PAOLA NAZZARO, CARATTERE E CREATIVITÀ SENZA CONFINI
Originale, sensibile e pragmatica, pluripremiata per le sue molteplici attività. Una volitiva generosa, che lotta anche per le altre donne: lei stessa un caparbio inno all’emancipazione
Lunedi, 13/02/2017 - Costumista, scenografa, direttrice artistica e attrice: contaminazione lungo un unico percorso, o sfide? Sono una self made woman, le contaminazioni fanno parte del mio DNA. Sono curiosa, ho necessità di conoscere i diversi generi dal di dentro, assorbendoli per acquisire quelle conoscenze indispensabili a poter spaziare tra di essi: teatro, tv, cinema, moda, pubblicità e arti visive. Tutte sfide che si tramutano in carburante di esperienza e mi permettono di affinare lo stile. Potrei quindi definirle, contaminazioni lungo un percorso di sfide. Amo scovare mode e tendenze, utilizzando il mio fiuto da segugio globetrotter. Amo assemblare materiali inediti e passare dallo stile vittoriano a quello post apocalittico, dal pop alla lirica, dal western al musical. Un percorso fatto di rigore e tecnica, ma anche di creatività senza steccati. Sin da adolescente sognavo in grande e dalle nuvole di vapore di un mio sogno ricorrente, emergeva a tutto schermo, un nome a lettere scintillanti come quelli dei cartelloni dei varietà anni 50. Quel nome era Federico Fellini. Sentivo che il suo cinema evocativo, surreale, crudo e al contempo poetico, popolato di facce che sembravano uscite dai dipinti di Goja, era fatto su misura per il mio sentire. Avvertivo di appartenere a quell'immaginario e ne ero attratta, desideravo fortemente conoscerlo, ma non sapevo come fare. Mi ricordai che mia madre, che è la mia fan numero uno, mi aveva detto: “se vuoi qualcosa, vai e prendila, valle in contro, fai in modo che accada”. La presi alla lettera e mi lanciai senza rete! L’incontro con il maestro Fellini fu qualcosa di magico, per molti anni custodito nello scrigno dei miei ricordi lontano dalle luci della ribalta. Due mesi dopo l’incontro fui chiamata per una parte nel film “L’intervista” nel ruolo di un agente cinematografico, cioè quello per cui pur di incontrarlo, mi ero spacciata, prima di rivelargli che avrei voluto fare la costumista con lui. Dal dietro le quinte dello spettacolo a performer in Lady Burlesque: l’altra faccia della medaglia?
Nulla succede per caso: le cose accadono quando siamo pronti a farle accadere. Qualche anno prima che il burlesque approdasse in Italia, assecondando le mie percezioni, avevo creato una linea di bustini lussuosi e raffinati, che evocava l’audacia e l’erotismo di una certa letteratura francese dei primi del novecento. Da quel momento, per tutte le mie esigenti e bellissime amiche, ero diventata "Paulette". Avevo griffato ognuno di quei preziosi capi, bustier ricamati e corpetti steccati, stole e guanti dal forte spirito retrò, con il marchio Paulette Korpette, per sottolineare lo spirito seducente, ma ironico, di ogni creazione. Il successo era stato enorme: c’era una gran voglia di sedurre con ironia. Quando Sky annunciò le selezioni per Lady Burlesque chiesi un incontro con la produzione per propormi come costume designer del programma. L’incontro non finiva mai e la produzione continuava a fare domande sulla mia carriera, il mio carattere, i miei gusti... Dopo un paio d’ore, in cui continuavo a chiedermi i motivi di quell’interrogatorio, la produzione mi fece una proposta indecente: “Senta Paola, noi siamo naturalmente impressionati dalla sua professionalità come costumista, ma da quanto lei è entrata in questa stanza, ci siamo detti: questo è esattamente quello che stiamo cercando, lei è la nostra Lady Burlesque!”. Sbigottita, chiesi un paio di giorni per riflettere e alla fine accettai, consapevole che la sfida mi permetteva di riunire le mie grandi passioni: la danza, i costumi, la musica e lo spettacolo. Inoltre mi sentivo tutelata dalla certezza che sarebbe stato, come fu, uno show raffinato e di elevatissima professionalità. Non è stato facile mettere a tacere il mio naturale pudore, ma ce l’ho fatta, ed è stata un’esperienza liberatoria. Ho dovuto tirar fuori tutta la mia grinta per affrontare il palco, ma è stato talmente appagante ed entusiasmante, che lo consiglio a tutte le donne: lanciatevi! Strappate le catene delle inibizioni e concedetevi uno spazio tutto vostro di genuina e sfacciata femminilità! Durante Lady Burlesque, sotto il nome d’arte “Paulette Korpette”, ho riscoperto i valori di una seduzione elegante, irriverente e divertente, su quel palco ho potuto essere me stessa e nel contempo ispirarmi alle mie eroine preferite: Mata Hary, Marlene Dietrich, Josephine Baker, Betty Page, Tamara de Lempicka. Donne dalla fierezza imperiosa, padrone del loro fascino e del loro destino. Non