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Parlare alla pietra

Parlare alla pietra

Marisa Papa Ruggiero - Un duello fra vita e morte, nel quale riesce a spuntare il verde, il fiato di donna, la poesia

Benassi Luca Domenica, 27/04/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2014




L’ultimo libro Marisa Papa Ruggiero, “Di volo e di lava”, pubblicato da puntoacapo editrice, è un poemetto di inconsueta intensità e profondità, dedicato alle Latomie siracusane. Si tratta di cave scavate nel corso di secoli per estrarre il materiale costruttivo, soprattutto calcare e marmo di grana finissima, per edificare Siracusa e i suoi monumenti. È stato calcolato che durante gli scavi, protrattisi fino ad epoca ellenistica e romana, siano stati estratti circa 4.700.000 m3, creando, in questo modo, un sistema di grotte, pareti verticali, giardini ricchi di palme e rampicanti, utilizzato nel tempo a scopo difensivo, come abitazione, come necropoli o luogo di culto, e come inespugnabile prigione. Tucidide racconta come, a seguito della sconfitta della spedizione ateniese in Sicilia del 414 a.c, nella Latomia dei cappuccini vennero rinchiusi i circa 7000 soldati superstiti della rovinosa missione dove, esposti senza riparo al sole e al freddo, morirono di stenti o furono venduti come schiavi. Le Latomie sono però essenzialmente luoghi di incomparabile bellezza, nei quali la Storia e le vicende umane si saldano e danno forma alla pietra e a una natura lussureggiante, a tratti estrema. Proprio come queste cave, incassate nella roccia e inaccessibili, così questo libro nasconde dietro una sua peculiare rocciosità iniziale, una straordinaria ricchezza di immagini e sensualità del linguaggio. Tutta la raccolta è pervasa da contrasti, di cielo e roccia, di pietra e vegetazione, tesi fino all’ossimoro, fino a sonorità che si scontrano e si innestano e si scavano, mirando a un luogo dell’inconscio, a un mistero occulto nel quale la parola si fa evocazione sciamanica. Ricorre più volte la dimensione dello scavo, dello spaccare la pietra, fessurarla, quasi alla ricerca di un nocciolo fossile. Marisa Papa Ruggiero dialoga con questo centro di pietra, con gli echi e le storie che questi rimandano, alla ricerca di un suono, una “sintassi interna”, struggente, ctonia e dolorosa, che riporta a un primordio del senso e della psiche, nella quale è possibile trovare la metafora aspra e primordiale della poesia. In questi testi, che a volte si fanno sintatticamente slabbrati e si spandono nel bianco della pagina, si gioca un duello fra vita e morte, nel quale riesce a spuntare il verde, il fiato di donna, la poesia. Questa si fa totalizzante, diventa essa stessa latomia, luogo meraviglioso nel quale si consuma la metafora totalizzante della parola. La poesia è, allora, “capovolta fossa di cielo”, aperta per sottrazione, attraverso lo scalpello e il cesello dell’artigiano del linguaggio che è il poeta.







Qui il silenzio fa eco

porta scintille fredde di rapina

in questa botola fossile

esplosa tutta in un punto



la incroci contromano

capovolta fossa di cielo

riflessa in lava mai spenta

e sei

vertigine fatta schegge

in un sacco di pelle

la nota sorda braccata in gola

che sbarra l’orma il passo



la benda blu istoriata sulla nuca



e sai e non sai cosa spezza

il silenzio

in questo versante a est dell’assedio

cosa avvampa lo sguardo

che intaglia il tempo alla pietra

al cuore carsico di un’infinita

sottrazione

la sua circolarità remota

la sua sintassi interna

devastante









È pazienza di linfa

il capillare verde

nato alla fenditura

del masso divenuto col tempo

adulto tronco

che a sé sopravvive

nella roccia



Cercalo lì

quel fiato



vivo di donna

per metà incastonato

nella rupe



e per metà rifluito

in una gemma











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