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Otto marzo: tra bambine sparite e piccoli scontri di civiltà

Otto marzo: tra bambine sparite e piccoli scontri di civiltà

In questi giorni tante ricerche ci dicono cose sulle donne: se aumenta la partecipazione politica in Italia, spariscono le bambine non solo in Asia ma anche in alcuni paesi europei. Un'informazione superficiale ne parla solo per...

Mercoledi, 10/03/2010 -
Oggi, camminando per strada, mi è capitato di ricevere varie volte gli auguri da parte di sconosciuti ragazzi o signori. Devo dire che non ho gradito molto, perché per una donna della mia generazione scatta automatico il riflesso di quando da giovane veniva importunata per strada (forse alle ragazze di oggi capita meno di frequente), e sospetto subito che gli auguri siano una riedizione maldestra del tentativo di importunare. Ma forse mi sbaglio.



Comunque meglio le ricerche. In questi giorni ne tirano fuori una montagna. Mi limito ad elencarle.



L’Istat pubblica una ricerca sulla partecipazione politica delle donne, con una particolare attenzione alle differenze territoriali, da cui risulta che le donne si interessano meno di politica, si informano di meno, ne parlano di meno. Ad esempio, nell’età adulta per eccellenza, fra 35 e 44 anni, parlano di politica almeno una volta a settimana un terzo delle donne e più della metà degli uomini (vedi il graf. 2 del comunicato stampa).



Naturalmente, se le donne hanno studiato e se hanno un lavoro, le differenze con gli uomini si riducono parecchio. Si potrebbe pensare che le donne non si informano di politica perché non hanno tempo. Sbagliato: dicono (come gli uomini) di non avere interesse e di non avere fiducia. A Sud va molto peggio (tra l'altro questi dati si presterebbero molto bene alle analisi sul capitale sociale, al posto delle solite usurate statistiche sulle donazioni di sangue). Ho visto con un certo sollievo, visto che mi considero napoletana part-time, che la Campania, almeno sotto questo aspetto, è messa meglio di Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata.



Tutto male ? Niente affatto. L’Istat confronta i risultati di questa indagine (2009) con quella del 1999 e dice (pag. 12) che “aumenta la frequenza con cui si parla e ci si informa di politica: coloro che ne parlano almeno una volta a settimana passano dal 30,6% del 1999 al 39,4% del 2009, quelli che si informano almeno una volta a settimana dal 54,0% al 60,7%, e l’aumento riguarda soprattutto le donne: in un decennio le donne che parlano di politica almeno una volta alla settimana sono cresciute del 46,9%, più del doppio degli uomini (+18,8%)”. Speriamo bene.



L’Ocse dedica questa settimana alle donne, pubblicando ogni giorno un tema: salari, lavoro, orari di lavoro /tempo libero (la fonte è "Society at a glance"). Ne risulta che noi italiane siamo messe peggio delle altre occidentali. Se volete continuare a deprimervi, per l’Unione europea potete consultare il Report on equality between women and men 2010 (raccomandabile soprattutto per dati e grafici, mentre il testo lo trovate sul sito anche in italiano).



L’Economist dedica un’ampia inchiesta al “gendercide”, cioè alla mancata nascita di oltre 100 milioni di bambine in Asia. Le cause? La combinazione devastante di pregiudizi secolari, di una crescente preferenza per pochi figli (soprattutto nelle famiglie del ceto medio), dell’accesso ormai molto facile all’ecografia (costa non più di 12 dollari e oggi tutti se la possono permettere). Nulla nell’articolo dell’Economist fa pensare ad un “genocidio di stato” (l’aborto selettivo per sesso fu vietato in India nel 1994 e in Cina nel 1995), ma a taluni nostri giornalisti l’espressione piace tanto: oggi è Pierluigi Battista sul Corriere della Sera ad usarla.



In realtà, l’eccesso di nascite di ragazzi, che poi da adulti non possono trovare moglie, causa solo problemi agli stati, e non si vede per quale motivo dovrebbero favorirla. Semmai, è giusto esigere che organizzino politiche mirate ed efficaci per combatterne la diffusione.



Il fenomeno appare in drastica diminuzione, fortunatamente, in Sud Corea, grazie ad un positivo cambiamento culturale, e invece comincia a diffondersi oltre i confini dell’Asia, a livello globale, in Armenia, Georgia, Bielorussia e perfino alle soglie di casa nostra, in Serbia e Bosnia.



Ho dedicato al problema delle bambine sparite in Cina e India uno dei primi post di questo blog, e quanto ho scritto rimane purtroppo attuale. Leggendo gli articoli dell’Economist c’è di che essere terrorizzati, ben al di là delle beghe di cortile di casa nostra (alle quali guardano gli articoli italici).





Sempre il Corriere della Sera di oggi (a pag.25) dice che nei paesi musulmani il 40% delle donne è analfabeta. In attesa delle proteste diplomatiche di vari paesi, ho consultato l’Human Development Report 2009 e ho visto che in Indonesia il tasso di alfabetizzazione della popolazione oltre i 15 anni (adult literacy rate) è il 92%, nel Qatar il 93%, in Libia l’87%, in Arabia Saudita l’85%, dati tutti incompatibili con un analfabetismo femminile di quella dimensione. Roba da matita blu, che non si sopporterebbe neanche in un bollettino parrocchiale, figuriamoci sul principe dei quotidiani italiani. Ma perché non si documentano? Oppure vogliono dare il loro piccolo contributo allo “scontro delle civiltà”? Non se ne sente proprio il bisogno…

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