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Passaggi verso la liberazione

Passaggi verso la liberazione

Carla Lonzi - La tensione di vita, intensità e autenticità del percorso di Carla Lonzi attraverso le pagine del suo diario, 1972 – 1977. Tutto da riscoprire

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007

Per parlare della fondatrice del femminismo italiano - Carla Lonzi (1931-1982) - alle lettrici di 'noidonne' posso permettermi il lusso di tralasciare i dettagli della sua biografia ed andare al dunque di quello che mi preme dire a proposito di lei: la tensione di vita, intensità e autenticità del suo percorso di liberazione fatto di molti e sofferti “passaggi di esperienza”.
Dal 1972 al 1977 Carla scrive un diario (da lei stessa pubblicato nel 1978) in cui giorno dopo giorno annota il dramma quotidiano della propria vita, non per “far quadrare il cerchio” quanto per dare corpo all’espressione di sé. Per dirla con le sue parole: “…le donne osano mostrare il risultato del loro pensiero, ma non il dramma della propria vita. Neppure a se stesse. A me invece interessa in che modo, attraverso quali passaggi di esperienza, quali gesti, tono, decisioni, conflitti, si arriva a quelle conclusioni”.
Tutta “la tensione della propria vita” è stata protesa a sperimentare percorsi di liberazione possibili, mettendosi in gioco interamente. Percorsi narrati nelle pagine del diario per comprenderne meglio il senso e, se necessario, modificarne il tragitto: non rinunciando mai a “mettere in scacco i propri pensieri uno a uno”, come scriveva all’inizio del suo percorso femminista nella poesia che avrebbe poi dato il titolo alla raccolta poetica: “scacco ragionato”.
La sua esperienza di affrancazione personale, che cammina di pari passo all’“avventura di capirci qualcosa”, è continua, inesauribile e mai scontata, perché sempre in contatto con la concretezza, e con l’imprevisto, della vita. Contatto che le ha permesso di stare su “un’altro piano”, e di accorgersi dei limiti di ogni ideologia, e della complessità di una liberazione femminista, che prenda corpo dalla autentica messa in discussione dei miti patriarcali, a partire dai condizionamenti (o ambizioni) presenti in noi stesse e della difficoltà a liberarcene.
“Muoversi su un altro piano: questo è il punto su cui difficilmente arriveremo ad essere capite, ma è essenziale che non manchiamo di insistervi”. Solo ponendosi su un altro piano è possibile fare perdere alla cultura patriarcale “la certezza della sua opera”. L’altro piano è quello che va oltre la polemica diretta, la contrapposizione, e che privilegi percorsi di autenticità, “smantellando i miti e trovando dentro se stessa la propria integrità”: “ci vuole più forza a mostrarsi spogliate che a barricarsi dietro la parola consacrata; ci vuole forza ad avere il coraggio della semplicità”.
Nel diario le “fasi di esperienza” trapelano senza filtri, in uno sforzo costante di “vedere le cose come stanno”. Lei stessa ne parla come “una specie di vergogna quotidiana, privatissima… non spedivo la maggior parte delle lettere in cui parlavo di me… perché incepparmi anche lì era angosciante, come angosciante era accorgermi che gira e gira finivo per volere e sapere parlare solo di me. Scoprire questo bisogno irrefrenabile mi umiliava…”. E al tempo stesso ne afferma la validità: “Il diario, la presa di coscienza rende tutti uguali. Tutti fragili, tutti ugualmente intelligenti e stupidi, ingannati, ingannabili, umiliati dalla scoperta del trave nel proprio occhio. Nessuno sfugge a questo. Nel diario Hegel e io siamo uguali. Anche Cristo che, sudando sangue dice “L’anima mia è triste fino alla morte” e soffre perché gli amici lo lasciano solo nell’imminenza del martirio, è uno come me”.
Questa identificazione con Cristo e con Hegel (di cui Lonzi è attenta lettrice e su cui ha scritto il saggio “Sputiamo su Hegel”) non è un atto di presunzione intellettuale bensì la conseguenza di processi continui di approfondimento, smascheramento e ricerca di sé, consapevole dell’inganno che si può celare dietro ogni risposta trovata. In “Armande sono io”, pubblicato postumo, scriveva: “nella vita ci sento di questi momenti in cui sei costretta a spogliarti non solo dei vestiti, come a dire di un’identità più convenzionale e sociale, fino a restare nuda, ma poi anche quella nudità va sostituita con un’epidermide più fresca, più sensibile, meno coriacea. Ti rinnovi anche all’interno della tua identità più vera”.
