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Oncologia pediatrica. L’ultima cura

Oncologia pediatrica. L’ultima cura

Parliamo di Bioetica - L’accompagnamento alla morte nei reparti di oncologia pediatrica

Tavella Paola Domenica, 13/10/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2013

La malattia oncologica diagnosticata in età evolutiva è universalmente riconosciuta come una grande fonte di disagio emozionale per il bambino, la famiglia e l’equipe curante. Molti genitori trovano difficile parlare ai propri figli della loro malattia: la maggior difficoltà nel comunicare non è tanto nel cosa dire ma nel come dirlo; il mistero però attiva nel bambino le fantasie più negative; il genitore traduce le fantasie negative del bambino in stress e il bambino, pur realizzando che qualcosa non va, non dice nulla per non fare del male al genitore. Pertanto diventa indispensabile l’intervento del medico. Il malato prima di essere un caso clinico è una persona e quindi è molto importante che il medico abbia una carica di umanità nell’approccio con la persona che soffre, tanto più se è un bambino ed è altrettanto importante che tale approccio sia un insieme di comunicatività e di cuore.

Niente è più doloroso per i genitori che venire a conoscenza che il figlio ha una malattia grave; la loro indescrivibile sofferenza li rende estremamente vulnerabili e impone una particolare attenzione alla comunicazione della diagnosi; i genitori incentrati nell’ottica di far crescere il proprio figlio, sono improvvisamente costretti ad assistere alla sua morte, ad accompagnarlo in questa fase e sono obbligati a prendere decisioni su come gestire la situazione. Curare un bambino alla fine della vita significa che l’attenzione dell’équipe curante non deve essere rivolta al prolungamento della vita ma all’ottimizzazione della sua qualità. Non si tratta quindi di limitare le terapie, bensì di cambiarne il segno: la cura non finisce mai, da curativa a palliativa, seguendo l'evoluzione della malattia, sollevando dai sintomi se non si può far nulla sulle cause.

Numerose ricerche mostrano che la maggioranza dei bambini terminali sono consapevoli della loro morte. Non di rado si osservano fenomeni di iperattività, lacrimazione involontaria e paura di addormentarsi negli ultimi giorni di vita. Il bambino in questa situazione non deve solo affrontare i propri sentimenti e le proprie reazioni, ma anche quelle degli altri, in particolare dei genitori.

Le cure palliative includono il controllo del dolore e di altri sintomi in fase terminale di malattia. L’OMS (1998) definisce cure palliative pediatriche l’attiva presa in carico globale del cuore, della mente e dello spirito del bambino e comprende il supporto attivo alla famiglia. L’aggettivo ‘palliativo’ ben definisce questo tipo di approccio; il termine deriva dal latino ‘pallium’ che significa mantello e richiama infatti l’idea dell’avvolgere, del contenere, del riscaldare con riferimento ai bisogni e alla fragilità dell’essere umano.

L’alleanza terapeutica alla fine della vita impone ancora più attenzione alla persona che soffre: il team assistenziale deve lavorare insieme e con il paziente per raggiungere la cura della persona, l'accoglienza, l'humanitas e la compassione.

Quando il dolore diventa incontrollabile è necessario ricorrere ad una terapia sedativa, la quale nei reparti di oncologia pediatrica viene denominata “sospensione dello stato di coscienza” o “sedazione”. Si deve capire quando il bambino comincia a non avere più il contatto con il genitore. Se cessa questo rapporto prevale l’angoscia, il bambino si lamenta, e non riesce più a interagire allora è il momento in cui sedarlo. Sospendendo lo stato di coscienza, si elimina il dolore ma contemporaneamente si annulla ogni possibilità di scambio, di relazione tra il genitore e il proprio figlio: è un anticipazione del lutto. Ma nel momento in cui i genitori lo vedono soffrire troppo, è corretto addormentarlo affinché i genitori lo vedano avvicinarsi alla morte nella maniera più dolce possibile.

La morte fa parte della vita, nel senso che ne è un aspetto fondamentale e imprescindibile. Essa dà addirittura significato alla vita, poiché una vita senza morte non sarebbe umana o terrestre, non apparterrebbe neppure all'universo.

Il problema si pone quando è un bambino a dover morire, la morte di un bambino rappresenta la morte dell’innocenza. Alla luce di un’etica della speranza, considerando anche che oggi le terapie per i tumori pediatrici hanno consentito di passare da una prospettiva di morte inevitabile ad una percentuale di guarigione dell’80%, la risposta vera a quale procedura o metodologia sia preferibile affidarsi, si ha solo se si è realmente capaci di ascoltare il bambino.

Il mio auspicio è che un bambino e la sua famiglia possano sempre trovare operatori sanitari in grado di prendersi cura di loro nel migliore dei modi e nel caso in cui si arrivasse a dovere accompagnare il piccolo alla morte, che questo avvenga con dignità e dolcezza .





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