Login Registrati
Oltre il lavoro: opportunità o catastrofe?

Oltre il lavoro: opportunità o catastrofe?

Valore Lavoro - Verso una nuova organizzazione economica. Tutta da inventare

Emanuela Irace Domenica, 10/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013

Siamo sicuri che il lavoro continuerà ad essere centrale nella nostra vita? Posta così la domanda può sembrare consolatoria. Specie per chi un lavoro non ce l’ha, lo sta cercando o teme di perderlo. Ma se il lavoro dovesse divenire un optional o una pratica eccentrica per nostalgici d’antan, non sarebbe certo un sollievo. Né per la società così come è impostata né per i singoli che ne sono condizionati. La maggior parte di noi senza lavoro non saprebbe definirsi. Né riuscirebbe a occupare il proprio tempo libero. Tutti diverrebbero un problema e non soltanto di ordine pubblico. Comunque la si metta, in questo periodo storico, il lavoro è un must. Moltiplicatore di nevrosi e sedativo per iperattivi ha il vantaggio di normalizzare i caratteri, inglobandoli nella cosiddetta aurea mediocritas, quintessenza del vivere sociale. Le distonie che immancabilmente produce, al singolo come alla collettività, sono a loro volta fonti di sussistenza per psicoterapeuti e sindacati. Ammalati dalla sindrome del fare, deleghiamo al lavoro più di quanto meriti. Santificandolo. Regola calvinista o cattolico sacrificio è sul lavoro che si è modellato il vivere comune. Nazioni. Città. Fabbriche. Uffici. Si sono costituiti sull’etica dell’impiego. Emblema di quell’homo oeconomicus con il quale in occidente è cresciuta la sfera produttiva, allevata dalla pubblicità. Altrove, il lavoro semplicemente non esiste e intere generazioni sono sopravvissute e sopravvivono alla giornata, in miseria e vivendo d’espedienti. La povertà è una condizione dell’anima, oltreché una carenza di mezzi, ma se il lavoro dovesse veramente perdere il ruolo di centralità che conosciamo, sarebbe una catastrofe o una opportunità? È certo che se l’impiego, come lo intendiamo oggi, dovesse scomparire, sarebbe per lasciar spazio a un nuovo paradigma. Economico e sociale. La politica industriale legata al consumo verrebbe sostituita dalle neo-economie di sussistenza allargata. Autonome e gioiose. Rispettose dell’ambiente e interessate più a ri-adattare che a ri-fondare. Un sistema economico riequilibratore delle disuguaglianze, grazie al reddito di cittadinanza, prenderebbe il posto del modello oligarchico su cui prosperano gli attuali stati nazionali, e su cui arranchiamo noi. Un’idea su cui varrebbe la pena riflettere per costruire il mondo che verrà. La struttura economica con cui siamo arrivati fino ad oggi non colma più la domanda di impiego tradizionale ma ancora non ne abbiamo un’altra. Eppure fin dagli anni ’70, una nutrita pattuglia di autori ha teorizzato la fine dell’accumulazione basata sul totem della crescita. L’analisi della complessità, si sà, procede per sottrazione, come l’eleganza, e nelle società post-industriali investigate dal filosofo Boudrillard, Ivan Illich, Francois Meyer, Guy Aznar e in Italia dal sociologo De Masi, sono le politiche del pieno impiego, di keynesiana memoria, ad essere tramontate. Scrive Gorz nel 1979: “Perché l’ordine attuale non sia minato dalle fondamenta si dirà alla gente che il mostro della disoccupazione incalza, si tenterà di aizzare i lavoratori ad azzuffarsi tra loro per i rari posti di lavoro residui invece di spingerli a lottare insieme per un’altra razionalità economica. La disoccupazione in effetti non è solo una conseguenza della crisi mondiale: è anche un’arma per ristabilire l’obbedienza e la disciplina delle imprese”. Se più di trent’anni fa il fondatore del Nouvel Observateur, André Gorz, metteva in guardia dal facile ottimismo connaturato alla produzione: “Non si tratta più di lavorare per produrre ma di produrre per lavorare”, oggi è Serge Laoutuche a raccogliere gli strali dei fanatici della crescita. “Per un’abbondanza frugale” è tra i suoi libri più noti. Un ossimoro centrato sul concetto di decrescita. Pensiero fatto proprio anche dall’italiano Maurizio Pallante che con l’idea della “Decrescita felice”, ha fondato addirittura un movimento. Impropriamente additato tra gli epigoni dell’utopia socialista radicale, Serge Latouche è in realtà un eretico col dono del vaticinio. Famoso per aver riproposto il classicissimo motto: lavorare meno per lavorare tutti.



Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®