Ecco perchè Carla preferiva usare il termine liberazione che, a differenza di libertà, implica l’idea del processo, dell’aspirazione, che non si accontenta del primo obiettivo raggiunto. “Quello che manca – scriveva nel diario – è proprio l’autocoscienza e il passare attraverso tante fasi. Ognuno sembra incarognirsi in una che diventa sua tipica”.
E ancora, paragonandosi poeticamente a Teresa D’Avila scriveva nel diario, il 6 febbraio 1974: “Mi ritrovo nei tormenti/interiori senza perché/nei patimenti e nei dubbi/generati dall’anima stessa/via via che cresce./Lei si chiedeva/Proviene da Dio o dal Demonio?/E io: Sono me stessa?/Si ammalava moriva/di quella pena poi risorgeva/e sgrammaticatissima/ne scriveva” (p.550).
Lo scrivere sgrammaticatissimo è una scrittura non dettata da fini artistici ma da una esigenza di autenticità da cui si sviluppa il desiderio di stare in relazioni più significative, avendo scoperto dell’altro/a qualcosa di inaspettato.
Si accorge che per realizzare la propria presenza nel mondo non le basta “realizzarsi”, sentirsi riconosciuta: vuole stare in relazioni di autenticità e reciprocità con altri esseri umani.
Ed è ancora il diario a registrare il “dialogo”, tra lei e coloro con cui sceglie di “interloquire”.
Porsi come interlocutore e interlocutrice per come si è, senza costruirsi muraglie intorno, presuppone un lavoro non indifferente di personale individuazione (che è diverso della costruzione perché si svolge dall’interno). Tale lavoro risulta essere già in stato avanzato nel diario pubblicato di Carla Lonzi, avendo alle spalle anni e anni di presa di coscienza di sé, compiuta dapprima attraverso la scrittura privata, le poesie, e poi attraverso la partecipazione attiva al femminismo, le prese di posizione autonome e originali e un instancabile lavoro di autocoscienza personale e collettiva svolta con le amiche del gruppo di Rivolta Femminile, di cui Carla è stata fondatrice.
Io credo valga la pena non lasciare che Carla Lonzi rimanga solo un nome noto a tutto il femminismo, ma di cui poche hanno letto i suoi testi (anche perchè è così difficili reperirli!).
Così come sono persuasa che la produzione privata di donne come lei vada valorizzata. Non è possibile ridurre ad un istante fermo ciò che invece sta in un processo in continuo movimento e cambiamento, tra persuasioni, paure, emozioni, riflessioni, ripensamenti: “con tutte le complicazioni e amplificazioni nervose”, diceva Carla.
Certo, per conoscere tali esperienze c’è sempre la possibilità di sperimentarle in prima persona: passaggio dopo passaggio, per arrivare “al miliardesimo attimo” in cui toccando questa terra posso sentire l’oro”, come è capitato a lei.
Le modalità, e i contenuti saranno solo nostri, da Carla potremmo imparare la “tensione di vita”, “l’intensità”. E alcuni piccoli suggerimenti pratici: al risveglio ogni mattina trascrivere i sogni sul proprio diario, e poi magari rileggerli dopo mesi, o anni; scrivere lettere ad amici e amiche, anche senza spedirle, per fare emergere quello che è mancato, i non detti, i fraintendimenti della relazione; e poi osservarsi dentro con molta attenzione e, soprattutto, poco giudizio.
Sarebbe bello potere leggere di più Carla Lonzi: fare nuovi edizioni dei suoi testi pubblicati e conoscere cosa resta di inedito. Sarebbe un grande dono per tantissime donne di oggi, assetate di autenticità come lei.
E potrebbe essere un’occasione per imparare a non fraintenderla, cogliendo di lei sia la sua “porzione di luce” sia la sua “porzione di cecità”. Scriveva nel diario il 3 febbraio 1974: “nei miei scritti c’erano dignità, castigatezza, commozione oltre che sdegno e dolore che ne facevano una amalgama particolare, non un atteggiamento ideologico e strafottente. Però non so quanti saranno ad accorgersene”.
Io ci sto provando... ad accorgermi di lei.
E, attraverso lei, passando da me, a imparare a esigere relazioni umane autentiche.
(9 marzo 2007)

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