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Per non tornare indietro.

Per non tornare indietro.

UDI - Un Protocollo di intesa tra associazioni di donne.

Colanicchia Ingrid Martedi, 10/11/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2009

È tempo di unire le forze: ci sono questioni che dimostrano l’opportunità e l’utilità di uno scambio diretto tra associazioni di donne. È forse questo il risultato più significativo del comunicato sulle pensioni delle donne diffuso congiuntamente da Udi e Affi (Associazione federativa femminista internazionale) nel luglio scorso e sottoscritto anche da altre associazioni di donne. Un esperimento che ha indotto l’Udi a mirare più in alto e a proporre alle associazioni interessate un incontro, svoltosi a Roma il 24 settembre scorso, in vista della firma di un Protocollo d’Intesa. Per approfondire le prospettive di questo percorso (la cui prossima tappa, aperta a tutte le donne e le associazioni di donne interessate, sarà a Roma, presso la Casa Internazionale delle donne, il 30 novembre) abbiamo intervistato la delegata nazionale dell’Udi, Pina Nuzzo.



Come è nata l’idea di un Protocollo di Intesa? Cosa vi ha indotto a pensare che i tempi fossero maturi?

Per l’Udi l’idea di avviare un Protocollo di intesa tra le associazioni di donne nasce dalla necessità di ridefinire ad ogni passo il pensiero da comunicare, il linguaggio da usare e le azioni politiche da intraprendere.

Nelle campagne già avviate – 50E50… ovunque si decide!, Staffetta, Comitato quando decidiamo noi e la recente richiesta di Moratoria cittadina contro le pubblicità lesive della dignità della donna – abbiamo mostrato particolare attenzione per la presenza e il contributo reale di altre Associazioni, perché l’efficacia di un’azione politica si misura sempre dall’ampiezza dello spostamento, reale e simbolico, che riesce a produrre.

Queste campagne affrontano il nostro essere donne oggi: qui e ora si sarebbe detto un tempo! E lo fanno da diverse angolature, senza mai perdere di vista l’interezza di una donna: la rappresentanza, la violenza sessuata e il femminicidio, le questioni legate al corpo e alla sua autodeterminazione, lo spazio pubblico, con i suoi cartelloni pubblicitari, determinante per le pulsioni contro le donne.

Abbiamo avviato tutto questo prima di tornare sulla parola ‘lavoro’ perchè sono cambiate le donne ed è cambiato il lavoro.



Dalle pensioni al tema del lavoro, centrale nell’incontro del 24 settembre, il salto è stato breve, quali impegni per il prossimo futuro?

Se ci guardiamo indietro, se ripensiamo alle battaglie del movimento di emancipazione, possiamo dire che abbiamo fatto molta strada e vediamo quanta attenzione, quanta fatica, quanto pensiero politico abbiamo speso per definire nel tempo i diritti e i doveri della lavoratrice e della lavoratrice madre.

Forme che oggi ci appaiono puramente assistenziali erano già i primi elementi di una nuova cittadinanza.

Si tratta ora di capire cosa abbiamo guadagnato, cosa abbiamo perso per strada e da dove ripartire per individuare nuove pratiche politiche, possibilmente collettive, a partire dalle Associazioni di donne. Collettive non significa “quante più siamo meglio è”. Perché non sempre questo modo di fare numero riesce a fare opinione, basti pensare alle innumerevoli reti di donne sparse sul territorio. Né le donne possono essere pensate oggi – se mai lo sono state nel passato – come una categoria unica, sindacalizzabile e/o tutelabile, in quanto tale.

Occorre prima di tutto rileggere insieme un nodo teorico e politico che ha una ricaduta pesante sul lavoro e sulla vita di molte di noi e, infine, sull’organizzazione sociale che ne deriva: quello che viene chiamato il “doppio lavoro delle donne”. Non è il tempo della riflessione come analisi intellettuale, questo è il tempo della riflessione sulle conseguenze delle azioni e delle scelte fatte.



Quali aspettative l’Udi ripone in questo percorso appena iniziato?

Sono tempi di debolezza del potere maschile, minacciato da vicino dai suoi propri errori e incontinenze, e anche dalla potenza femminile che vuole emergere e prendersi una vita. Il potere maschile, minacciato dalla potenza femminile, ricorre all’uso della violenza, quando i mezzi legittimi non sono più sufficienti a garantirne continuità permanente.

“Il dominio per mezzo della pura violenza entra in gioco quando si sta perdendo il potere” diceva Hannah Arendt, e i mezzi per l’esercizio della violenza sono molti, e nell’epoca della multimedialità globale e dei mercati globali con gestione a liberismo sfrenato, ancor di più.

Accade spesso di sentire donne inveire contro giovani aspiranti o facenti veline, senza che vedano il meccanismo del sistema che le crea. Le donne non vinceranno mai se risponderanno all’intolleranza del sistema globalista maschile con altrettanta intolleranza Ma se sapremo creare un sistema di valori realistici, veramente laici, sì, dotati di radicalità e misura e senso di realtà inoppugnabile, sì.

Così potremo decidere di porre argine e fermare il processo coatto di “normalizzazione” della donna.



(10 novembre 2009)

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