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Donne dello spettacolo l'otto marzo. Perché Antigone sciopera?

Donne dello spettacolo l'otto marzo. Perché Antigone sciopera?

Le piazze si sono riempite di una marea femminista che da #metoo è diventata #wetoogether. Anasuromai: la protesta delle lavoratrici dello spettacolo

Domenica, 11/03/2018 - L'otto marzo le piazze nuovamente si sono riempite di una marea femminista che da #metoo è diventata #wetoogether , percorso che vede donne di tutto il mondo prendere parola pubblicamente. Nonunadimeno (comunicato in noidonne.org) in Italia promuove lo sciopero globale, ricordando a tutte e tutti che l’otto marzo non è una ricorrenza da festeggiare, ma una giornata in cui mobilitarsi per “una trasformazione radicale della società: contro la violenza economica, la precarietà e le discriminazioni, per sovvertire le gerarchie sessuali, le norme di genere, i ruoli sociali imposti, i rapporti di potere che generano molestie e violenze” . A novembre scorso il movimento nonunadimeno ha presentato il PIANO FEMMINISTA CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE E LA VIOLENZA DI GENERE, 50 pagine dense di di contenuti.

Nel quadro dei cortei e delle iniziative di vario tipo (qui una mappa) anche alcune lavoratrici dello spettacolo hanno voluto portare il loro punto di vista in relazione alla propria esperienza di lavoro adottando la pratica di “alzarsi le gonne” (#anasuromai) in luoghi simbolici scelti appositamente per questa giornata: sotto l'obelisco su lungotevere Maresciallo Diaz e davanti il cavallo della RAI nel quartiere Prati. Lavorare nello spettacolo avendo un punto di vista di genere è qualcosa che trovo molto interessante per vari motivi, uno tra tutti è il confrontarsi con uno degli strumenti più potenti nella creazione di narrazioni e immaginari. Le ho cercate per porre qualche domanda:

Anasuromai. Come mai avete scelto questo tipo di azione? Perchè "alzarsi le gonne"?
L'idea è nata l'anno scorso, per lo sciopero dell'8 marzo. Siamo un gruppo fluido e informale di lavoratrici del mondo dell'arte, dello spettacolo, della cultura, in vari ruoli, da quelli artistici a quelli tecnici o autoriali. In questi ultimi anni abbiamo costruito relazioni trasversali, oltre che negli ambiti lavorativi, soprattutto nei movimenti dei commons culturali e per i diritti delle precarie/i e intermittenti dello spettacolo, che hanno anche portato all'occupazione di spazi in giro per l'Italia. Così, rispetto alla partecipazione allo sciopero femminista, ci siamo interrogate su come starci dentro e portare un contributo. Abbiamo pensato fosse importante parlare al nostro settore, anche alle non militanti, allargando i confini del discorso. Così è nata la chiamata di Antigone Sciopera: Seppellitevi da soli! (ndr. il comunicato in calce) Poi volevamo fare qualcosa mettendo in gioco i nostri corpi - non qualcosa di "performativo", ma azioni politiche corporee nello spazio pubblico. Corpi in azione, corpi parlanti, corpi soggetti desideranti. L'azione è frutto di un percorso fatto con le sorelle di Macao e Ambrosia a Milano, che hanno costruito un laboratorio di immaginazione, e abbiamo elaborato a distanza in connessione. Su le gonne, mostrare la vulva come gesto: irriverente, di conflitto, ma anche gioioso e collettivo, contro il potere patriarcale e sessuofobico in ogni parte del mondo. Rispetto al movimento NonUnaDiMeno, avevamo il desiderio - anche in quanto artiste, performer, precarie che lavorano con le idee e le immagini e i corpi - di mettere in gioco immaginari nuovi, sovversivi, non rassicuranti. Sperimentare linguaggi. Anasuromai è un gesto che ha origine nei culti arcaici, ma noi lo rovesciamo, lo queerizziamo. La fica come anatomia politica, fantastica, non come identità biologica. Organo transfemminista, naturale o artificiale è lo stesso, più lingua nei linguaggi! Mostrare la fica tutte insieme, come grido di battaglia, nello spazio pubblico. All'Altare della Patria, o del Patriarcato (che è lo stesso), lo scorso anno. Questo 8 marzo all'obelisco che ancora porta l'incredibile scritta "Mussolini Dux", rovesciando con una pratica contrasessuale il Fallo fascista in un dilDUX rosa, per decolonizzare i monumenti e risignificare la città. Su fascismo e razzismo c'è bisogno di prendere parola, non è un campo da lasciare allo scontro muscolare tra bio-maschi. E poi alla RAI, alziamo le gonne e sotto c'è scritto "nonèlarai": è un atto di accusa al sessismo violento dei media, colpevolizzante e vittimizzante al tempo stesso, che sessualizza i corpi di giovanissime adolescenti, ai limiti della pedofilia, come nel caso dello storico programma e poi condanna Miriana Trevisan o Asia Argento o le altre che denunciano. Un gesto di complicità dunque, per dire: sorella io ti credo. Contro ogni moralizzazione, siamo tutte cagne, tutte puttane.

