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Oltre la "rappresentanza"

Oltre la "rappresentanza"

Elezioni - Puntiamo i piedi e impegnamoci per una vera politica di genere

Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2006

Alzi la mano la donna che, occupandosi di politica e attivandosi per far votare il maggior numero di persone per il prossimo inquietante 9 aprile, si illude di lavorare per prospettive e programmi propri del genere di cui fa parte.
I nostri diritti stanno ancora una volta dentro la cittadinanza comune: li salveremo solo se riusciremo a mandare a casa Berlusconi e a far vincere con Prodi tutto il centro-sinistra. Probabilmente avremo qualche ministra nel nuovo governo: anche se non fifthy/fifthy, sarà la prima volta che non ce ne saranno solo una o due.
Ma non illudiamoci: se le donne non saranno unite e ricominceranno a far politica nella visibilità, il genere femminile naufragherà, come sempre, nel concetto neutro di "rappresentanza".
La legge elettorale che il governo ha calato sul collo degli italiani sottrae a ciascuno (e a ciascuna) la funzione fondamentale della democrazia di votare i delegati che ci rappresentano in Parlamento e attraverso i quali esercitiamo la sovranità prevista dalla Costituzione. Indicazioni nominative e graduatorie sono tutte in mano ai partiti e i giochi sono già fatti, tranne l'alea di avere un numero più alto di eletti, che è la ragione principale del lavoro elettorale di questa campagna. Anche se i Ds
e l'Ulivo si sono dichiarati per indicazioni eque, in casa altrui la situazione non è rosea e il nuovo Parlamento rischia di essere ancora più maschile del solito. Berlusconi ha sostenuto che è colpa delle donne che non si staccano dalla famiglia e non vogliono fare politica. Naturalmente, parlava uno che nel suo governo non ha fatto leggi per conciliare lavoro e domesticità o responsabilità comuni di uomini e donne: ha perfino fatto versare lacrime in Parlamento alla ministra chiamata impropriamente delle pari opportunità a proposito delle cosiddette quote rosa.
E' una bella mortificazione dover riconoscere che in Italia non c'è altra via per dare alle istituzioni un volto femminile che un negoziato sulle "quote" e definire questo patteggiamento politico "quote rosa". Eppure, sembra che non ci sia altra via se non obbligare per legge i partiti e il diritto.
Quindi, impariamo una buona volta. Lavoriamo allo spasimo per far votare il maggior numero di persone subito e anche per il referendum di giugno. Ma impegniamoci a fare davvero politica di genere. Le ragazze ritengono che la stagione del femminismo è finita? Non importa questionare sulle terminologie: la società non potrà cambiare se le donne non puntano i piedi tutte quante. Se abbiamo sempre detto che non siamo un pezzo del sociale a cui vanno singoli benefici di legge (se ci sono), dimostriamo con i fatti che intendiamo occuparci di quella metà del tutto che ci spetta. Ovviamente senza nevrotizzarci in competenze che non abbiamo: ognuna, nel settore che
le è proprio, cominci a pensare come la macchina può funzionare a nostra misura e renderemo palese a tutti che può funzionare meglio anche per gli altri.
Naturalmente c'è una condizione, di non andare sbandando dietro il nostro particulare e non cedere alle tentazioni in cui incorrono i poveri, che è quella di competere fra di loro. Abbiamo di fronte una crisi di trasformazione globale che di rado le generazioni sperimentano; abbiamo una crisi di sistema che intacca la sicurezza non solo dell'Italia; i criteri stessi del vivere democratico (è un segnale l'aumento della violenza contro le donne) possono franare. Per dare un contributo forte e specifico occorre l'unità degli intenti: un gruppo solo è un frammento, mentre la coesione delle differenze, anche forti, che stabilisca delle priorità può contribuire costruttivamente agli interessi di tutte.
I mesi che verranno saranno essenziali. Forse si potrà capire l'errore dello scioglimento di un'associazione come l'Udi nel "movimento" femminista: si è perduta la sola forza associata che aveva carattere nazionale e sedi importanti, anche se non erano cattedre filosofiche, in tutte le città. C'è un contributo da ricomporre e ricostruire, comunque lo si voglia intendere. Ma le donne elette non possono da sole fare in modo che l'istituzione non sia più "neutra"; e così le donne di partito, che hanno a cuore prima gli interessi generali che i propri e comunque non ce la farebbero mai a far
capire che quelli delle donne andranno a beneficio degli interessi di tutti e non viceversa.
Per schiodare le stesse donne di governo, occorre la "piazza", anche solo metaforica (o informatica), la reazione viva delle donne che "ci stanno". Possono essere tante, desiderose di dare una mano e smentire Berlusconi. Intanto andiamo a votare "disinteressatamente". Confortiamo quelle che sono
arrabbiate e giurano che non voteranno più finché "tutti sono uguali". Ogni giorno di più, infatti, si è dimostrato che le differenze ci sono e sono enormi. Per questo abbiamo pazienza; ma riprendendo l'ostinato coraggio dei decenni passati e rendendolo entro pochi mesi azione unitaria.
(13 aprile 2006)

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