Argentina - Da Plaza de Mayo alla politica attiva, le donne possono fare la differenza nel goerno
Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2006
Dall'America Latina vengono notizie. Certamente interessanti per la politica internazionale, perché per la prima volta qualche gioco si sta rovesciando a favore dei popoli e non solo dei poteri forti. Ma anche in modo favorevole per le donne? L'estendersi della democrazia è sempre e comunque un beneficio; se la democrazia favorirà la caduta del sessismo e del pensiero unico si vedrà. Ma, come sempre, bisognerà che la cultura femminile, sicuramente forte nel continente, possa imporsi, a partire dai luoghi in cui la democrazia assume il volto di una donna. In Cile, in particolare, in un paese di tradizione machista, fa sognare la vittoria della Bachelet; ma anche in Argentina, non solo la presenza di molte ministre, ma il fatto che Cristina Kirchner non sia la first Lady tradizionale, la moglie del Presidente, ma la sua consigliera delle scelte politiche lascia bene sperare nel cambiamento del costume. Guai, comunque, ad illudersi. Le regole dei governi, delle strategie
economiche, delle normative sono ancora e ovunque quelle della logica neutra che non diventano "differenti" solo perché al potere c'è qualche donna. Occorrerà, ancora una volta, dare forza dal basso (ovunque). Un segnale sembra particolarmente rilevante. Il 26 gennaio, infatti, sono finite le "marchas de resistencia" per chiedere giustizia. Tutte conosciamo la storia delle "madri di Piazza di
Maggio", le locas, le "pazze" che hanno costruito una delle pagine più importanti della storia politica delle donne nella modernità. Quando in Argentina c'era la dittatura e i cittadini ritenuti pericolosi perché sindacalisti, perché intellettuali, perché non affidabili per il regime venivano rapiti e fatti sparire, le mogli, le madri, le figlie, e sorelle dei desaparecidos, andando alla polizia per chiedere conto e ricevendo risposte dilatorie ("faremo indagini") e, poi, insultanti ("non si preoccupi, sarà fuggito con una donna"), conobbero le storie reciprocamente comuni e diedero forma e vita alla più importante resistenza nonviolenta della storia contemporanea. Tutta femminile, nell'invenzione e nella prassi. Decisero, infatti, di trovarsi ogni giovedì in Plaza de Mayo, la più
importante di Buenos Aires, con un fazzoletto bianco in testa e un cartello con il nome del loro congiunto in mano. Erano donne inermi e nessuno poteva fare altra ritorsione che denigrarle come pazze: intanto diventavano visibili e la loro resistenza veniva conosciuta anche all'estero. Così
molte, che venivano direttamente dal chiuso della vita domestica e spesso avevano sconsigliato i loro uomini dall'iscriversi al sindacato o dal manifestare dissenso, si trasformarono nelle principali avversarie del regime. Dalle faccende domestiche di una qualunque casa privata arrivarono, senza altra mediazione che non fosse la forza della coscienza, alla tribuna della Commissione per i Diritti umani dell'Onu e ai governi dei paesi democratici. Le abbiamo conosciute. Molte di noi hanno seguito, dopo il ritorno dell'Argentina alla democrazia, la loro nuova resistenza: ci furono divisioni tra le moderate e quelle che avevano scelto il radicalismo dei loro uomini; alcune, che sapevano di essere nonne di ragazzi nati in carcere dalle loro figlie e nuore e adottati dagli assassini delle madri
naturali, si dedicarono alla ricerca dei nipoti e, divenute le "abuelas", recuperarono a sé molti giovani ignari delle loro origini oppure li persero definitivamente per il rifiuto di chi non poteva sopportare tanta lacerazione. Le abbiamo incontrate in particolare negli ultimi anni in Italia, quando
vennero a testimoniare al processo contro i persecutori dei desaparecidos di origine italiana, a favore dei quali il Governo Prodi assunse la parte civile. Ma le più ostinate, guidate da Hebe de Bonafini, che oggi ha settantasette anni ed è stata sempre la più esposta di quante, anche nella ripristinata democrazia - che fu resa difficile dalla storia particolare di un paese che aveva alle spalle il populismo del partito peronista che albergava al suo interno sia l'estrema destra sia l'estrema sinistra e una chiesa cattolica che non aveva rivendicato il martirio di un suo vescovo ucciso dal regime - non si sentivano a loro agio e rifiutavano di porre fine all'opposizione "resistente" fino all'ottenimento della giustizia. Finché non ci fosse stata verità, restava valido il motto del loro cuore: "reaparezcan con vida", oltre ogni ragionevole speranza. Adesso - dice Hebe - "il nemico non è più al governo, ora si trova nelle multinazionali. E' arrivato il momento di costruire". Ottima cosa per la politica generale. Ma il movimento delle "madri", che aveva perduto molto della sua caratteristica di genere non nella visibilità dei corpi, ma nei contenuti delle manifestazioni e delle marce, come entrerà nel gioco politico? Sarà certamente una forza critica e indipendente, ma quanto influente per tutte le altre donne? E, soprattutto, quanto resteranno espressione del genere escluso fino ad oggi da tutte i poteri perché denegato, ma anche perché incompatibile con "questi" poteri? Sono interrogativi che ci poniamo non solo pensando all'Argentina.(19 marzo 2006)
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