Lunedi, 20/01/2020 - Se è vero che nel corso del tempo la kermesse del Festival di Sanremo ha avuto come leitmotiv la ‘leggera’ missione di dare spazio al meglio della canzone nazionale, è altrettanto assodato che il fenomeno ‘canzonette’ (parafrasando Edoardo Bennato) non ha mai nascosto il suo lato pesante.
Chi sostiene che politica e temi sociali siano altro rispetto alla musica mente, soprattutto nella contemporaneità, dove la musica è ormai confezionata da immagini veicolate da video spesso più potenti e importanti delle stesse parole delle canzoni. Quanto questo continuo massiccio bombardamento iconico pesi, e impatti, sul rafforzamento o lo smantellamento degli stereotipi di genere è un dato di fatto inequivocabile.
La ormai lunga storia del Festival, sin dai suoi esordi, racconta di dibattiti, polemiche, veti incrociati, avvenimenti costruiti ad arte ed imprevisti, che comunque a torto o a ragione, ne fanno un evento al quale rivolgere grande attenzione.
Per questo chi lo conduce ha una grande responsabilità quando sceglie le parole che pronuncia da una tribuna così vasta, specialmente se parla di donne, uomini, valore delle persone, bellezza e talento.
Per questo mi piacerebbe che il mio quasi coetaneo Amedeo Sebastiani, in arte Amadeus, apprezzato per la sua indubbia competenza musicale e per la sua garbata conduzione di trasmissioni rivolte al grande pubblico venisse in una qualunque delle occasioni nelle quali incontro i ragazzi e le ragazze italiane nello loro classi. Per toccare con mano quanto sia decisivo scegliere con attenzione le parole che, inevitabilmente, mettono al mondo il mondo.
Quando vado nelle scuole a fare formazione su stereotipi di genere, violenza sulle donne e relazioni nonviolente tra i sessi verifico sempre, indipendentemente dal tipo di istituto superiore, un ostacolo primario: la diffidenza nei confronti dell’analisi critica dei messaggi dei media. Se parli di ‘sessismo’ nelle immagini, da quelle della pubblicità passando per internet o le trasmissioni tv il primo impatto, sempre, è una obiezione verso questa critica e questo disvelamento: non staremo esagerando? In fondo che male c’è a mostrare belle ragazze poco vestite e solitamente mute, in tv, nei tabloid, in rete, sui cartelloni pubblicitari? Sono belle, le pagano, che impatto può avere sulle nostre vite e le nostre scelte, la nostra autostima tutta quella esposizione di carne, sorrisi e allusioni più o meno velatamente sessuali? Non si potranno più fare complimenti sull’aspetti fisico?
I ragazzi e le ragazze che incontro hanno dai 16 ai 19 anni, hanno già consolidata familiarità con internet, la sua straordinaria ricchezza e l’altrettanto pericolosa insidia, ma senza voci adulte che porgano loro strumenti di autodifesa critica nei confronti della banalizzazione della complessità sono vulnerabili ai messaggi, non innocenti, che veicolano pregiudizi, stereotipi e quindi aprono le porte alla violenza, legittimandola. Recentemente, in un istituto di Erba, il dibattito a partire dal video Parole d’amore con tre classi di quarta liceo è stato acceso e contrastato: all’inizio la maggior parte dei giovani ha negato che l’escalation di frasi sempre più aggressive, e comunemente ascoltate e riprodotte nel colloquio quotidiano fosse ‘grave’. Poi lentamente, quando si è rotto il silenzio da parte di chi invece aveva vissuto sulla pelle l’impatto di quelle espressioni fino a quel punto giudicate inoffensive, è emerso quanto le parole possono ferire, anche quando apparentemente sembrano irrilevanti. Quanto pesa sulle ragazze la pressione esercitata dalle immagini che le circondano mostrando la bellezza esibita, evocata, proposta come primario elemento fondativo della femminilità e del suo valore? Quanto conta, nell’inconscio individuale e in quello collettivo, il fatto che una donna venga considerata prima di tutto per come appare piuttosto che per quanto vale nella sua professione, per quando conosce, sa, pensa, determina nel mondo?
Non ho dubbi che Amedeo Sebastiani, in arte Amedeus, sia in buona fede quando dice che voleva fare un complimento evocando la bellezza delle donne scelte per affiancarlo nel corso delle giornate del Festival. Il punto, tornando al contesto e alla responsabilità, è questo, in poche parole: c’è un tavolo altamente mediatizzato con un uomo al centro, molto potente nel suo ruolo di conduttore, circondato da alcune donne che, al di là di che cosa fanno nella vita, sono presentate solo come ‘belle’; una di loro, ammette l’uomo al centro, non la conosce ma l’ha scelta perché è ‘molto bella’ ed ha, come caratteristica principale, di essere la compagna (in secondo piano e ad un passo indietro) di un grande personaggio. I complimenti fanno sempre piacere, ma bisogna sapere distinguere il contesto nel quale porgerli, soprattutto avendo consapevolezza che è più facile mancare di rispetto ad una donna piuttosto che ad un uomo quando si fa un complimento, se hai la testa girata verso i secoli passati.
Come cantava Gaber, correva l’anno 1991, nella sua Un’idea, raccontando l’inconscio degli uomini in superfice moderni: ”Aveva tante idee, era un uomo d’avanguardia, si vestiva di nuova cultura, e cambiava ogni momento, ma quand’era nudo era un uomo dell’Ottocento”. Ci trovate qualche assonanza?
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