'Per una donna' è la storia del primo desiderio omosessuale di una quarantenne. Un desiderio che travolge in un attimo decenni di matrimonio, decenni geologici di una normalissima e monotona vita coniugale
ATIR Teatro Ringhiera, (già vincitore del Premio Hystrio per la sua attività), sul palco del Teatro Due di Roma, mette in scena (per la rassegna di Francesca De Sanctis) una vera e propria "psicomachia".
Lo spettacolo - della drammaturga Letizia Russo, curato dal regista Manuel Renga e supervisionato da Serena Sinigaglia - non può dirsi davvero un monologo, somigliando semmai ad un dialogo. Chi parla, chi risponde, chi lotta, chi si lacera e macera dentro a un dissidio che sembra irrisolvibile, è l'attrice Sandra Zoccolan nei panni di una quarantenne che affatto inaspettatamente scopre di nutrire desideri, potenti e adulterini, appunto, “Per una donna”.
Lei, sdoppiata e dimezzata nel tribunale psicologico di pulsioni e censure: si interroga, si dispera, si sfinisce, si arrovella, benché forse da qualche parte, internamente, supponga persino di assolversi.
Quello che è successo è inammissibile, inaccettabile: una donna, sposata, ormai avvezza ad uno stile di vita coniugale rodato e collaudato (ritmato dalla routine della spesa, delle faccende di casa, del lavoro e delle notti forse tenere ma non più passionali), si ritrova implicata in un'avventura sessuale che non riesce a sbiadire in un blando secondo piano. Emerge dallo sfondo come un peccaminoso e goduto misfatto, senz'altro da ripetere. Questo è il dilemma.
Il sipario si apre su un originale folto di cavi e microfoni (utili per le ingegnose trovate di echi e riflessi acustici che guidano lo spettatore in una vera scenografia sonora dai momenti musicali e polifonici) che amplificano, letteralmente, la lotta interiore della protagonista.
Banalmente, si sa, i matrimoni finiscono: al comparire di certe tracce di rossetto, il copione è quasi obbligato. Ma che dire di quei matrimoni che saltano prepotentemente in aria quando a slacciarsi sono un paio di reggiseni per volta, fra soli gambaletti e autoreggenti? Come si fa a preferire un quotidiano castigo (questo è il diffusissimo e "normalissimo" matrimonio? la tomba del desiderio?) ad una deflagrante smania che è esplosione di sensi e iperbolica sintonia (questo è il lesbismo?)?
Adagiato su fondamenta deprivate di senso, il matrimonio di lei è roba usata e inventariata. La novità, traumatica, shockante, conturbante... sta ora dentro una camicetta attillata, sotto un pantalone unisex a tasche larghe che passeggia sull'altro lato del marciapiede. "Lei", divisa, ma forse anche sdoppiata nella controversia psichica, ragiona e sragiona... argomentando ad intermittenza sulla libertà e sulla morale, passando cioè, fra continui ripensamenti e ritrattazioni, da un disperato "perché?", ad un possibilista "perché no?".
"Per una donna", insomma, è uno spettacolo ironico, trascinante, sicuramente inquieto, per sprazzi addirittura tenero o imbarazzante. Lo spettatore, giudice empatico, vi osserva l'imprevedibilità di un'infatuazione, il capriccio di Cupido, ma anche una comica e tormentata, se possibile, "filosofia nel boudoir".
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