Dal 26 novembre ci vengono propinate pillole di notizie al riguardo dell’eventuale ritiro delle dimissioni da parte della consigliera del premier, ma il ruolo ricoperto dall'on. G. Martelli esigerebbe un approccio diverso sull' intera vicenda.
Venerdi, 04/12/2015 - E’ trascorsa già una settimana dall’annuncio delle dimissioni dalla carica di consigliera del premier sulle Pari Opportunità, comunicate dall’on. Giovanna Martelli a seguito di un precipuo episodio occorsole durante una votazione parlamentare, quale la mancata possibilità di anticipare il voto in aula, per consentirle la partecipazione ad un’iniziativa predisposta in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Dal 26 novembre ci vengono però propinate pillole di notizie al riguardo dell’eventuale ritiro delle dimissioni, accompagnate dalla divulgazione di altri particolari, sussurrati a mezza bocca, o di altre verità, veicolate pur sempre per il tramite dei media. Eppure il ruolo ricoperto dalla parlamentare mantovana esigerebbe un approccio diverso sull’intera vicenda.
Già quante sono impegnate sul fronte delle rivendicazioni, aventi ad oggetto i diritti, i bisogni e le aspettative delle donne italiane, avevano avuto modo di criticare la scelta del premier di tenere per sé la delega alle P. O., non attribuendola ad una ministra. Quando poi è intervenuta la designazione di G. Martelli all’incarico di sua consigliera in suddetta materia, si è compreso quanto l’arretramento della rappresentanza istituzionale fosse il frutto di una scelta politica ben precisa. E così, mentre in Francia si è assistito nel passato più recente alla nascita del Ministero di diritti delle donne, in Italia dalla ministra senza dicastero alle Pari Opportunità siamo passati alla viceministra al Lavoro con delega in tale ambito, per arrivare l’anno scorso alla nomina della consigliera del primo ministro a tale riguardo.
Nonostante siffatto cammino a ritroso, si è preso atto di questa nuova figura istituzionale e si è avviata con l’on. Martelli l’opportuna interlocuzione a volte pacifica e conciliante, altre volte animata e contrastata. Come è avvenuto per il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, contestato in maniera ferma e decisa da D.i.Re, Telefono Rosa, Udi, Pangea e Maschile Plurale, perché «il ruolo dei centri antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni e vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio». Confronto sul medesimo tema che si è invece ammorbidito nei toni ma non nella sostanza, quando poi si è andata a verificare la distribuzione delle risorse finanziarie messe a disposizione dal Piano. Su questo versante Actionaid il mese scorso ha denunciato che “la mancanza di dati e informazioni complete su come sono stati spesi i fondi stanziati attraverso la Legge 119/2013 rimane un fatto grave…. La trasparenza è un presupposto per poter valutare gli interventi e disegnare strategie future”.
Senonchè a questi dati, già di per sé preoccupanti, si è aggiunta la divulgazione di ulteriori notizie non proprio positive sulla eventualità che possano andare perduti 50 milioni di fondi comunitari in tema di Pari Opportunità per la mancanza dei progetti esecutivi, relativi all'inclusione sociale, all'occupazione e al contrasto delle discriminazioni delle minoranze, dai rom alle vittime di tratta, dalle discriminazioni per l’orientamento sessuale alle vittime di omotransfobia. Innestando questa prospettiva negativa sulla mancanza del nuovo direttore dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) e sull’assenza del dirigente capo del dipartimento alle P. O., si comprende quanto sia preoccupante il quadro generale in cui si vanno ad inserire le dimissioni della consigliera Martelli. Quello che ulteriormente manca alla comprensione è perché la sua vicenda personale e politica assuma connotati tipicamente privati. E, se pure leggiamo, un giorno sì e l’altro no, di suoi malcontenti “troppa disattenzione ai temi delle donne” e di sue lamentele “per la scarsa autonomia che le sarebbe stata concessa”, non si può certo essere serene nel comprendere come tentare di andare incontro a quanto le donne italiane si aspettano dalle figure istituzionali che dovrebbero svolgere funzione di guida politica nella materia.
Neppure la circostanza, desumibile dalla legge di stabilità 2016, che nel 2018 gli stanziamenti previsti per la Pari Opportunità passeranno dai circa 28 milioni previsti inizialmente per il 2016 (e ridotti a circa 25) a 17.597.000, riesce a compattare un fronte di precise rivendicazioni politiche da avanzare al premier, atteso che è ancora nelle sue mani la specifica delega. E se l’Italia è risalita di posizione nel Global gender gap report 2015, che misura il divario di genere in 145 paesi, proprio grazie ai maggiori progressi avuti nella sfera politica, potremmo anche attenderci che le nostre parlamentari si compattino in un unico fronte trasversale assumendo su di sé l’obbligo di fungere da cassa di risonanza di quante a loro si affidano e si fidano. Una delle prime istanze da proporre potrebbe essere, ad esempio, proprio la richiesta di istituzione di un ministero alle Pari Opportunità, che così uscirebbe dal limbo di una rappresentanza istituzionale non idonea al perseguimento dell’obiettivo di rendere il Paese più a misura di donna. “Se davvero il benessere della società e dell’economia dipende dal benessere delle donne e dal superamento delle discriminazioni di genere, diamo corpo a questa verità innegabile, sostenendo il cambiamento e il progresso di questa nostra Italia, per una volta dalla parte delle donne” (Simona Sforza). E, se cambiamento deve essere, si inverta il cammino a ritroso fatto nel tempo dal lontano 1996, anno di nomina della prima ministra alle Pari Opportunità, e si richieda a viva voce un vero e proprio ministero. Avanti tutta.
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