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Omaggio a tutte le 'bagie' (zie) del mondo - di Andrea Drovandi

Omaggio a tutte le 'bagie' (zie) del mondo - di Andrea Drovandi

Una tredicenne, la Belle époque, il lavoro da sarta, la guerra, le bombe vere e quelle metaforiche, la vecchiaia; sintesi di una storia familiare che accomuna nipoti di ogni tempo e di ogni luogo...

Giovedi, 24/03/2011 - Aveva tredici anni, forse nemmeno, quella ragazzina.



So già che qualcuno poi mi dirà che sbaglio data, sbaglio ricordi.



Non importa: il succo è quello.



Aveva tredici anni, forse nemmeno, e non c’era possibilità di andare ancora a scuola.



A cucire sì, insieme ad altre ragazzine, più vecchie e più giovani, da una sarta per Signori.



Era nata nel 1913 quella ragazzina e si chiamava Lina, che nome antico, vero?



Era nata alla fine della Bella époque, ma lei la Belle époque non sapeva nemmeno cosa fosse.



Suo papà lo vedeva poco, navigava.



In casa soldi non ne giravano tanti davvero, ma era una famiglia dignitosa.



Anche nella famiglia dignitosa però non c’era tempo per andare più a scuola.



Più avanti, non so come, questa ragazzina conosce un Angelo che non so e non credo angelo fosse.



Angelo aveva quasi quindici anni più di lei e, forse, qualche soldo in più.



Aveva poco più di vent’anni, ventidue mi pare Lina quando sposa.



Ci si avvicinava alla guerra a grandi passi.



Angelo non sta benissimo. Problemi ai polmoni, forse al cuore.



Figli non ne venivano e non ne verranno mai.



La guerra arriva e tutto è più difficile.



Ogni giorno è battaglia per trovare da mangiare, per evitare di morire bombardati o fucilati.



Basta essere su un tram al momento sbagliato.



Basta essere in casa quando te la bombardano.



Genova è un bersaglio importante: c’è il porto.



Stan non lontano dal mare.



I bombardamenti americani si susseguono.



Angelo è immobilizzato, intrasportabile, a letto per dei mesi.



Lei è con lui. Sempre.



Una bomba distrugge l’intero angolo del loro caseggiato.



Devono farlo uscire a forza.



Ma ci ritorneranno in quella casa, quando tutto sarà finito ormai.



E finisce.



Ricomincia la vita.



Si riparte, si lavora e, purtroppo, si fallisce.



E di nuovo si deve ripartire.



Intanto nasco io che sono il nipotino e loro piano, piano diventano Bagia e Bagio, che sarebbe mia zia e mio zio detto da un incapace a parlare come me.



Resteranno per sempre Bagia e Bagio per tutti.



Ero piccolo ed andavo a mangiare da loro qualche volta.



Era sempre pasta corta al pomodoro, ma un pomodoro diverso da quello di mia mamma: credo fosse fatto con una noce di burro: un odore ed un gusto diverso che riconoscerei dovunque.



Il cuore si porta via il Bagio un po’ troppo presto e lei resta qui e non aveva cinquantanni.



E lavora.



Lavora la Bagia dal mattino alla sera e ritorna a casa e non c’è più nessuno.



Se n’è andato anche il suo di papà, che navigava e che poi, per anni, passava le giornate in un negozietto di due metri quadri facendo il fabbro ferraio e mi comprava pane e farinata.



Se n’è andata la sua di mamma, che veniva da Metti, un paesino fatto di niente se non di pietre, pannocchie e l’odore delle pesche selvatiche e dell’uva.



Non so fino a quando ha lavorato la Bagia, non lo ricordo, ma di anni certo ne aveva in abbondanza.



Poi, improvvisamente, inaspettatamente, se n’è andata la sua sorellina, che poi era mia mamma.



E là, io credo, se n’è andato un po’ anche di lei, della Bagia.



Un po’ soltanto perché la Bagia è ancora là.



È sdraiata in un letto dove passa il suo tempo.



Ogni tanto la Wilma la alza, la fa sedere e parla.



Ha ancora la testa e ricorda le cose lontane.



Ma è stanca e i suoi occhi son sempre più lucidi e azzurri, un azzurro che sfoca però sempre di più.



Mi sorride e mi parla di un tempo.



Ma piano.



Mi chiede di una e di un’altra: aspetta i racconti, ma poi, a me sembra, non li segue.



La mente, io credo, è lontana a viaggiare.



“ Son contenta “, mi dice, “ che sei venuto a trovarmi. Sei buono” mi dice e mi sento morire per quel niente che dò a chi nella vita è andata così.



A chi mi ha tenuto, coccolato e certamente amato.



Le appoggio la mano su un braccio che è niente e mi viene il magone.



Poi vado e la mia vita continua, ma resta il magone.



Questi sono il Bagio e la Bagia quando ancora erano Angelo e Lina, credo nel 1935.



Scusate l’email, ma credo la Bagia se la meriti, almeno questo.



Andrea, un nipotino.

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