Silvia Vaccaro Domenica, 27/11/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2011
“Ma quello è tuo nonno?” “No, è il mio papà.” Chi di noi non ha mai assistito a un dialogo simile? Posticipare il momento della genitorialità è diventato una regola. Il 6% dei bambini nasce da donne over 40 ed è aumentato anche il numero di mamme over 50, famose e non. La maternità da sempre viene spiata, controllata, attaccata. “Mater certa est, pater numquam” dicevano i latini, proverbio che legittima a interrogare la donna per sapere con chi, quando, perché. La natura, che pone limiti alla fertilità femminile, non deve essere “forzata”, non bisogna essere egoiste, capricciose, e soprattutto non è accettabile l’idea di fare un figlio da vecchie. Gli uomini, liberi dall’angoscia della menopausa, non subiscono lo stesso trattamento. L’ISTAT ci dice che il divario di età tra i coniugi aumenta di molto nei casi padre italiano-madre straniera. Gli italiani fanno figli tardi soprattutto con una compagna straniera, di solito parecchio più giovane. Il giudizio su queste donne è spesso feroce: ree di aver incastrato un nostro connazionale inebetito, capaci di progettare la nascita di un figlio per tornaconto personale. Le donne, giovani o meno, italiane o no, sono al centro di polemiche e dibattiti vuoti e volgari, sul perché e quando hanno scelto di diventare madri. Al contrario, i padri canuti e pensionati, biologicamente arzilli, ci sono sempre stati e non suscitano tutto questo clamore né indignazione, sebbene siano numerosi i padri over 60 o 70 (almeno 10/20 anni più anziani della più anziana delle madri!). È chiaro che non siamo ancora in grado di concepire la genitorialità come progetto condiviso, in cui i ruoli siano ugualmente importanti e con responsabilità quasi del tutto interscambiabili. Trattandosi di una sfera personale e delicata, non esistono regole generali, né appare sensato fissare dei paletti, oltrepassati i quali si viene iscritti nel registro dei genitori inadatti e incoscienti. È altrettanto fondamentale però riconoscere che, in un mondo che corre velocissimo, diventa sempre più complesso gestire i rapporti genitori-figli, e un divario di età di 50-60 o addirittura 70 anni, può annullare qualsiasi tentativo di trasmissione della memoria e del senso del reale. Questo è ancora più vero nella nostra cultura occidentale: se, come ancora accade in alcune parti del mondo, la comunità intera si sentisse responsabile dell’educazione e della cura dei bambini che nascono in seno ad essa, il problema dell’età più o meno avanzata dei genitori sarebbe una falsa questione.
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