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Oltre il 50 e 50, la politica

Oltre il 50 e 50, la politica

Otto Marzo 2014 - Un 50% obbligatorio non serve per una qualità altra del ceto politico, e somiglia troppo ad una garanzia formale per sé....

Gaiotti De Biase Paola Mercoledi, 26/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2014

Vorrei che il prossimo 8 marzo fosse segnato da una riflessione forte (e anche autocritica) fra donne sul loro rapporto con la politica e, ovviamente, con l'antipolitica: un rapporto che forse finalmente vede un'apertura col nuovo governo. L'inizialmente promettente, avvisaglia del "Se non ora quando?", che poteva segnare nel nostro paese un recupero decisivo, ha avuto un seguito fragile. Siamo state ancora, nella cronaca, alle donne come minoranza rivendicativa, non come protagoniste dell'agenda politica. I temi sono stati il 50/50 nelle liste, la repressione dei femminicidi, le condizioni di lavoro. Il progetto di come il mondo debba e possa uscire dalla crisi sembra che non ci riguardi. Non ci riguarda la qualità della selezione della classe politica ma solo il dato di genere, che - e lo abbiamo già visto fin troppo con Berlusconi - non garantisce da solo proprio niente. Un 50% obbligatorio per tutti, anche per chi non ci crede,

scelto comunque da maschi, non serve per una qualità altra del ceto politico, e somiglia troppo ad una garanzia formale per sé. È sostanzialmente impotente il maggiore rigore e controllo della violenza maschile, finché non affronteremo con strumenti altri, formativi e culturali, le difficoltà dell'adeguarsi maschile ai nuovi rapporti di genere. E senza questo mutamento di rapporti di fronte alle

responsabilità familiari, le donne resteranno largamente penalizzate sul terreno del lavoro. Intanto il tema delle donne è divenuto, nella sostanza reale delle esperienze umane, perfino più provocatorio e rilevante, psicologicamente e politicamente, nei conflitti etnici, religiosi, politici, fra generazioni, che insanguinano il mondo.

Ho sempre pensato che questo non si risolve chiedendo (a chi?) garanzie, ma assumendoci la leadership delle risposte culturali e politiche ad un arretramento drammatico. Sono appena rimasti in piedi, come un sogno di pace, i segni del superamento delle ideologie di sovranità politica assoluta, di un'idea del potere tutta maschile, di strumenti di pace, voglio dire l'Unione Europea e l' ONU con le sue agenzie. È su questo, e sulla forza delle nuove oligarchie, finanziarie o addirittura criminali che dobbiamo misurare (e rischiare) la forza della nostra leadership, con più determinazione, minore isolamento delle singole, costruzione di convergenze motivate e coerenti, di impegno collettivo, insomma formulazione esplicita di strategie politiche transnazionali. Hanno già dato da tempo questo segno le tante sindache del Sud, restate spesso troppo sole. Ma di questo stesso segno sono, mi pare, le nuove otto ministre del governo, con le

loro biografie e le loro indiscusse competenze. Le donne non possono essere solo un gruppo corporativo, a difesa di se stesse;

sono una forza anche per se stesse solo se e quando la usano a difesa del mondo. Lasciatemi mettere questa provocazione, e questo augurio, alle nuove ministre nel segno di una espressione da me molto amata scritta, più di sessanta anni fa, da Simone deBeauvoir: "Gli uomini che abbiamo chiamato grandi sono quelli che hanno preso sulle loro spalle il peso del mondo. È quello che nessuna donna

ha saputo fare, ha potuto fare". In realtà da migliaia di anni lo facciamo; ma dobbiamo farlo anche come protagoniste della proposta politica, entro una nuova concezione dell'interesse collettivo.

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