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Per Giusi, sindaca di lotta e di governo, arrendersi è sempre sbagliato

Per Giusi, sindaca di lotta e di governo, arrendersi è sempre sbagliato

CHE GENERE DI POLITICHE? - “A Lampedusa si può fare sia turismo che accoglienza”. Intervista a Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa

Maria Fabbricatore Domenica, 03/02/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2013

Giusi Nicolini prima sindaca donna di Lampedusa, eletta da pochi mesi si trova a fronteggiare l’emergenza mai risolta dei migranti provenienti dal continente sub-sahariano. Un appello disperato contenuto in una lettera indirizzata all’Europa provoca indignazione e sgomento.



“(…) al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile(…)” così è scritto nella sua lettera di denuncia consegnata all’UE. Che cosa oggi potrebbe rendere sopportabile il sacrificio di quelle vittime, tra le quali molte donne e bambini?

Una cosa del genere è insopportabile, va evitata con tutte le misure che servono. Va impedito che queste persone arrivino qui per vivere queste condizioni, considerando che sono persone che scappano da guerre, da fame, che hanno diritto d’asilo. Questo è il senso della mia denuncia. Pensare che si possano ritenere normali le condizioni che questa gente è costretta a subire, pagando un prezzo così alto di vite umane non si potrà mai sopportare.



Il suo appello ha suscitato molta indignazione e ha provocato una serie di iniziative tra le quali un incontro a dicembre a Roma al Teatro Ambra della Garbatella…

È stata un’occasione bellissima per creare interazione con un mondo meraviglioso.



Tutto è partito dalla sua lettera…

Sì, tutto è nato dalla mia lettera e questo dimostra, oltre alla solidarietà che ho ricevuto dalla società, che c’è una grandissima voglia di una nuova etica nel nostro paese… anche se finora non è stata ben rappresentata. Nel mondo dell’associazionismo si muovono realtà che fanno cultura. Questo è molto importante perché sono istanze che ci fanno uscire dall’isolamento e modificano l’immagine ingenerosa che ci portiamo dietro. Non dobbiamo viverle come invasioni di territori o competenze, ma semmai come modalità attraverso cui tanti mondi diversi si incontrano per parlare dell’accoglienza in modo diverso.



Lampedusa vive il dramma dell’immigrazione in continua emergenza. Cosa servirebbe nell’immediato per venire incontro a queste persone?

Nell’immediato l’unico modo per aiutare Lampedusa e i migranti che vi arrivano è di trasferirli il prima possibile perché il centro di prima accoglienza non raggiunga livelli di sovraffollamento. Occorre accogliere con dignità chi arriva con i barconi, visto che i posti letto sono 250 e che ci sono più di 600 persone. Questa è una cosa che mi addolora. In prospettiva, invece, il destino di Lampedusa può cambiare se cambiano le politiche nazionali ed europee sulle migrazioni. Sono da rottamare e da archiviare tutte le misure contenute nel pacchetto sicurezza di Maroni. Avere tutte queste “prigioni” e poi non avere i posti per i minori non accompagnati, per i nuclei familiari, per le donne incinte è veramente vergognoso. Queste sono le cose che servono. A Lampedusa serve la solidarietà dell’Italia, per dimostrare che è possibile fare sia turismo che accoglienza.



È riuscita con la sua esperienza, con le tue lotte a portare una diversa sensibilità nella comunità di Lampedusa che, siamo sicuri, non si è assuefatta a questi drammi e che non ha perso il senso di accoglienza e di generosità?

Io spero di incarnare i sentimenti veri dei lampedusani. Finora Lampedusa è stata rappresentata da chi ha fatto da sponda a Maroni nell’uso di quest’isola come un carcere a cielo aperto e quindi sono convinta che le aspettative siano quelle di chi accoglie e non imprigiona nessuno.



Lei ha subito molte intimidazioni dalla mafia da quando era giovanissima. Intimidazioni che continuano ancora oggi. Dove trova il coraggio e le motivazioni per continuare le sue lotte?

Perché so che arrendersi è sempre sbagliato. Perché me lo hanno insegnato, soprattutto mio padre. E per mie convinzioni etiche. Perché so che non si può vincere se ti fermi e soggiaci alla violenza e alla intimidazione. Vinci se dimostri che sono inutili e che non hai paura. Non mi sento una coraggiosa, mi sento una persona che inizia una cosa e la porta a termine perché ci crede. Perché è così che si deve fare in ogni aspetto della vita. Soprattutto nell’esercizio della funzione pubblica, perché non sei responsabile solo di te stessa, ma di chi ti ha affidato un compito, di chi ti ha dato fiducia. È vero, io posso raccontare quello che succede, ma per quelli che non possono più. Anche in quel caso gli sconfitti sono i violenti e gli assassini. Penso al sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, ammazzato nel 2010, non lo conosceva quasi nessuno. Un sindaco ambientalista del quale ancora non si conoscono gli assassini, ma che ha combattuto le speculazioni edilizie, che si è scontrato con i trafficanti di droga. Era uno che dava fastidio, prima non lo conosceva nessuno, ma dopo è diventato un mito e un eroe.



Lei è stata eletta da pochi mesi. Perché si è candidata?

Me l’hanno chiesto in tanti: associazioni, giovani, donne e a quel punto mi sono detta che tirarsi indietro non era giusto e che andava colta l’occasione, io non ci avevo mai pensato. È una grande responsabilità, è dura.



Sente vicina la popolazione? Quali sono i maggiori problemi che vive l’isola?

Quello dei migranti è come una cappa che soffoca, che spesso nasconde i problemi veri della comunità, che sono soprattutto la dipendenza dalla terraferma nell’approvvigionamento dell’acqua o nella produzione di energia. Sono i temi dell’insularità, delle isole. I cittadini non hanno pari opportunità rispetto agi altri. Per fare un esempio, non c’è la possibilità di curare un tumore perché per fare la chemio bisogna prendere l’aereo che costa tanto. Abbiamo bisogno di una nuova idea di solidarietà e di coesione sociale.



I tagli dei contributi governativi ai comuni hanno creato molti problemi alla gestione delle comunità locali. Cosa succederà a Lampedusa in relazione a tutto ciò?

Sono stata eletta sindaca in un momento tristissimo, deprimente. Il rischio è di deludere le tante aspettative che i cittadini nutrono nei miei confronti. I limiti che ho sono tanti. La crisi e i tagli fanno sentire di più l’isolamento.



Ha cercato sinergie con altre isole, con altri comuni che vivono gli stessi problemi?

Sì, sto creando sinergie di questo tipo con associazioni e con altri comuni perché è l’unico modo per creare reti e mettere in collegamento l’isola con il resto del mondo. È qualcosa in cui credo tantissimo. Intanto si acquisiscono le buone pratiche che gli altri hanno già realizzato, e si interagisce con chi governa realtà simili, come Pollica o come Porchiano. Insomma c’è un mondo da conoscere e con il quale contaminarsi.



Le rivoluzioni in nord Africa hanno aumentato il flusso dei migranti. Che percezione si ha rispetto a prima?

L’anno scorso c’è stato un flusso maggiore di quello attuale. Ora arrivano gli stessi che arrivavano anche prima, quelli che si allontanano dalla guerra, i sub-sahariani che scappano da Somalia, Eritrea, Etiopia, Ghana, Mali, Darfur. E poi c’è la malavita che gravita, purtroppo, intorno a tutto questo dramma.





L’EUROPA, Il NOBEL E LAMPEDUSA. LETTERA APERTA di GIUSI NICOLINI ALLA UE



Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce. Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza”.



Giusi Nicolini



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