Sembra proprio il momento giusto. Impazza Conchita Wurst con la sua voce straordinaria e il suo sguardo da gatta e quella barba compatta, scura, definita, che ricorda come la bellezza e il pregiudizio abitano solo negli occhi di chi guarda. E che dire del piccolo gioiello nostrano, il documentario “Fuoristrada”, che racconta la storia d’amore di due donne di cui una è sia Pino che Beatrice, e di come si possa andare avanti ad amarsi, nelle difficoltà, incuranti dello sguardo incuriosito, o peggio, giudicante degli altri. Un miracolo tra i miracoli, quelli che costantemente accadono in questo paese strano per mille e più motivi. Come ad esempio la mancanza di una legge contro l’omofobia (quella, che aspetta ancora l'approvazione al Senato, ha ricevuto aspre critiche da parte della comunità LGBT) e della regolamentazione delle unioni civili per coppie formate da persone di sesso uguale o diverso.
Questa che sembra la solita retorica non lo è affatto. Siamo rimasti i soli in Europa con uno Stato cieco e sordo ai diritti della comunità LGBTQ , che ieri, ancora una volta, la ventesima volta, ha sfilato per le strade della capitale per festeggiare l’orgoglio omo-transessuale e per chiedere quello che è giusto chiedere. Da sempre, e anche quest'anno, non sono mancati anche all’interno della comunità pareri contrari al Pride. Voci di ragazze e ragazzi omosessuali che non si sentono rappresentati e tutelati da una sfilata di carri a ritmo di musica e a suon di piume colorate. Da loro questa parata è percepita come un modo di ghettizzarsi e di rendere le differenze ancora più evidenti, un “mostrare tette e culi che non porta da nessuna parte”.
Ma la dialettica all’interno dei movimenti è la sua stessa forza vitale e non è preoccupante che ci siano anche omosessuali che si discostano dall’idea che la militanza coincida con una presenza in prima fila al Pride. C’è stato e ci sarà sempre posto per varie forme di impegno, ognuno trovi il suo. Forse però propro quest’anno il Pride è stato importante perchè al Governo c’è un Premier di 39 anni che ha ribadito più e più volte, prima di insediarsi, l’urgenza di rendere questo paese normale attraverso l’adozione di strumenti legislativi a tutela delle coppie conviventi a prescindere dal sesso dei partner, e che ha spesso ricordato la necessità di una legge di contrasto all’omofobia. Servirebbero pagine per riportare dichiarazioni e gli attivisti del Pride lo hanno fatto con un video pubblicato sul sito e sui social della manifestazione per chiedere esplicitamente a Matteo Renzi, nella giornata dell’orgoglio, di metterci la faccia (riprendendo il fantastico slogan di quest’anno ideato da straordinari maestri di comunicazione) e di ricordarsi delle promesse, tante, fatte nelle sue varie campagne elettorali in occasione delle primarie PD.
Si chiede, con maggiore forza, ad un interlocutore che di questi temi ha parlato nei suoi discorsi in varie occasioni, di agire. Se è vero che la comunità LGBT lotta da vent'anni, è anche vero che mai come adesso molte persone che di quella comunità non fanno parte sono al loro fianco e si muovono per cambiare lo stato di cose. E' la società che è cambiata e continua a mutare in meglio. E' lo sguardo straniero di una militante spagnola che fa sperare. Lei, che quindici anni fa aveva vissuto per un anno a Roma in Erasmus, si ricorda un'Italia oscurantista che adesso non esiste più: "Stavo qui e non sapevo nemmeno dove andare per conoscere gente" - racconta - "Non c’erano locali, era tutto molto chiuso. Adesso Roma è aperta, c’è un grande fermento, le cose sono davvero cambiate in maniera radicale.”
Mai come quest’anno i giorni che hanno preceduto il Pride sono stati un fiorire di iniziative: tanti gli eventi e gli incontri disseminati in vari luoghi della Capitale come le briciole di Pollicino, a cominciare dal Pride Park allestito al Circolo degli Artisti, dove ieri sera era ospite Carlo Gabardini, attore milanese, popolare per la sua partecipazione a Camera Cafè, ma anche per la sua lettera a Repubblica lo scorso anno e per i suoi video sull’omosessualità “La marmellata e la nutella” e “Malato? Io sto benissimo". Carlo, che si schermisce definendosi un come “uno che non è un militante ma vorrebbe diventarlo”, è stato nominato “testimonial” ufficiale del Pride di quest’anno. “Sono onoratissimo e molto felice di essere a Roma. Credo che il Pride sia molto importante per la visibilità che da agli omosessuali: persone comuni che escono e stanno insieme mostrandosi felici. E per chi è più giovane è un appuntamento che ti ricorda che non sei affatto solo, ma sei parte di una comunità.”
Il Pride è stato e sarà sempre tante cose insieme. Luogo politico, di incontro, spazio pubblico, dimostrazione di appertenza, e sopratutto un luogo inclusivo in cui gruppi e individualità si incontrano, sorridono e rivendicano una libertà di essere che è fondativa per ogni essere umano. Perché come ricorda Judith Butler, teorica femminista e queer, la mascolinità e la femminilità sono modi di vivere il proprio genere che non hanno un originale. Lungi dal sentirsi copie sbagliate di un modello perfetto da incarnare, la filosofa sprona ad allontanarsi e a mettersi al riparo dalle banalità e da modelli imposti e normalizzanti (e tanto rassicuranti) che definiscono cosa è maschile e cosa femminile, in una logica binaria ormai ampiamente superata, proprio grazie alle ricerche e alle pratiche queer.
Dunque lunga vita al Pride, festa della sperimentazione, per persone che fanno parte della comunità etero e per quelle della comunità LGBTQ e per tutte quelle che si sentono vicine o dentro entrambe perché la libertà di autodeterminarsi rispetto al proprio genere e al proprio orientamento sessuale è la prima delle libertà politiche da ricercare.
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