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Per amore del cinema italiano

Per amore del cinema italiano

A tutto schermo - Alla 72ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia consegnata a Valeria Golino la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile. I Grandi Festival: Locarno e Venezia a Roma

Colla Elisabetta Venerdi, 02/10/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2015

Anche quest’anno il Festival di Venezia, all’interno di una ricca ed interessante proposta cinematografica, non ha potuto mettere d’accordo tutti soprattutto quanto all’assegnazione dei premi: del resto è fisiologico, accade in tutti i Festival, o quasi, di restare spiazzati dopo promettenti pronostici o rumors rispetto alle insindacabili scelte delle giurie. Ma sulla Coppa Volpi - il riconoscimento lagunare alla miglior interpretazione femminile - non ci sono state polemiche né dubbi, se l’è aggiudicata a pieno titolo, e per la seconda volta, la nostra brava Valeria Golino, a quasi trent’anni dalla vittoria ottenuta con Storia d'amore nel 1986, oggi come interprete principale del film in concorso Per Amor Vostro, opera indipendente, complessa e interessante, diretta da Giuseppe Gaudino, che sperimenta diversi stili narrativi ed estetici. Valeria, la bellissima ed irrequieta ragazza di un tempo, sguardo malinconico, camminata indolente e voce roca, entrata nel cinema quasi per caso, oggi, alle soglie dei 50 anni, si conferma attrice e donna completa, apprezzata a livello internazionale: nel film di Gaudino porta sullo schermo il difficile personaggio di Anna, madre di tre figli di cui uno sordomuto, ‘per amore dei quali’, per quieto vivere e per non far loro mancare nulla, finge da sempre di non sapere che il marito, violento e cinico, è un pericoloso usuraio pesantemente coinvolto con la camorra.

In una Napoli dipinta in bianco e nero, che si accende di colore solo nel ricordo del passato, sospesa tra superstizioni e miseria, dove disoccupati e sfrattati fanno parte della vita quotidiana, Annarella - che da piccola, per salvare il fratello da una pesante condanna, si è dovuta assumere la colpa di un furto ed ha trascorso quattro anni in riformatorio - si dimena fra incombenze familiari (compresi gli anziani genitori, di cui nessuno si occupa), il nuovo lavoro da suggeritore alla televisione (dove un fascinoso ma losco attore inizia a corteggiarla) ed i suoi demoni ed incubi, che la assalgono nei momenti più impensati: finestre spalancate su uragani di morte, sotterranei della mente che cercano spazio fra sogno e realtà, paure sopite ed inconsce: da sempre lei si sente una cosa ’e niente, una nullità, incapace di reagire e di mettere alla prova il suo valore, raccontando così la storia di tante donne come lei, nel nostro ed in altri Paesi, costrette a chiudersi gli occhi e la bocca fino ad annullarsi completamente. Questi momenti, che danno al film ed alla protagonista una profonda irrequietezza, sensualità ed originalità, sono resi con effetti speciali e giochi virtuali. Ben concepite e girate anche le scene di vita fra Anna ed i suoi figli, quasi tutte intorno alla tavola, fra allegria, litigi e legami autentici.

La camera a mano indaga il volto, le emozioni ed il cambiamento che si produrrà in Anna/Valeria, grazie al recupero di un po’ di autostima e della parte migliore di sé, alla forza dell’autonomia ed alla denuncia del coniuge malavitoso: dall’orlo del precipizio alla rinascita. Fra le altre opere italiane presentate a Venezia, da segnalare Sangue del mio sangue, di Marco Bellocchio, pellicola a metà fra passato e presente ispirata alla storia di suor Benedetta, una monaca murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio perché accusata di aver sedotto un uomo, con Alba Rohrwacher; Arianna di Carlo Lavagna, presentato alle Giornate degli Autori-Venice Days sul tema dell’identità di genere, del potere e della presunta anormalità, con Ondina Quadri (che si è aggiudicata il Premio Miglior Attrice Emergente) e Valentina Carnelutti; Non essere cattivo, del compianto Claudio Caligari (evento speciale Fuori Concorso), tragico cantore della strada e della periferia già noto per Amore tossico.



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‘Il Cinema attraverso i Grandi Festival: Locarno e Venezia a Roma’

La collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma ha dato nuovo slancio alla manifestazione



Grazie alla rassegna Il Cinema attraverso i Grandi Festival: i film di Venezia e Locarno a Roma, che ha avuto luogo nella Capitale - organizzata da Anec Lazio, con il contributo dell’Assessorato Cultura e Sport di Roma Capitale, della Direzione Generale per il Cinema del MIBACT, in collaborazione con Fondazione Cinema per Roma e col sostegno di Bnl Gruppo Paribas - coinvolgendo 16 sale con oltre 70 proiezioni, è stato possibile vedere quasi in contemporanea, nel caso della Mostra di Venezia, e con circa un mese di distanza per Locarno (che si svolge in pieno agosto) le opere più importanti dei due Festival. Per quanto riguarda Locarno da segnalare un film iraniano, dal titolo Paradise, del regista Sina Ataeian Dena, vincitore del Premio Giuria Ecumenica, e dedicato alla condizione femminile (e non solo) in Iran, che racconta le peripezie di una giovane insegnante alle prese con i divieti e le vessazioni esercitati dal regime (non riesce ad ottenere il trasferimento perché, all’esame obbligatorio per cambiare scuola, non risponde correttamente a tutte le domande di dottrina, come sapere quali minuscole parti del corpo è consentito tenere scoperte in classe, inoltre viene sospettata di non portare il velo a casa e non essendo ancora sposata a 25 anni, le vengono fatte proposte di matrimonio in cambio della lettera di trasferimento) e che lei, a sua volta, è costretta ad esercitare sulle sue alunne per ogni inezia, bambine che subiscono un vero e proprio indottrinamento quotidiano, finché due di esse non vengono rapite (probabilmente per matrimoni precoci, poiché è lecito sposare ‘donne’ dall’età di sei mesi) e non fanno più ritorno. Dal panorama internazionale al femminile della ricca selezione della Mostra di Venezia, sono stati presentati all’interno della manifestazione romana, film come Janis, della statunitense Amy Berg, poetico docu-film sulla grande artista del blues-rock anni Sessanta Janis Joplin (Fuori Concorso); The Danish Girl, di Tom Hooper, storia di Lili Elbeuna delle prime persone (tra fine Ottocento e primi Novecento) ad identificarsi come transessuale e la prima ad essersi sottoposta ad un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale (Concorso); A peine j’ouvre les yeux, opera prima (Premio del Pubblico e Premio Label Europa Cinemas) della regista tunisina Leyla Bouzid, su una giovane cantante che, agli albori della Primavera araba, si ribella al regime (Giornate degli Autori). Fra le opere della Settimana Internazionale della Critica (SIC) molto interessanti Motherland, film turco-greco della giovane regista SenemTüzen (1980) ritratto di due donne, madre e figlia, sullo sfondo della Turchia di oggi, sospesa tra modernità e tradizione, e  , degli australiani Martin Butler e Bentley Dean, sulla tribù Yakel dell’isola di Tanna, dove non esiste il matrimonio d’amore ma le regole impongono piuttosto unioni di convenienza che risolvono conflitti con le comunità vicine.





 

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