Login Registrati
Per favore non chiamateli bulli...

Per favore non chiamateli bulli...

Scuola di violenza - ... si chiamano delinquenti. Per favore non chiamateli incompetenti, sono complici

Stefania Cantatore Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007

La violenza sessuata nelle scuole è una realtà come altrove. L’intreccio di responsabilità è fitto, indistinto: la famiglia, i media, l’autorità di controllo sul territorio e la scuola. La scuola appunto, perché anche se i fatti non sempre si determinano “intra moenia”, il rapporto malato tra giovani donne e giovani uomini si dipana tra i banchi indisturbato, e troppo spesso gli insegnanti ne sedano gli aspetti che più turbano, senza appoggiarsi a presidi competenti a riconoscere ed affrontare il problema. Fuori dalla scuola la realtà è quella che è: non esiste né la mentalità né la volontà del contrasto al reato di violenza sessuata.
Dentro e fuori donne e uomini, quindi anche gli studenti e gli insegnanti, sanno che molestare, stuprare, picchiare, ricattare una donna solo perché si appartiene all'altro genere è un reato, ma la diluizione delle responsabilità incrociate finisce per appannare i doveri di ognuno, la rilevanza penale delle azioni dei violenti e soprattutto il danno subito dalle vittime.
Uccidere, stuprare e umiliare le donne: l’interdipendenza stretta tra la fine di una vita e la modalità di rapportarsi alle donne dovrebbe spingere ad un approccio più certo alle regole scritte nel diritto.
Il rispetto delle regole, nel contrasto alla violenza sessuata, è la prevenzione. Affermare l’illegalità della prevaricazione violenta di un genere su un altro, è la prevenzione.
L’approccio amichevole e pietoso al bullo non trasmette certezza del limite oltre il quale si delinque e costituisce un atteggiamento “ignorante e connivente” del quale tutti, ognuno, hanno responsabilità. Il fatto che le responsabilità siano tanto diffuse (per un reato che una donna subisce almeno una volta nella vita, e del quale sarà costretta a temere per sempre) costituisce una realtà “che si mostra inaffrontabile” in coerenza al fatto che dei preposti alla salvaguardia delle cittadine siano in costante latitanza.
E tuttavia la legge individua compiti e responsabilità, nessuna delle quali manca di sedi e poteri.
Si verifica invece un curioso sistema di rimando al cambiamento culturale di là da venire e una generalizzata esortazione al coraggio della denuncia, verso le stesse vittime che il potere lascia sole.
Bisogna aggiungere che i responsabili di fronte all’ennesimo verificarsi delle violenze, immediatamente spostano l’attenzione sui sentimenti e le deprivazioni degli esecutori.
Il Provveditore, il Preside gli insegnanti di quella scuola di Napoli dove ancora una volta una quattordicenne è stata stuprata, ripresa col telefonino da parte di otto “compagni di scuola”, hanno parlato ed agito come se si trovassero davanti l’unico problema di recuperare i piccoli devianti, dimenticando di trovarsi di fronte a dei delinquenti. E soprattutto di fronte ad una vittima.
Nel nostro paese presidi, datori di lavoro, coprono giudicano e agiscono su questioni che non rientrano nei loro poteri, si sostituiscono ai competenti, commettendo una grave omissione che li chiama in correità con gli autori della violenza, che quando riguarda minori è peraltro perseguibile d’ufficio.
La scuola, ma poi via via tutti i luoghi "chiusi", e prima la famiglia, si danno proprie regole scritte e non scritte che non di rado prevalgono su quelle dello Stato. E dalla famiglia in poi le stime della violenza perpetrata contro le donne sono approssimative e frutto di strumentali sottovalutazioni.
Strumentali ma anche possibili a fronte dell'omissione fondamentale, della latitanza più colpevole: quella dei presidi dell’ordine pubblico. Non si può quantificare un reato quando le denunce sono rese impossibili dagli stessi tutori dell’ordine.
Noi dell’Udi, nello sterminato panorama della tolleranza, delle complicità politiche, dell’ideologia della sofferenza e “della morte per amore”, abbiamo scelto di riprendere parola pubblica e di richiamare la politica alle sue responsabilità. Abbiamo fatto un esposto alla Procura Generale: quelle responsabilità diffuse dal Nord a Sud, in tutti i commissariati e caserme dei Carabinieri, noi pensiamo che vadano perseguite nei massimi responsabili, che per ufficio ne dirigono e condividono l’operato. Lo sosteniamo non solo per azione dimostrativa, perché le donne non simbolicamente muoiono, ma di femminicidio annunciato.
(03 aprile 2007)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®