Referendum/ Il sondaggio di maggio - Ecco i risultati del sondaggio del sito di 'noidonne' e le riflessioni delle nostre amiche 'naviganti'
Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2006
E' indubbiamente complicato, spesso poco chiaro tanto da richiedere un’informazione diversa da quella a cui assistiamo. La percezione è che i politici non si impegnino troppo su questo versante. E’ però un tema che interessa tutti i cittadini, donne e uomini. Sarà dunque necessario comprendere meglio gli ambiti trattati dalla riforma costituzionale e andare a votare il prossimo 25 e 26 giugno
L’83% di coloro che hanno risposto al sondaggio di noidonne ritengono che il referendum sia una pratica democratica per manifestare la volontà - di elettrici ed elettori – in merito tematiche molto importanti che possono modificare le regole del Paese.
E’ un modo di confermare la preferenza dichiarata alle scorse elezioni per il 7% delle/dei rispondenti, mentre per il 10% è ancora un qualcosa di ancora poco chiaro, per la quale sarà necessario approfondire ancora, prima di effettuare la scelta.
Nella totalità delle risposte si rileva che, per chi ha risposto, il referendum costituzionale di fine giugno dovrebbe interessare tutte e tutti. Alcune si soffermano sul fatto che per le donne c’è un interesse particolare visto che normalmente “rischiano di essere le prime a rimetterci”. Oppure perché danno “grande valore al voto, conquistato da soli 60 anni” o semplicemente per il fatto di essere “abituate ad effettuare scelte dopo aver ascoltato il parere di tutti”.
Dall’informazione si vorrebbe maggiore chiarezza. Non le chiacchiere confuse dei talk show, ma un’informazione netta e completa su come cambierebbero le regole se entrasse in vigore questa riforma.
Per avere ciò non è indispensabile che vengano prodotti “chili” di carta stampata, ma poche chiare frasi che evidenzino il prima e l’eventuale dopo, insieme ai rischi possibili. E magari anche la risposta alle domande: “la riforma aiuta a costruire un Paese migliore?”, “rende i cittadini più partecipi e meno sudditi?”, “è giusta?”, “è equilibrata la suddivisione dei poteri?”.
Qualcuno tra quelli più informato vorrebbe che si evidenziasse la perdita del ruolo di garante del Capo dello Stato, il caos in cui potrebbe piombare la Pubblica Amministrazione. Ma anche cosa potrebbe essere fatto dopo il referendum.
Quello che emerge con prepotenza è che la situazione presenta diversi lati oscuri: se chi ha risposto dichiara implicitamente che andrà a votare, non è però certo/a che questa sarà la decisione di tutte e tutti.
Da qui la richiesta di maggiore informazione, che diviene importantissima per promuovere l’attenzione ad un tema così importante, articolato e complesso nelle sue implicazioni giuridiche, che appare spesso scarsamente compreso dai più che ci circondano.
Più informazione dunque, linguaggi semplici, schematizzati in modo da capire velocemente su cosa si sta chiedendo un voto.
Ed il timore di alcune in merito alla comprensione si manifesta anche nel suggerire una semplificazione della scheda referendaria: il si e il no, sostengono, inducono in confusione. “Perché non scrivere chiaramente che intendiamo non accettare/accettare la riforma elettorale?”. Questo eviterebbe molti errori.
E’ alla domanda “mi piacerebbe che i politici …:” che si registrano le risposte più corpose. Si rileva una sorta di critica all’operato dei nostri rappresentanti al Parlamento.
Da un lato si vorrebbe che “facessero, oltre a parlare” o che “partecipassero maggiormente al dibattito sui valori della Costituzione”, “che incontrassero di più le persone” e che “comunicassero più valori che ideologie” “parlando al popolo con onestà intellettuale” che “pensassero al bene della gente e non solo al loro”.
Si richiede loro di promuovere la partecipazione, soprattutto quella dei giovani, con la pratica della chiarezza mediante l’uso di un linguaggio semplice, a differenza di quello “criptico” che viene fino ad ora esercitato. Occorre portare le istituzione a “portata delle cittadine e dei cittadini”. Dovrebbero “sforzarsi di far sentire le Istituzioni il luogo dell’agire della cittadinanza attiva”.
(16 giugno 2006)
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