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Operazione Mauser. Oggi testimone di giustizia, era schiavizzata dalla ‘ndrangheta.

Operazione Mauser. Oggi testimone di giustizia, era schiavizzata dalla ‘ndrangheta.

Una nuova testimone di giustizia svela traffico di droga internazionale: 16 arresti nella cosca dei Cacciola di Rosarno, accusati di traffico di droga, sequestro di persona e riduzione in schiavitù

Sabato, 02/08/2014 - Una giovane testimone di giustizia, Giuseppina Multari, che inizia a collaborare nel 2005 dopo il suicidio del marito. Parte da qui l’indagine della Dda di Reggio Calabria, dal pm Roberto Di Palma e proseguita, di recente, dal sostituto Alessandra Cerreti. Un'ulteriore attività istruttoria ha consentito di aggravare le responsabilità penali dei Cacciola e di ampliare il numero di coloro che hanno concorso nel reato: "Si tratta di un'interpretazione innovativa del reato" spiega il procuratore capo, Federico Cafiero de Raho.



Oggi Giuseppina vive sotto protezione dopo aver fornito informazioni su una serie di attività criminali riconducibili a personaggi facenti capo alle famiglie Cacciola e Curmace. Viene subito in mente la vicenda di Maria Concetta suicidata con l’acido, e di cui i Cacciola sono cugini. Anche la vita di Giuseppina Multari è stata segnata da angherie e soprusi. La donna, però, riesce a mettersi in contatto con gli inquirenti e dall'ottobre 2006, a rendere dichiarazioni su attività illecite commesse dai parenti del marito. Il 30 settembre 2006, il padre della collaboratrice di giustizia, Francesco Multari, consegna una lettera fattagli pervenire dalla figlia Giuseppina, in cui la stessa rappresenterà la difficile situazione in cui era stata costretta a vivere dopo la morte del marito, Antonio Cacciola. Giuseppina Multari si sposa a 20anni e subisce da quasi subito maltrattamenti e violenze. "Io ero a conoscenza del fatto che la famiglia Cacciola a Rosarno fosse una famiglia mafiosa: sono vissuta a Rosarno e queste cose si sanno. Io tentai di lasciare mio marito durante il fidanzamento ma lui mi seguì anche a Verona, dove ero andata per dei problemi di salute. Preciso che io non sono mai stata libera di uscire durante il mio matrimonio; dopo la morte di mio marito sono stata letteralmente segregata in casa e mi è stato impedito di uscire; la notte la porta veniva chiusa a chiave dai miei suoceri, le chiavi di casa erano esclusivamente nella disponibilità dei miei suoceri e dei miei cognati, questo stato di coercizione è durato quasi un anno. (…) L’unico posto in cui poteva andare era "un pezzettino di terra appartato là dove non c'era nessuno all'infuori degli animali… C'era un cavallo, e quella cavalla era come se fosse l'unico essere vivente, l'unica persona, meglio di una persona, per essere animale, però l'unico a capirmi, parlavo solo con Margherita, la cavalla, perché le altre parole era meglio tenersele dove stavano. . .]".



Soggiogata dalle continue minacce dalle donne e del clan che la costringono ad una sorta di prigionia all’indomani del suicidio del marito, del quale la “famiglia” Cacciola e il suocero la ritiene responsabile: "[...] mio suocero, io ero da sola con le bimbe, mi prende per le braccia mi scuote e dice se mio figlio si è ucciso per te, ammazzo te e tutta la tua famiglia [...] ”. Minacce di morte, soprusi e violenze continue, per lei e per la famiglia. Quello che Giuseppina Multari racconta agli inquirenti offre uno spaccato più incisivo e profondo dell’ atroce condizione in cui le donne delle “famiglia” di ‘ndrangheta subiscono: “Un giorno li vedo strani e mi trattano peggio degli altri giorni, salgono si prendono le bimbe domando dove le portano, e mi rispondono al fidanzamento di Gregorio che giustamente non vuole tra i piedi l'assassina del fratello". Regole feroci alle quali devono sottostare “Tu prima di andare da qualche parte, devi domandare ai tuoi cognati”. Soprattutto dopo la morte del marito la situazione di Giuseppina Multari diventa insopportabile: “Non potevo uscire liberamente di casa, ma solo chiedendo il permesso ai miei suoceri o ai miei cognati che mi avrebbero dovuto accompagnarmi; non mi si rivolgeva la parola; venivo impedita anche di curarmi, nel senso che erano loro a stabilire quale medico e come avrebbero dovuto visitarmi. Il giorno in cui ho tentato il suicidio, ed esattamente l'l1 febbraio 2006, ero arrivata al culmine della disperazione, in quanto mio suocera mi aveva sottratto le bambine che avrebbe dovuto portare con se alla cerimonia di fidanzamento di mio cognato Gregorio Cacciola".



Regole a cui nessuno si può sottrarre nemmeno i familiari di Giuseppina, il padre racconterà alcuni episodi terribili a cui era sottoposta Giuseppina come in un regime di lager nazista: “Il suocero di mia figlia in quel periodo era in carcere e probabilmente aveva dato ordine di riprendere mia figlia, difatti, una sera sono venuti a casa mia quattro uomini, tra cui suo cognato Gregorio, gli altri non ricordo il nome. Quella sera mia figlia, dopo essere stata portata dai quattro uomini a parlare con i Cacciola, è tornata sconvolta, ha preso i bambini ed è tornata a casa dei Cacciola con quegli uomini. Io, in quella circostanza, invitavo mia figlia ad attendere il rientro di mio marito e Gregorio mi diceva "voi fatevi i fatti vostri". Uno stato di profonda prostrazione e di impotenza di fronte alla pericolosità dei Cacciola "Mia figlia Giusy, dopo la morte del marito Cacciola Antonio, viveva a casa con i suoceri come una prigioniera: non poteva fare la spesa da sola, non poteva andare dal dottore con le bambine, non poteva andare al cimitero da sola, poteva uscire solamente accompagnata da uno dei famigliari del marito tra cui il suocero Domenico, Gregorio, Vincenzo, la suocera, la cognata, a seconda di chi fosse disponibile” (…) "Quando mia figlia si è fidanzata con Cacciola Antonio io già sapevo che apparteneva a famiglie di delinquenti ... OMISSIS ... . Li temevamo perché sapevamo che erano capaci di tutto". Le sue dichiarazioni ora permettono di individuare il traffico di droga che i Cacciola tenevano insieme ai Curmace, e che avevano organizzato fra la Germania e l'Olanda e la Calabria. “Affari” di cui si parlava in famiglia e che Giuseppina Multari ha potuto raccontare agli inquirenti.

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