Martedi, 15/06/2010 - Il rapporto del 2008 della Commissione Europea sull’”eguaglianza” indica che l’occupazione femminile in Europa resta più bassa di quella maschile di circa il 15% E ciò nonostante negli anni “gloriosi” della globalizzazione neoliberista abbiamo assisto ad un considerevole processo di “femminilizzazione” che ha determinato un consistente aumento delle donne nel mondo del lavoro. A dirla tutta tale processo ha comportato altresì un elemento meno positivo del precedente : il maggior ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha consentito infatti la generalizzazione della precarietà cioè delle modalità di accesso e di condizioni di lavoro storicamente prerogativa delle donne (bassi salari, contratti precari, scarsa carriera).
Nel merito, poi, le donne continuano ad avere meno diritti degli uomini: a parità di lavoro i nostri salari e pensioni sono inferiori di oltre il 10% rispetto a quelli maschili e solo il 32% delle donne occupano posti di dirigente malgrado le donne abbiano occupato il 75% dei nuovi posti di lavoro creatisi negli ultimi cinque anni in Europa.
Il dibattito odierno sull’innalzamento dell’età pensionabile delle donne (per ora relativo solo alle dipendenti pubblici) si ostina a non voler considerare questi elementi di disparità.
Così come finge o, peggio, non si accorge di ignorare del tutto un altro aspetto fondamentale e cioè l’intreccio fra produzione (lavoro salariato) e riproduzione sociale ( lavoro di cura, casalingo e gratuito).
Sempre la Commissione Europea indica che nella fascia fra 20 e 49 anni il tasso d’occupazione femminile scende dal 75,4% al 61,1% nel caso di donne con figlie/i e che il lavoro part-time viene “scelto” dal 23,3% delle donne con prole contro il 15,9% delle donne che prole non hanno.
Spesso la difficoltà di conciliare il lavoro di produzione con quello di riproduzione sociale costringe le donne a rinunciare al primo . A meno che ci si possa permettere di far svolgere i lavori domestici e di cura ad un’altra donna, quasi sempre immigrata, con il risultato che spesso l’emancipazione delle donne occidentali non è determinata da una sana redistribuzione di compiti e di mansioni fra generi ma diventa un “affare di donne”.
Una recente indagine italiana, forse dell’Istat ma non ne sono sicura, dimostra quanto l’Italia sia ancora arretrata nella distribuzione dei carichi domestici. Infatti le ore destinate ai lavori di casa per una donna single si aggirano attorno alle 2 ore settimanali ma salgono a oltre 6 nel caso di una donna che vive con un uomo.
Quindi quello che sosteneva,, con arguzia, la sociologa Saraceno più di vent’anni fa è ancora una costante : il lavoro di cura gratuito delle donne è stata ed è la terza gamba su cui si è retto il welfare italico.
Le misure anticrisi che stanno per essere adottate anche nel nostro Paese agiscono soprattutto sul contenimento dei bilanci pubblici con il risultato di decostruire ulteriormente il sistema pubblico di protezione sociale che significa ridurre di asili nido, scuole a tempo pieno, servizi per gli anziani e via discorrendo.
Dentro la crisi economica, nel nostro Paese e non solo, si potrebbe creare una situazione paradossale: poco lavoro salariato a disposizione di tutte/i e molto lavoro domestico gratuito in esclusivo carico alle donne.
Ecco perché non riesco a scacciare dalla testa una domanda impertinente: non è che allora l’innalzamento per le donne dell’età pensionabile a 65 anni non è affatto un misura che favorisce la (presunta) “eguaglianza” quanto un ulteriore elemento per scoraggiare le donne ad entrare nel mondo del lavoro salariato? In fondo piuttosto che un lavoro precario e sottopagato ed una scarna pensione da vecchia non è meglio il ritorno al focolare domestico nei più rassicuranti ruoli di moglie e madre perfetta? Bè, per quanto mi riguarda non ci penso affatto.
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