Oltre alle molestie di tipo sessuale, ci sono altri altre problematicità specifiche legate al genere?
Un primo elemento è il nesso tra genere e precarietà. Noi lavoriamo con il corpo, con le emozioni, con le idee, con le relazioni, con i desideri, e tutti questi elementi della nostra vita e della nostra intelligenza sono messi al lavoro e producono valore nel mercato, ma poco reddito per noi. È il femminismo che ci insegna a riconoscere il lavoro di genere e riproduttivo come un lavoro, e queste forme immateriali, affettive, relazionali del lavoro riproduttivo e del lavoro creativo si assomigliano. Lo scriviamo nella chiamata allo sciopero, che il nostro è un lavoro difficile da definire: lavoriamo la sera, lavoriamo tutto il resto del giorno, siamo dipendenti, a collaborazione, a progetto, a gratis, partita iva, ritenuta d’acconto, al nero, lavoriamo a cachet, a forfait, 70/30, a contratto, a serata, autorganizzate, per piacere, per passione, dietro il bancone di un bar. Siamo sempre dal vivo. E il piacere non è un segno che siamo al riparo dallo sfruttamento, anzi! Nel mondo dell'arte e dello spettacolo, come in altri settori, la precarietà è più forte per le donne. Ma a questo elemento se ne salda un secondo, che riguarda il sistema di rappresentazioni. Non solo le donne hanno meno reddito, meno potere, sono sottoposte a molestie e pressioni più o meno riconoscibili, ma si trovano a interpretare ruoli - pensiamo al teatro, ma soprattutto al cinema, alla televisione - che riproducono un sistema simbolico sessista. Per questo la domanda che vogliamo rivolgere al nostro mondo non è solo in che modo possiamo astenerci dal lavoro, ma come possiamo scioperare i ruoli, di genere ma anche i ruoli della rappresentazione? Quali sceneggiature scriviamo? A quali immaginari diamo corpo? A quali personaggi diamo voce? Come interrompere e rovesciare questa violenza simbolica? E questo non è risolvibile dal lato della censura, come abbiamo sentito talvolta invocare durante l’ondata dei #metoo, ma per noi piuttosto al contrario: proliferando gli immaginari, delirando e moltiplicando i linguaggi, occupando il discorso, aumentando la potenza espressiva e produttiva dei corpi altri, inventando continuamenti nuovi segni e nuove parole per nominare. Dal lato del più, non dal quello del meno.