è da tutti poter portare in scena i personaggi che abitano nel loro immaginario: io l’ho fatto! Come nasce la scrittrice di: Carezze, Korazze Skizzi di vita? Già a quattordici anni, quando studiavo al liceo artistico, ma coltivavo il sogno di essere una scrittrice della beat generation, ribelle e senza fissa dimora. Il mio diario di adolescente era la palestra per i miei primi esercizi letterari lontano da occhi indiscreti. Volevo diventare di nascosto una scrittrice come le mie sorelle di carta: Colette, Simone de Bouvaire, George Sande, Virginia Woolf, Anais Nin e Margherite Duras. Erano le mie confidenti, con loro mi sentivo a casa ed avevo costruito nella mia mente “una stanza tutta per me…”, un’alcova segreta dove potevo incontrarle. La passione bruciante per la scrittura mi ha seguita anche a Roma mentre frequentavo l’Accademia di Costume e Moda e non mi ha mai abbandonata. Ho sempre vissuto due vite. Una di superficie, nella quale sono stata prima studentessa e ora una professionista nel mondo della moda e dello spettacolo, e una underground nella quale sono una donna ammalata di scrittura, ribelle, non addomesticabile al dovere ed al politicamente corretto, consumata dalla passione. In questa mia second life, disubbidienza e divergenza equivalgono a libertà e salvezza della mia identità. Credo che Carezze sia solo la prima tappa di un sogno che si sta realizzando. Da poco ho ripreso a scrivere, e vedremo cosà scaturirà dalla mia penna ribelle e imprevedibile. Nel tuo libro racconti di esserti costruita una corazza da “Bambina d’acciaio”: perché? Riprendo una frase di Margherite Duras: “troppo presto fu tardi nella mia vita”. La vita non mi ha fatto sconti, ho incassato molti colpi, scoprendo di essere una buona incassatrice. Affrontando il modo del lavoro, ben presto ho capito che mi aspettavano terreni infidi, coi sabotaggi sempre in agguato: dovevo attrezzarmi. Dovevo costruire una corazza antiproiettile, fatta di competenza professionale, orgoglio e forza, dietro la quale nascondere le mie insicurezze, le mie carezze interiori e proibite, la mia poesia. Un mondo incontaminato, che temevo di esporre alla vita. Negli anni mi sono talmente blindata, fino a creare un alter ego: “Bambina d’acciaio”, indistruttibile, instancabile e performante. Una sorta di donna dal cuore di metallo, un cyborg formattato solo per il lavoro. L’amore per le motociclette è stata una conseguenza inevitabile, una sorta di tacita fratellanza tra macchina e macchina, che è arrivata quasi alla simbiosi. Se la mia cavalcatura d’acciaio perdeva olio, era quasi come se io stessa sanguinassi. Alla fine, però, affrontando i percorsi sterrati della vita, mi sono accorta che la spia d'emergenza dei sentimenti segnava rosso fisso. Ho capito che era il momento di rallentare, di immettere nuovo carburante nel serbatoio, senza il quale sarebbe stato impossibile proseguire. Così ho aperto un varco nella Korazza per far filtrare finalmente le Carezze, per far crescere fiori tra i bulloni e gli ingranaggi. Ho riscoperto i reali valori della vita: amore, amicizia e rispetto di me stessa. Bambina d’acciaio è come un costume di supereroe cucito sulla mia pelle. Nel frattempo è diventato un brand urban/glamour, tra acciaio e strada. Perché io non dimentico mai le mie origini di fashion designer. È uno stile dedicato alle donne di qualsiasi età, taglia, stile ed etnia, che sono pronte a rimettersi in piedi da sole quando cadono, senza frignare e senza aiuti, con la volontà, il rispetto di sé e la consapevolezza di voler rimontare in sella ai propri talenti. Da tempo un progetto aleggia nella mia mente: mi piacerebbe che Bambina d’acciaio diventasse un simbolo, un sinonimo di lotta a sostegno delle donne che hanno subito torti o violenze. Sto lavorando a un’iniziativa nella quale far coesistere l’arte, la cultura e la lotta contro gli abusi sulle donne. Non solo quelli che lasciano segni tangibili, ma anche quelli subdoli e nascosti, che incidono cicatrici invisibili sull'anima.
Esiste una formula per trasformare il dolore in creatività? L’unico modo è avere coraggio, credere, avere fede nel proprio sentire. Dedicarsi con tutte le proprie forze all'ascolto del proprio dolore, sino ad arrivare a togliere la sporcizia da sotto il tappeto, ad aprire porte e finestre della propria coscienza e guardare diretto negli occhi il problema. Ci vuole temperanza ed esercizio costante. Si comincia lasciando una traccia sul foglio delle nostre mareggiate interiori e si prosegue attraverso un meticoloso lavoro di scavo interiore, sino a individuare la forma del nostro dolore e plasmarla, trasformandola in creatività. Conta maggiormente l’ambiente di provenienza o quello circostante, per coltivare il proprio talento?
