Per la liberazione delle 276 studentesse nigeriane la gioia non basta
Il rapimento delle studentesse nigeriane, il silenzio della stampa, il richiamo del Papa. La liberazione e l'appello dei vescovi africani alle famiglie: mandate a scuola le ragazze
Mercoledi, 03/03/2021 - Per la liberazione delle 276 studentesse nigeriane gioia e festa grande... ma non basta! Ci domandiamo come “aiutare” la loro libertà di continuare a studiare e vivere guardando a un futuro. E’ una notte della fine di febbraio 2021 e nella scuola secondaria di scienze governative nella città di Jangebe (Nigeria) 279 ragazze tra i 12 e i 16 anni vengono rapite; con brutalità decine di banditi arrivati in macchina e in moto le costringono a seguirli, facendole uscire con tutti i mezzi, lasciandole scalze e spingendole verso la foresta che tutto nasconde.
La pericolosità dei rapitori, sottolinea un insegnante, è confermata anche dalla non reazione di un posto di blocco militare a 4 minuti dalla scuola.
A dare l’allarme sono alcuni insegnanti che, come le ragazze, dormono nel complesso scolastico. Il rapimento, come immaginabile, getta nella disperazione innanzitutto le famiglie, memori anche della analoga tragedia consumatasi nel 2014, anno del rapimento organizzato da Boko Haram di 276 studentesse. Allora alcune morirono, altre riuscirono a fuggire, altre rimasero con gli jadisti dichiarandosi convertite ai loro ideali, altre ancora furono liberate... ma di 100 di loro, a distanza di tanti anni non si sa nulla. I rapimenti sono oramai in Nigeria fatto drammatico di tutti i giorni e rappresentano la forma di finanziamento più comune dei gruppi ribelli interessati a riscatti, saccheggi e stupri che rappresentano l’orrore e il terrore delle ragazze e delle loro famiglie, costrette poi ad aborti o maternità tragiche fisicamente e psicologicamente.
Purtroppo, e realisticamente, le finalità di rapimenti nelle scuole nascondono un ulteriore obiettivo, subdolo e destabilizzante, oggi e rispetto al futuro della Nigeria, paese che è già in uno stato di equilibrio sociale e politico precario. Molte famiglie, impaurite dal rischio che corrono figlie e figli, ritirano le ragazze, prima di tutto, e anche i ragazzi dalle scuole e quindi dall’istruzione. Il risultato è fortemente pericoloso per il paese, che viene in prospettiva indebolito, come è ben comprensibile, di una potenziale classe dirigente preparata per il governo del futuro.
Un argomento, quello della scuola, che richiama riflessioni e problematiche di cui con il Covid abbiamo dovuto prendere atto anche noi. è una questione che riguarda il significato e il valore della scuola, ovvero dell’istruzione, del sapere, dell’educazione, della crescita culturale dei giovani e della preparazione della futura classe dirigente di ogni Stato di ogni terra. Un vero vulnus che spazza i confini e costringerebbe a guardare il mondo sempre attraverso quelli che sono i beni comuni e, per quanto abbiamo imparato, che possiamo immaginare anche per le studentesse nigeriane: la privazione della scuola diviene sofferenza e mutilazione della vita per i giovani, come abbiamo visto anche in Itala, che ne soffrono e si ribellano a tale prospettiva.
Tornando al rapimento avvenuto alla scuola di Jangebe, due giorni dopo è Papa Francesco, nell’Angelus di domenica 28 febbraio, che parla delle studentesse invitando alla loro liberazione e in questa sua supplica cita le informazione ricevute e l’invito a parlarne dai vescovi africani ai quali dichiara di sentirsi a fianco aggiungendo la forte vicinanza alle famiglie e alla loro preoccupazione per quanto sta avvenendo, con un accelerazione significativa in tutta la Nigeria. Le parole di Papa Francesco rompono un silenzio assordante su una notizia che nell’informazione, almeno quella Italiana, ha occupato spazi minimali per non dire silenzio totale in molti organi di stampa.
E proprio dopo poco l’intervento del Papa - che ha fatto scattare interesse per la notizia anche in Italia e che, pare, abbia avuto un eccezionale e positivo risalto mediatico e politico in Nigeria - sembra diffondersi l’idea che le ragazze siano state liberate. Il primo di marzo è arrivata la conferma. Raccolte tutte insieme dai militari in un auditorium del governo, si legge come siano state assistite, controllate, visitate, cambiate con abiti nuovi compreso per tutte un nuovo hijab ovvero velo azzurro che si può notare in molte delle foto diffuse. Vengono così riportate alla loro quotidianità prima di essere restituite all’abbraccio delle loro famiglie.
Il tutto ovviamente contornato dalle felicitazioni e dalla soddisfazione delle rappresentanze governative della regione della Zamfara, dove si colloca la scuola, e del Presidente della Nigeria Muhammadu Buhari, con un incrociarsi di notizie date e smentite sul ricatto forse pagato, forse non pagato, rafforzando l’idea che sia stato l’esito positivo di una “trattativa di pace”, tanto che viene divulgata anche la notizia che la liberazione sia stata permessa anche dalla collaborazione di banditi pentiti.
La gioia grande, dunque, del finale del rapimento delle studentesse non può però liquidarsi con un evviva. Va considerata una vicenda su cui riflettere per decidere quanto debba interessare non solo come un'emozione. La scienziata Nigeriana Obianuju Ekeocha, che vive in Inghilterra, appena dopo il rapimento ha denunciato la poca attenzione al dramma delle studentesse nigeriane che ha registrato - ha detto con una nota amarissima - meno interesse del rapimento dei cani di Lady Gaga.
Ed è certo questo un primo tema da sottolineare: l’informazione, il sapere, l’interessarsi, il non lasciare mai che il silenzio copra storie che ci riguardano tutte e il cui destino ricade sulla civiltà.
Poter far poco non vuol dire non far nulla. Così come proprio i vescovi africani che hanno coinvolto il Papa, hanno ufficialmente rivolto un invito ai genitori nigeriani di non far lasciare la scuola alle figlie.
Mi piace pensare, arrivando al “femminile” di questa storia, che queste ragazze - insieme all’interesse per la loro sorte, per la gioia di aver allontanato la paura e il rischio di un destino orribile, per la preoccupazione e speranza del loro domani - ci riguardino parecchio anche come donne italiane perchè il nostro orizzonte è, o dovrebbe essere, sempre il mondo con le sue diversità ed enormi contraddizioni ma anche con quei minimi comun denominatori che ci uniscono tutte e che ci possono mettere in rete ovunque. E così sarebbe interessante, e vorrei dire bello e confortante, che anche in questo 8 marzo 2021 le studentesse della scuola di Jangebe avessero un posto con noi augurando loro che dalla liberazione possano aspirare alla libertà di scegliere per il futuro che tanto dipende dalla scuola e dall'istruzione.
Paola Ortensi, 3 marzo 2021
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