Palestina - Il libro di Giusi Ambrosio aiuta a capire il dramma infinito di quelle terre
Rosanna Marcodoppido Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2008
Giusi Ambrosio ha scritto un libro denso, bello, emozionante nel desiderio di restituire l’esperienza del suo andirivieni tra Italia e Palestina, dove si è più volte recata per raggiungere sua figlia impegnata in una Agenzia dell’ONU per i rifugiati.
Nel difficile tentativo di mettere ordine ad un materiale vario, di dare conto di una esperienza conoscitiva ed emotiva intrecciando racconto, documentazione storica, riflessione filosofica e politica, Giusi registra la difficoltà a trovare le giuste categorie interpretative e l’inadeguatezza di quelle a disposizione. Occorrerebbe, lei dice, una nuova modalità del pensiero, una filosofia ancora da elaborare dove corpo e linguaggio, ragione e sentimenti non siano nettamente separate né separabili. La scelta del titolo è indicativa: lo spicchio, infatti, arriva fino al centro del frutto, ne costituisce la sostanza, così come lo sguardo che si concentra su un elemento, un pezzo di realtà per raggiungerne il cuore, il senso più profondo e meno evidente. Ogni situazione è uno stimolo per riflettere, andare oltre la percezione più scontata, interrogare le proprie emozioni per riconoscere, intere, le ragioni dello sconcerto, del dolore, dello stupore. E’ uno sguardo sessuato, allenato a vedere il mai detto, il mai visto o a illuminare di nuovo significato l’ovvio in quanto parte di una struttura arcaica mai indagata fino in fondo (il dominio maschile, la violenza sessuale, la guerra, il terrorismo….). C’è nel suo dire il bisogno costante di rivisitare i simboli, decodificarli, mostrare la fragilità dei miti senza per questo sentire la necessità di costruirne nuovi.
L’esercizio della maternità rende possibile guardare e parlare tenendo presenti corpo, mente, sentimenti. Ma Giusi riesce ad andare oltre la naturalità del materno e le sue idealizzazioni, le sue trappole. Al contrario, analizzato nei suoi risvolti soggettivi, storici, politici, religiosi il materno si libera dalle scorie millenarie di cui l’ha rivestito l’ordine patriarcale includendolo nelle sue logiche, e si apre al rischio dell’inedito, diventa luogo di costruzione di libertà per sé e per l’altra. Solo una madre libera può dare e rendere pensabile la libertà. Il suo racconto si snoda soprattutto nella rappresentazione del quotidiano filtrato da uno sguardo attento e consapevole di sé: cosa materialmente e simbolicamente significa vivere da un lato l’occupazione come mancanza di libertà, sottrazione del tempo e dello spazio, dall’altro la paura costante di subire attentati. Tra racconti di controlli snervanti, muri e sbarramenti, incontri che emozionano e situazioni paradossali si aprono domande inusuali:”Se in questo luogo, quando in questo luogo si costituirà un nuovo Stato indipendente, quali elementi costitutivi saranno immessi dalle donne? In quale modo, in quale patto, in quale condizione sarà possibile per le donne essere costituenti?”. “Spicchi di Palestina” (Ed Punto Rosso, pg 248, euro 13,00) è un testo complesso, difficile da sintetizzare. Va letto con cura, se si vuole davvero capire il dramma senza fine che si continua a consumare in quella parte del mondo e se si desidera dare adeguato sostegno alle soluzioni più giuste ed efficaci.
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