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Parlare di Lampedusa - di Paola Ortensi

Parlare di Lampedusa - di Paola Ortensi

Un’impresa difficile ma indispensabile

Giovedi, 22/09/2011 - Sono tornata da Lampedusa la sera del 18/9. Un viaggio, il secondo, affrontato non da sola per capire Lampedusa e Linosa, i loro abitanti e gli avvenimenti più grandi di loro che li coinvolgono da mesi.

Le valige ancora da disfare, i pensieri da mettere in ordine, le emozioni ancora da far lievitare quasi fosse un pane appena ammassato; ed ecco che tutti i mezzi di comunicazione diffondono una notizia più che drammatica: l’isola vive una tensione prevista e annunciata ma che, come sempre quando si concretizza, diviene disperazione. I Tunisini scappano dal Centro d’accoglienza, si ribellano all’essere rimpatriati, riescono a forzare i confini e le reti e dilagano in paese; il Centro d’accoglienza, incendiato, brucia e si distrugge; le forze dell’ordine cercano di bloccare gli immigrati; un esiguo, ma pur evidentissimo gruppetto di Lampedusani dà vita a una sassaiola contro i Tunisini; il Sindaco urla proclami disperati, pieni di livore e spesso offensivi verso tutti: Stato, immigrati tutti delinquenti, ong umanitarie (che hanno rotto le scatole) parole forti al Presidente della Repubblica a cui almeno chiederà scusa. Questo mettendo a nudo, affiancato poi dalla sua Vice Sindaco diffusamente intervistata, la sua impotenza e forse anche incapacità. Invece di stare con, in mezzo ai suoi concittadini, ha dato un immagine terribile di terrore, paura, che ricade sull’isola tutta che proprio non merita questo. Barricato nella sua stanza, “il primo cittadino”, viene raccontato dai giornalisti in compagnia di una mazza da baseball per difendersi (da chi?) e affiancato da tre poliziotti. Ripetutamente intervistato, come ovvio, parla male di tutti e non propone soluzioni che non siano: via da Lampedusa questi tunisini delinquenti.

Data la brevità della mia assenza dall’isola, la ricchezza di rapporti che ho intrecciato, le preoccupazioni che già vibravano nell’aria, gli spazi piccoli e ravvicinati del tessuto urbano, riesco a immaginare la situazione e il sentimento più forte che provo è quello di solidarietà nei confronti degli abitanti dell’isola, gente che non merita il quadro che il loro Sindaco racconta e di fatto fomenta e che viene fuori dai giornali. I Lampedusani, compresi gli abitanti di Linosa, non possono essere ignorati e dimenticati nella loro parte migliore che ad aprile fece dire a Berlusconi, ricordiamolo, che li avrebbe proposti per il Nobel per la pace.

E allora, questi cittadini del mare che in grande maggioranza ancora tre giorni fa, e sono sicura ancora oggi, non hanno mai mostrato livore contro gli immigrati, ma contro lo Stato, contro la stampa per l’immagine che ha dato dell’isola, sono arrabbiati perché questo ha comportato non solo una diminuzione forte dei turisti, ma un immagine negativa del luogo. Si è così, ritengono, determinata non solo una crisi non obbligata per l’economia dell’isola che da anni sul turismo conta e nel turismo investe, ma un idea di Lampedusa assolutamente sbagliata e distorta.

Per 60 giorni, come tutti sanno, da febbraio ad aprile 2011, la gente di questo avamposto d’Italia e d’Europa ha convissuto con una popolazione di immigrati in numero superiore agli stessi abitanti. Più di 6000 persone, abbandonate a se stesse dallo Stato per motivi ancora inspiegabili. Unendo le proprie forze, al di là di ogni divisione ideologica e di ruoli, la gente si è organizzata e ha accolti, vestiti, lavati, rifocillati, confortati tutti gli immigrati, i profughi dalla violenza, dalle guerre, dalla fame e soprattutto non ne ha avuto paura.

Non si può bollare come paura, come è avvenuto, il fatto che qualcuno ha dichiarato che chiudeva la porta a chiave, come noi facciamo da sempre, perché temeva che qualcuno (su seimila) fosse pericoloso.

