo, rispondo che sarà presto sul mio comodino. Ricordo che tratta di maternità mancata e fecondazione assistita, un tema che mi affascina. Intanto penso al concetto di ‘difetto’. Guardo il vocabolario, uno di quelli vecchi, jurassici, uno Zingaretti del 1959, senza alcun neologismo, che mi ‘traduce’: “mancamento, colpa, peccato, errore, vizio”. Incupita, vado su Google, al Wikizionario, e mi imbatto in “mancanza, scarsità”. Caspita, con una buona dose di ironia mi sono sempre definita ‘difettosa’, soprattutto in rapporto alla mia vita sentimentale, e solo oggi mi accorgo di essermi presentata come un orologio senza la pila! Mi faccio la doccia, devo fare scorrere l’acqua sulla testa, riacquistare il filo. Nulla. La mia mente se ne va a quando trentenne sfottevo gli uomini senza una fidanzata e li definivo difettosi perché, dicevo, se uno a quell’età è solo qualche problema deve averlo. Trascorsi alcuni anni, trovandomi io nella condizione di cui sopra, e non volendo, ovviamente, che mi fosse applicato il principio di reciprocità, ho cominciato a definire me stessa ‘difettosa’. Il tutto attribuendo però all’aggettivo un non so che di agrodolce, che non avesse solo il valore dell’assenza, ma addirittura dell’abbondanza. Perché si sa, c’è una fase sciocca nella vita di una donna in cui prevale la convinzione che gli uomini non vogliano stare con noi perché noi siamo ‘troppo’. Troppo intelligenti, troppo belle, troppo indipendenti, troppo divertenti. A differenza di quelle che poi loro si sposano, che sono invece banali, sciatte, senza aspirazioni, tristi. Così concepito, ‘difettosa’ equivale a ‘non ordinaria, non pesa, non banale’. Anzi, a ‘originale’. Chi come me ha visto e rivisto tutte le puntate di Sex and the city, sa che le vicende delle 4 amiche di New York hanno contribuito a crearci alibi fantastici e a spingerci verso una illusione/presunzione che oggi mi pare molto chiara. Riavvolgo il nastro. Tra le ovvietà di cui nell’adolescenza ti riempiono la testa c’è la massima ‘lui ti deve amare per come sei, anche coi tuoi difetti’. Allora il concetto di difetto ce lo inculcano dentro, mi dico! Perché tutto suona come un ‘nonostante’! Da adolescente il tuo ‘moroso’ ti deve amare nonostante i brufoli, nonostante tu sia grassa, nonostante ti vesti male, nonostante a scuola non sei una cima. Da grande, invece, il tuo amato metterà l’anello al dito di un’altra nonostante tu sia bella, nonostante tu sia magra, nonostante tu sia sempre all’ultima moda, nonostante tu sia realizzata. E se invece starete insieme, ma non felici e non contenti perché il figlio desiderato non arriva, per consolarti ti diranno che non devi sentirti in colpa, anche se forse sei … difettosa! Insomma questo è. Bisognerebbe solo prenderne atto senza farsi sopraffare dall’insicurezza. E pensare anzi che forse è meglio così perché come direbbe la bistrattata Santippe, cui la storia di difetti ne ha elargiti in quantità, a partire dalla petulanza, ‘io sto con uno, Socrate, che tutti pensano perfetto, ma certi giorni, ragazza mia, è una gran noia. Con uno difettoso mi divertirei molto molto di più’.
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