Avermi consentito di lasciare Avellino quando ero una ragazza diciassettenne per frequentare l’Accademia a Roma, mi ha certamente permesso di far crescere i talenti che si agitavano dentro di me. Quando sei un’adolescente inquieta nata in provincia, avverti l’ambiente che ti circonda come uno steccato che limita le tue prospettive. Solo più tardi capisci l’importanza delle tue radici. È naturale che arrivare negli anni ottanta, a Roma, città ancora culturalmente dinamica, è stato come gettare benzina sul fuoco delle mie passioni. Basti pensare che un anno dopo il mio arrivo nella capitale, lavoravo con Fendi a Palazzo Ruspoli come fashion designer. In quegli anni pensavo che fuggire dalla mia città aveva salvato la vita ai miei talenti. Solo più tardi ho capito che dalla propria terra non si può scappare, perché ti resta sempre dentro come un codice a barre di riconoscimento. Puoi girare il mondo, come ho avuto la fortuna di fare, puoi ricevere riconoscimenti professionali a New York o a Hong Kong, ma un pezzo della tua terra è sempre in quello che fai, in quello che scrivi. Tutti dicono che la caparbietà è una delle mie caratteristiche principali, non c’è dubbio che sia un tratto tipicamente irpino. Tutto conta per far emergere il talento: le origini, la famiglia, le esperienze, la casualità. Un mix di elementi, che devono amalgamarsi con la giusta chimica.
Quando bellezza e intelligenza possono convivere, senza che la prima ostacoli la seconda? Ho sempre inteso l’intelletto, come l'ornamento più bello per una donna. Per questo, per molti anni ho cercato di occultare la mia femminilità, mimetizzandomi in tute di pelle da motociclista, irte di borchie e spunzoni. Anche questo faceva parte della mia corazza. Non ho mai sfoggiato le armi che ho avuto in dotazione dalla natura. Non appartiene alla mia cultura. Quando ho affrontato la difficile prova di Lady Burlesque, ho preferito puntare sull’ironia, piuttosto che sulle forme. La sensualità scaturisce dal messaggio che si riesce a inviare, molto di più che dalla biancheria succinta che si indossa. Non c’è mai stata interferenza tra le mie doti fisiche e il mio intelletto, perché non ho mai avuto dubbi su chi dovesse comandare tra i due. Le donne hanno raggiunto l’agognata parità o si tratta piuttosto, di finzione?
La realtà inconfutabile è che, ancora oggi la donna deve lavorare doppiamente e doppiamente eccellere, per vedere riconosciute le proprie potenzialità e capacità. Ed è quello che molte donne stanno facendo, mostrando una preparazione e una determinazione molto superiori a quelle dei loro coetanei maschi. Mi spiace invece constatare, come molte altre donne, nonostante la tante battaglie condotte per l’emancipazione, scelgano una strada vecchia e superata, accontentandosi di una rassicurante routine familiare senza assecondare le loro ambizioni. È triste soprattutto constatare come queste donne siano molte volte ostili nei confronti di quelle che si battono per affermarsi, essere indipendenti e non discriminate. Ed è ancora più triste constatare come, ancora oggi, molte donne restino imprigionate in rapporti di coppia malsani, governati dall’egoismo e dalla prevaricazione di certi uomini, con le conseguenze che purtroppo tutti conosciamo. Un cambiamento reale avviene solo attraverso la lotta ai propri diritti, e per la propria autoaffermazione. Più che parlare di parità tra uomini e donne ho sempre preferito parlare di pieno riconoscimento della diversità tra i due generi. Quando verrà riconosciuto alla donna il diritto di essere se stessa senza doversi piegare ad emulare i comportamenti maschili per poter ottenere gli stessi diritti, allora avremo raggiunto l’obiettivo. Quando penso al maschilismo ancora presente nella nostra società, mi riferisco soprattutto alle strutture di pensiero e comportamentali che la caratterizzano. Non c’è ancora un pensiero al femminile stabilmente affermato, si pensa e si agisce ancora secondo canoni comportamentali tipicamente maschili. Avverto l’esigenza di dare un mio contributo, per cui sto lavorando a un progetto che vada a sostegno delle donne violate. Nel corso degli anni ho sempre voluto stare dalla parte delle donne che soffrono. Ho scritto poesie, dipinto quadri, realizzato costumi e sto lavorando a una linea di abiti/scrittura dedicati a loro. Ora, è come se tutte queste creazioni mi stessero chiamando e mi stessero chiedendo di farle scendere in campo per compiere la missione per la quale sono state realizzate. Penso ad un mostra ma, vedremo, non posso anticipare troppo!
Intanto Paola è stata selezionata a: Va in scena lo scrittore, Concorso Federazione italiana Scrittori FUIS International, nella categoria Racconti e poesia.
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