Sondaggio di gennaio - ... Finalmente se ne discute !
Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007
Secondo i dati Istat, crescono le nuove tipologie familiari. Complessivamente sono circa 5 milioni le famiglie che l’Istituto Nazionale di Statistica definisce come “nuove forme familiari”: single, genitori soli non vedovi, coppie di fatto celibi e nubili, coppie in cui almeno un dei due partner proviene da una precedente esperienza coniugale. Sono circa 600mila le libere unioni (convivenze non sancite da matrimonio), 700mila le famiglie “ricostruite” (cioè formatesi dopo lo scioglimento di una precedente unione coniugale di almeno uno dei partner); convivono il 19% dei gay tra i 35 e i 39 anni e il 32% delle donne omosessuali della stessa età. In prevalenza lettrici e lettori di noidonne ritengono (70%) che in presenza di una società mutata, nella quale anche il concetto di famiglia muta, affrontare la questione delle unioni civili rappresenta un modo per riconoscere questi cambiamenti. Per il 15% il Governo non potrà esimersi dall’attuare dispositivi ad hoc, così come previsto dal programma e per il 15% dovrà farlo entro i termini della legislatura. Molte risposte ribadiscono che il tema delle unioni civili debba comprendere anche quelle omosessuali, e vengono identificate come problematiche/criticità tutti gli aspetti legati ai figli (ivi compresa l’adozione), ai diritti di successione, alla cura e l’assistenza del/della convivente, al subentro come titolare nel contratto di affitto o alla pensione di reversibilità. Un primo passo appare l’accordo della maggioranza di governo, che ha stabilito di presentare un progetto di legge gennaio 2007, raccogliendo quanto scritto nel programma della coalizione, e cioè il "riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto" precisando che "al fine di definire natura e qualità di un’unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà". La rilevanza statistica delle unioni civili, e l'ampio dibattito sulla parità dei diritti tra etero- ed omosessuali promosso dai militanti gay, ha fatto sì che numerosi Paesi si siano dotati, negli ultimi anni, di una legislazione per riconoscere e garantire diritti per i componenti dell'unione. Nell'Unione europea il quadro relativo alla legislazione sulle convivenze è oggi molto variegato:
• alcuni Paesi hanno adottato l'unione registrata, chiamata anche partnership o coabitazione registrata, che garantisce specifici diritti e doveri anche alle coppie dello stesso sesso. I diritti e doveri possono essere identici, lievemente diversi o molto diversi da quelli delle coppie normalmente sposate. La registrazione è a volte aperta anche alle coppie etero non sposate; è il caso del Pacs ("Patto civile di solidarietà") approvato in Francia.
• altri Paesi hanno scelto di regolarizzare le unioni civili con la coabitazione non registrata, con la quale alcuni diritti e doveri sono automaticamente acquisiti dopo uno specifico periodo di coabitazione. La coabitazione non registrata è valida, quasi esclusivamente, per le coppie etero non sposate.
• Altri ancora - Olanda, Belgio e Spagna - oltre ad aver approvato il riconoscimento giuridico delle coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali.
Nel 2000 con una risoluzione il Parlamento europeo, chiese ai quindici paesi dell’Unione di "porre fine agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni". Nel 2003 l’Europarlamento ribadì queste tesi adottando una nuova risoluzione, con cui ha invitato ancora una volta paesi come l’Italia a dotarsi di una normativa adeguata. La questione ha visto il formarsi di schieramenti contrapposti. Dalle colonne dell’Avvenire (11 gennaio 2007), Francesco D’Agostino – ordinario di Filosofia a Tor Vergata/Roma – afferma che nel caso delle coppie di fatto “ci siano esclusivamente esigenze di legittimazione simbolica e nessuna esigenza sociale reale e concreta da tutelare”. Per risolvere le questioni dei diritti, queste “potrebbero essere tranquillamente risolte addirittura senza ricorrere allo strumento della legge, ma con una normativa di tipo amministrativo”. In merito a un contratto-tipo lo vede possibile “solo per regolamentare non le convivenze more-uxorio, semmai quelle temporanee, extra-affettive che coinvolgono ad esempio lavoratori in trasferta, studenti che condividono appartamenti...”. Stefano Ceccanti, capo dell'ufficio legislativo del Ministero delle Pari Opportunità, afferma che “il riconoscimento delle coppie di fatto" rappresenta una modalità per estendere alcuni diritti, e “con la registrazione dell'unione da parte dello Stato aprirebbero le porte ad una gamma più ampia di diritti e doveri”. La legge oggi è necessaria perché “le coppie di fatto hanno una tutela a chiazze, dovuta quasi solo alla giurisprudenza che ha riconosciuto diritti volta per volta, sulla base dei casi concreti sottoposti all'attenzione dei giudici. Le nostre proposte- prosegue - consistono nel dare efficacia dichiarativa (e non costitutiva di diritti, se non come eccezione) alla registrazione delle persone facenti parte dell'unione, in radicale distinzione rispetto al matrimonio”.
(27 febbraio 2007)
Lascia un Commento