Sondaggio di febbraio - Le risposte al domandone del mese illustrano la percezione di lettrici e lettori sull'argomento
Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Quasi la metà delle risposte (48%) attribuiscono al termine “Pari Opportunità” il significato di “una maggiore sensibilità e più rispetto” - probabilmente nell’approccio ai problemi – “verso i soggetti meno tutelati”, ed il 28% lo lega a “nuovi diritti per tutte/i”.
L’8% ritiene che i significati possano essere molteplici, con risultati presenti solo quando a promuoverle sono “persone capaci”, per il 12% sono “chiacchiere e niente altro”, mentre il 4% non ne conosce il significato.
Parlare di “Pari Opportunità per tutti” , e non solo “di genere” significa “vivere meglio tutti”, o semplicemente rispettare quanto indicato nella Costituzione italiana “dare a tutti uguali opportunità di partenza”, e comunque promuovere “un avanzamento della società nel suo complesso”.
In molte risposte si legge un desiderio di tenere legati i termini alle questioni di genere, forse per abitudine, forse per un’accresciuta percezione dei pericoli di tale discriminazione. In alcuni casi vengono riportati esempi della propria vita vissuta (di penalizzazioni nell’avanzamento di carriera, nel riconoscimento di incentivi economici, o altro) per i quali è d’obbligo il rimando alla Consigliera di Parità del territorio di competenza.
Far fallire le Pari Opportunità non appare esser troppo difficile: basta essere immobili, sfruttare la situazione, ridurre il tutto alla “solita questione femminile”, accontentarsi della parità formale senza preoccuparsi di realizzare quella sostanziale, rifiutare ogni sorta di innovazione e magari seguire “la legge della giungla”, per la quale lasciare i disgraziati (o le disgraziate) al loro destino.
Se leggiamo queste risposte al contrario, possiamo trovare molte indicazioni per agire. Occorre fare, tentare, sperimentare, innovare, esigere il cambiamento. Ogni passo avanti lo sarà non solo per chi lo ha fatto, ma per l’intera società. "Le nostre differenze sono la nostra forza” sostiene l’Unione Europea, e “affinché i cittadini possano beneficiare pienamente della ricchezza di competenze, di talenti ed idee, la partecipazione ed l’ inclusione di tutti è assolutamente essenziale”
Già nel 2005 la Commissione, attraverso un rapporto di studio, ha avuto modo di evidenziare come l’introduzione della diversità nell’ambito del lavoro possa portare a vantaggi economici alle imprese. Quelle che hanno sperimentato sostengono che la diversità non è né un argomento morale né qualcosa di dovuto solo in termini di obblighi di legge. Infatti nell’83% dei casi studio effettuati in ambiti lavorativi in cui era stata messa in pratica una politica della diversità, questa si è trasformata in un vantaggio commerciale per l’azienda. In gennaio a Berlino si è aperto ufficialmente l’anno delle Pari Opportunità. Il logo scelto, nell’intenzione riuscita degli ideatori, intende sottolineare alcuni punti chiave del pensiero dell’Unione Europea sul tema. Rappresenta infatti: la diversità degli europei ma allo stesso tempo l’uguaglianza, lo spirito aperto, la cooperazione, la convivialità, il rispetto, la gioia/la celebrazione della diversità. Infatti gli obiettivi dell’anno sono: la sensibilizzare donne e uomini in merito ai loro diritti di uguaglianza di trattamento senza discriminazioni, per quel che riguarda il sesso, la razza, la loro origine etnica, la loro religione o le loro convinzioni, l’eventuale handicap, la loro età e il loro orientamento sessuale, la promozione delle pari opportunità per tutti; lo sviluppo del dibattito sui vantaggi della diversità, sia per la società europea sia per gli individui.
Per riprendere quanto suggerito in particolar modo dalle lettrici che hanno risposto al sondaggio del giornale ci auguriamo quindi che, accanto alla mole di iniziative che verranno promosse a livello europeo, nazionale e locale sul tema, si manifesti un effettivo miglioramento delle condizioni di vita delle donne e degli uomini, affinché il termine “discriminazione” diventi una condizione sempre meno vissuta da tutti.
(29 marzo 2007)
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