Perchè non far parlare, non intervistare altri rappresentanti della popolazione? Tanti in coro ci hanno detto, col tono di chi spiega, che se questa gente affronta il rischio di morire nelle spaventose attraversate, spesso utilizzando tutte le risorse economiche che possiede la famiglia, significa che sta proprio male, aggiungendo poi che, salvo casi sporadici, non hanno fatto né danni né violenze; e aggiungendo ancora, in modo condivisibile, che non possono però essere loro a pagare. La pietas che i lampedusani sanno e hanno saputo esprimere sembra un bene altrove in via di estinzione. E il dolore profondo ma anche la rabbia viene dal pensare che gli avvenimenti di questi ultimi giorni, che erano assolutamente evitabili, e non si comprende perché non lo siano stati, possano nella sostanza cancellare o far dimenticare la grande umanità della gente di Lampedusa e Linosa. Oggi in queste ore cruciali che umiliano o dovrebbero umiliare tutti noi, come Italiani, si sono messi in moto, sembra quasi con una volontà perversa, elementi negativi che per chi abbia un po’ di buon senso non potevano che sfociare male facendo perdere tutti. Lo stato che gonfiando il Centro d’accoglienza al di là di ogni capacità ricettiva - forse 400 posti coperti da più di mille -, non dando certezza di tempi rispetto a nessun programma, e lasciando che le settimane trascorressero, ha esasperato al massimo grado gli animi non solo dei Tunisini ma degli stessi isolani fra i quali giravano ipotesi e preoccupazioni di tutti i tipi. Militarizzazione dell’isola, per esempio, con conseguente “morte” del turismo e ironicamente con l’obbligo di essere loro isolani costretti ad emigrare come nel passato. La paura dunque anche del futuro e del destino di un territorio che nei secoli ne ha viste di tutti colori, molto proprio per la sua strategica posizione geografica .

Per centinaia di rappresentanti di forze dell’ordine: polizia, carabinieri, guardie di finanza presenti nell’isola di fatto non è stato possibile circoscrivere le violenze che hanno coinvolto tutti, innescando così nuova violenza che ha coinvolto gruppetti di isolani e che ha invertita l’immagine che l’isola si era conquistata.

Mentre ora, gioco forza, sembra sia iniziato lo svuotamento dell’isola; mentre Lampedusa celebra, oggi 22 e ancora il 23, immaginiamo con quale animo, la festa importantissima per l’isola della Madonna di Porto Salvo che verrà riportata in processione al Santuario di cala Madonna; mentre i turisti arrivano numerosi, sperando che non vi siano disdette, per la manifestazione di OSCIA di Claudio Baglioni della prossima settimana, le prime idee a caldo portano a pensare che ancora una volta a Lampedusa nulla sarà più come prima.

Il problema, l’interrogativo è: come saranno Lampedusa e Linosa dopo quanto è successo?

La gente è stata violentata e umiliata sembra per la sua capacità di solidarietà che attivata solo pochi mesi è riuscita a incrociare e di fatto gestire da sola, quasi, miracolo di umanità, migliaia di esseri umani, sgominando l’idea che con gli immigranti non si potesse convivere.

Oggi, la gente, inascoltata da uno Stato, qui identificato soprattutto col Ministro dell’Interno Maroni e da Berlusconi, che al di là di promesse in maggioranza inadeguate per Lampedusa e Linosa stessa - uno Stato che sembra avere come obiettivo finale dimostrare che gli immigrati sono un problema da eliminare -, cancella e rischia di pentirsi di quella loro modalità di accoglienza, nell’emergenza di fine inverno, che spinta dalla pietas e da quella caratteristica qui dominante, tipica della gente di mare che gli esseri umani in difficoltà vanno aiutati, ha risolto un problema che sembrava più grande di loro; e si trova sospinta a rifiutare, definendoli danni e disastro i profughi arrivati sulle proprie coste.

Oggi l’isola è sicuramente divisa come non mai. L’unica cosa a cui ambisce unitariamente è la propria vita nuovamente tranquilla e con una prospettiva di ripresa di normalità, qualunque ne sia il prezzo. Sbattute sui giornali scene di violenza che mostrano tunisini e forze dell’ordine in guerra violenta ancora una volta offendono una terra che a lungo ha saputo e voluto condividere la propria esistenza con quella di chi a loro si è rivolto…

Ma la storia continua e noi, che in tanti siamo vicini e ammiriamo i Lampedusani che continuano a ragionare e continuano a comprendere anche le ragioni degli immigrati a fianco alle loro ragioni, se sarà richiesto, se sarà come credo utile, possiamo continuare il dialogo chiedendo direttamente ad alcuni di loro di spiegarci e condividere le loro idee: opinioni, avvenimenti, stati d’animo e comunque le loro parole di protagonisti in prima linea di eventi che ci riguardano tutti e che ci costringono a pensare alle isole Pelagie, che spesso non risultano neanche segnate sulle carte geografiche, come quegli scogli che appartengono a tutti e che tutti è bene che riconoscano e vedano iniziando dall’incanto delle loro acque.

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