E' possibile praticare "sorellanza" nell'ambito dello spettacolo? In che modo?
Nell'ambito dello spettacolo e dell'arte i meccanismi che sono in gioco tendono a individualizzare, a creare competizione tra pari e la sempre minore disponibilità di economie e la riduzione di spazi indipendenti amplifica e rafforza questo effetto. Ma questo è ormai vero per tanti ambiti lavorativi, ancora una volta ci sentiamo di dire che quello artistico non è un ambito eccezionale, o di privilegio, ma può funzionare come paradigma di quel che sta succedendo al lavoro in generale. Sicuramente un piano che ci sembra generativo è aprire spazi, istituire luoghi di produzione, piattaforme, basi, stazioni orbitanti. Istituire altrimenti, anche questa è una lezione che ci arriva dai femminismi, dare alle pratiche spazio fondativo. E questo vale non solo per le pratiche politiche, ma anche per i luoghi di produzione culturale e artistica. Nuove forme organizzative per immaginari rivoltosi. Anche il mito dell’artista/autore – unico irripetibile e separato dal mondo – è un mito patriarcale, che ci separa dalle altre. Dobbiamo allenarci a scioperare l’identità, scioperare il proprio nome e cognome, la propria biografia individuale richiesta dalle narrazioni dominanti. Questi sono i luoghi dove altre pratiche relazionali - non competitive, complici, di prossimità corporea - diventano attuali, se ne può fare esperienza e non solo evocarle teoricamente. Poi possiamo divertirci a immaginare e praticare piani di alleanze favolose, anche per scombinare le appartenenze di categoria. Come lavoratrici del corpo e delle passioni sentiamo una somiglianza di famiglia tra il lavoro corporeo della Body Art, della performance o del teatro e il Sex Work. Per secoli le attrici non sono state sepolte nei cimiteri, ma in terra sconsacrata. Di notte, di nascosto, senza riti. Come le puttane, e questo ora è per noi un motivo d’orgoglio.

Di seguito il comunicato:
Seppellitevi da soli: Antigone sciopera!
#LottoMarzo #nonunadimeno
#sulegonne #wetoogether
Il mondo dell’arte e della cultura non è un ambito di privilegio, ma uno spazio segnato dalle disuguaglianze e dalla precarietà. E, come abbiamo visto quest’anno, anche dalla violenza e dalle molestie. Come gli altri. Usciamo fuori. Scioperare è un nostro diritto e oggi 8 marzo è sciopero globale e femminista delle donne, delle lesbiche, dei gay, delle trans, di tutte le identità mutevoli contro la violenza maschile.
Scioperiamo da un immaginario machista e dagli stereotipi di genere. Scioperiamo dai culi perfetti, dai visi senza rughe. Scioperiamo per poter mettere in scena corpi altri, altre immagini, altri suoni, altri testi. Sovvertire le forme. Inventare nuovi immaginari.
Sciopero dei generi, dai generi e da tutti i ruoli.
Il nostro è un lavoro strano. Quando comincia? Quando s’interrompe? Come ci si astiene? Cinquanta minuti, un’ora, due, un'istallazione di tre giorni, un cameo di ventitrè secondi. Che sia su un palco, in strada, da un balcone, davanti o dietro una telecamera, con le dita su un mixer, in consolle, davanti allo schermo di un pc. Siamo sempre dal vivo. Un live set che non finisce mai.
Lavoriamo la sera. Lavoriamo tutto il resto del giorno. Lavoriamo quando capita, quando si può e spesso anche quando non si può. Siamo dipendenti, a collaborazione, a progetto, a gratis, partita iva, ritenuta d’acconto, al nero, lavoriamo a cachet, a forfait, 70/30, a contratto, a serata, autorganizzate, per piacere, per passione, dietro il bancone di un bar. “Per fare esperienza" o "per farci un nome”. Per rifarci le tette. E per campare.
Sex Work o Body Art: il lavoro è lo stesso. Per secoli le attrici non sono state sepolte nei cimiteri, ma in terra sconsacrata. Di notte, di nascosto, senza riti. Come le puttane, e questo ora è per noi un motivo d’orgoglio. Danzatrice del TanzTheater o ballerina di pole dance, il lavoro è lo stesso. Sogniamo un’alleanza tra tutte le lavoratrici del corpo e delle passioni e dei desideri.
Sorella io ti credo. Non abbiamo solo tre sorelle, ma tante e sono tutte in lotta e molto incazzate.
AntigoneSciopera
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Note e link:
1- PIANO FEMMINISTA CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE E LA VIOLENZA DI GENERE
2-mappa eventi 8 marzo 2018
3- laboratorio di immaginazione Macao e Ambrosia a Milano 
4- Paul B. Preciado, "Manifesto contra-sessuale ", 2002, pg 160, Editore Il Dito e la Luna (collana Vibrazioni), ISBN 88-86633-21-1.

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