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Per me il lavoro rappresenta

Per me il lavoro rappresenta

Sondaggio di aprile - Dalle risposte delle lettrici e dei lettori ecco il commento all'approfondimento del mese

Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2006

Una recente ricerca condotta in Italia, Spagna e Francia, è stato misurato il differenziale salariale fra donne e uomini. Il nostro Paese, purtroppo, registra ancora le percentuali più alte: le italiane presentano lo scompenso maggiore con una differenza del 28,7% nel settore privato, contro il 26,9% delle spagnole e il 14,5% delle francesi. Le dirigenti in Italia sono solo il 9,6% del totale, il 17,2% dei quadri. Eppure studiano di più ed hanno risultato spesso migliori di quelli dei colleghi di sesso maschile. Il 78,1% delle donne ha conseguito il diploma di scuola superiore (contro il 67,8% dei maschi), e il 56,2% degli studenti universitari è di sesso femminile.
Si impegnano in gioventù, coltivano la formazione continua in autonomia (perché la formazione aziendale favorisce maggiormente l’altro sesso), hanno maggiori aspettative dal lavoro ma da questo, spesso, rimangono deluse.
Questo emerge anche dal sondaggio del mese. Solo il 14% ritiene che il lavoro sia “un male necessario”, le risposte rimanenti si polarizzano tra le risposte “è un modo per mettere a frutto le mie competenze, per ottenere riconoscimenti, per dimostrare che valgo” (43%) e “pur in condizioni non idilliache, rappresenta un’opportunità di indipendenza economica e di riconoscimento delle mie abilità” (43%).
Le nostre lettrici nel lavoro vorrebbero trovare soddisfazione personale ed economica, un luogo ove realizzare le proprie potenzialità professionali. Ma anche rispetto, valorizzazione delle competenze e non della disponibilità incondizionata, lealtà, non discriminazione ovvero parità di opportunità per donne e uomini. Insomma, anche la possibilità di progredire, visto che siamo brave.
Infatti non vorrebbero dover incontrare quotidianamente ambienti ostili e poco attenti alle persone, competizione esasperata e sleale anche fra donne, sfruttamento, discriminazione, non valorizzazione delle qualità personali. Per chi ha figli, magari alle soglie dell’entrata nel mercato del lavoro, nasce il problema di spiegare ai giovani che nella vita lavorativa gli affetti possono essere un impedimento alla carriera, che la bravura ha una valenza non sempre prioritaria tanto che – a differenza di quanto avveniva a scuola – talvolta non viene riconosciuta.
Ma se il lavoro nobilita l’uomo, vale lo stesso concetto quando parliamo della lavoratrice?
Pur riconoscendo l’opportunità di una maggiore indipendenza economica, emerge la fatica della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, così come i sensi di colpa nei confronti dei figli, le difficoltà che possono portare ad avere problemi anche con il partner.
Insomma, il lavoro è importante ma parlare di soddisfazioni è ancora difficile in presenza di tante discriminazioni. E “se la donna diventasse più furba”? chiede una lettrice. Forse la furbizia da sola non basta, sicuramente un potente lavoro contro la discriminazione, la promozione di una reale parità e il sostegno per donne e uomini di un welfare attento ai cambiamenti della società, potrebbero dare una mano.
(27 maggio 2006)




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