Martedi, 12/09/2017 - Fatti di cronaca recente, relativi ad episodi di violenza sessuale, hanno indotto a puntare una particolare attenzione sugli stupri. I media hanno indubbiamente fatto la propria parte nella loro narrazione e conseguente valutazione, con una specifica distinzione a seconda delle linee editoriali di ogni singola testata. Eh, sì, perché la violenza di genere può essere letta diversamente a seconda dell’obiettivo particolare a cui si vuole pervenire. Così se di base si è anti-immigrati, per esemplificare, lo stupro di Rimini servirà a corroborare le proprie tesi e a cercare nuove adesioni ad essa. Vicende tragiche riguardanti il corpo delle donne, la loro dignità, la loro stessa vita, vengono commentate conseguentemente anche sui social, a seconda delle lenti della partigianeria politica di volta in volta indossate. In pieno dispregio di fatti laceranti, capaci di mettere in serio pericolo l’equilibrio psico-fisico della sopravvissuta alla violenza sessuale, ci si erge a censori, emanando sentenze che poco avranno a che fare con i concreti bisogni della donna violentata ma molto, invece, con gli interessi di chi diviene giudice dei fatti di vita altrui, senza averne ruoli, competenze e capacità.
Senonchè a questo uso particolare ed interessato del corpo delle donne, non si sottraggono neanche le donne stesse. Saverio Tommasi ha scritto in un recente articolo che è sui fatti che occorrerebbe ragionare, al di là delle singole posizioni ideologiche o precipue interpretazioni afferenti alla violenza sessuata. “L'unico dato certo è che lo stupratore è un uomo, quasi nella totalità dei casi. E mi gira la testa a dirlo, perché significa che qualcosa nella formazione di noi maschi, di alcuni di noi maschi, si è inceppato. Qualcosa, nella formazione in questa società, in famiglia o a scuola, al bar o al campo da calcio, e forse in tutte queste situazioni insieme, non gira come dovrebbe andare. E da qui dovremmo ripartire: formare noi maschi all'empatia, per poterci dire uomini.”.
Eppure a leggere i commenti presenti sui social si può constatare come anche le donne siano solite dissertare su quali possano essere gli stupri migliori o peggiori. A seconda delle loro stesse opinioni politiche o personali maturate nel corso della vita di ognuna, si assiste ad una variegata hit parade degli episodi di stupro. E così quello che Saverio Tommasi vorrebbe che acquisissero i maschi per potersi dire uomini, ossia l’empatia, diventa un’esigenza ancora più impellente per me che da giorni mi sforzo a leggere sui social le varie considerazioni esposte dalle internaute sulla violenza di genere. Facendomi non poca violenza, perché mi costringo ad un’operazione del genere, con la speranza di non visionare più giudizi del genere: “Le ragazze erano mezze ubriache e una si era anche fatta una canna, i carabinieri le hanno accompagnate a casa e si sono fermati 20 minuti. Sono state riscontrate tracce del rapporto ma non di violenza e nessuno ha sentito gridare e chiedere aiuto, quindi se il rapporto c’è stato è stato consensuale. Il giorno dopo per salvare la faccia con i genitori e magari, perché no, anche intascare l’assicurazione, le ragazze hanno gridato allo stupro”.
Vorrei più sorellanza, ossia quel genere di empatia che, nascendo dall’appartenenza al nostro genere, possa portare a rendere consapevoli tutte le commentatrici che “Uno stupro è uno stupro, punto e basta.”. Sfianca pesantemente doverlo ribadire, rincorrendo i pensieri e le parole in libera uscita di quante non comprendono che alle sopravvissute agli stupri nei fatti è stata negata una particolare forma di libertà, quale vivere la propria sessualità in piena autonomia e determinazione. E dire che tale coscienza dovrebbe essere alla base di ogni considerazione femminile relativa al giudizio sulle donne che subiscono violenza di genere. D’altronde, come il coraggio non lo si può dare, così la sorellanza non la si può acquisire a posteriori, o la avvertiamo nell'immediato o no.
Avrei potuto costringermi ad inseguire ogni singolo commento in cui mi fossi imbattuta e per il quale necessitava che spiegassi che per gli stupri non esistono differenze di valutazione, ma l’impegno in tal senso sarebbe stato improbo. Vorrei, invece, partire dalla realtà di questa mia esperienza, per sperare di riuscire a lavorare insieme alle donne di cui avverto analoga sensibilità, ognuna di noi nel proprio ambito di vita, in base alle proprie competenze e disponibilità. Piccoli semi di consapevolezza, sparsi in un terreno dissodato preliminarmente per questa semina, possono fruttificare originando quella sorellanza che fa sentire vicine, al di là di ogni precipua lontananza. Solo perché donne, solo perché simili nell’esperienze dolorose o felici della propria vita, solo perché, come dice Warsan Shire, una giovane poetessa britannica di origine somala: “Non esiste intimità più grande di quella tra donne che hanno scelto di essere sorelle”.
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