Lunedi, 26/03/2018 - A distanza di qualche giorno dal risultato di elezioni in un certo senso rivoluzionarie, è opportuno fare una riflessione su quella che è stata una sconfitta largamente annunciata e prevista. No, non stiamo parlando del pessimo risultato dei partiti “tradizionali”, dal PD a FI, ma della rumorosa assenza delle politiche di genere da tutti i programmi elettorali. Nonostante le molte sollecitazioni in questo senso, sia prima che durante la campagna elettorale, i partiti di qualsiasi colore politico hanno infatti ritenuto che una proposta rivolta specificamente alle donne non incontrasse alcun interesse nell’elettorato.
E sì che, avendo tutti promesso la qualunque, non avrebbero fatto alcuno sforzo a spendersi un po’ di più anche su questo tema. Invece niente, solo proposte in ambito di famiglia e welfare per superare il problema delle culle vuote, qualche dovuto riferimento al contrasto alla violenza contro le donne, e chiusa lì.
L’unico aspetto che ha riguardato in modo netto la parola “donne” è stata la questione delle candidature. L’obiettivo del 40% di elette, previsto dal Rosatellum, grazie al giochetto delle candidature femminili su più collegi è stato allegramente disatteso: alla fine le donne sono il 34,6% alla Camera e il 34,8% al Senato. Il numero maggiore di elette in parlamento è del Movimento 5 stelle, il 39%, seguito dal 35% di FI, dal 34% del PD e dal 31% della Lega. Al di là del mancato raggiungimento dell’obiettivo di legge, è un risultato paradossale, se confrontiamo il 34% del PD con il contributo della cultura di sinistra al tema del femminismo e se osserviamo che il successo del 39% di elette del M5S, il cui programma non conteneva specifiche politiche di genere, si è concentrato al Sud dove l’empowerment femminile è drammaticamente basso.
Due sono le criticità che a nostro parere questa crisi della causa femminista ha messo in evidenza, e dalle quali bisogna ricominciare se si vuole ricostruire un po’ di consenso, prima sociale e poi elettorale rispetto a questi valori:
Avere donne in politica non vuol dire automaticamente avere più politiche di genere.
La contiguità culturale, sociale e storica tra cultura di sinistra e cultura femminista ha prodotto un problema di rappresentanza determinando anche per le politiche di genere lo stesso destino elettorale del PD.
Vediamo meglio: Avere donne in politica non significa avere più politiche di genere.
Non è che sia una novità, ma la facciata è stata clamorosa. Dopo anni di battaglie femministe, finalmente si arriva a più di un terzo di donne in parlamento (erano la metà solo 10 anni fa). Una penserebbe ad una cavalcata trionfale delle politiche per le donne, ma come si fa con questo silenzio dei programmi? Queste elezioni confermano l’equivoco tra il pensare che avere più donne in politica equivalga a promuovere più politiche per le donne e, soprattutto, farlo credere all’elettorato. Non è così, non è vero, e ci corre la stessa differenza tra il concetto di sesso e di genere. Abbiamo eletto rappresentanti di sesso femminile, non di genere femminile. Come diceva Simone De Beauvoir, “Donne si diventa, non si nasce”. Questa criticità era già evidente da anni, ma con il Governo Renzi ha raggiunto l’acme della contraddizione: un rilevante numero di donne nominate nei Ministeri e nei Cda delle Partecipate Statali, ma niente Ministero per le Pari Opportunità, e quindi niente politiche di genere, o comunque ininfluenti.
Nel mentre ci si lambicca su complesse operazioni di calcolo combinatorio per formare un nuovo Governo, ci si domanda, nel silenzio dei programmi elettorali, che ne sarà delle conquiste del femminismo, dei diritti e di tutto quello che in questi ultimi 70 anni comunque si è riuscite ad ottenere. Riusciranno/vorranno le nostre valorose 271 elette difendere e/ o rilanciare le conquiste di chi le ha precedute?
Non è dato sapere, ce lo auguriamo ma le premesse non sono favorevoli, ammetterete.
Si riparte quindi da zero, mentre il mondo sta andando nella direzione opposta, conciliando l’ascesa delle donne nei ruoli di potere con movimenti femministi che propongono un rinnovato attivismo sociale e politico secondo proposte e valori che coinvolgono tutte e tutti. Negli USA, ad esempio, di fronte al vento populista di Trump, anche le donne (e i loro valori) sono diventate protagonisti in questa fase storica. Le americane infatti non fanno solo carriere inimmaginabili qui da noi, ma promuovono anche #Metoo, il movimento della Womens’ March, la lotta delle madri contro la lobby delle armi, la campagna di black lives matter, Times’ Up, oltre a candidarsi in massa alle prossime elezioni di Mid Termi al Congresso USA.
Da noi poco e niente.
E qui arriviamo alla seconda criticità, indissolubilmente connessa alla prima: 2. La cultura femminista in Italia sta facendo la stessa fine del PD perché ne ha seguito la stessa evoluzione politica
Dopo le elezioni si sono spese molte parole sull’analisi del volto e sulle ragioni del tracollo elettorale del PD. L’analisi più lucida è stata certamente quella di Nadia Urbinati, guarda caso una donna, che ha messo il dito sulla piaga: Il PD si è scordato gli ultimi, non rappresenta più quel ceto popolare che si è spostato ora in massa sul M5S che ne ha invece accolto le istanze. Il PD ha rappresentato negli ultimi anni la visione politica e sociale e, in definitiva, concedetelo, gli interessi, di una élite colta, cosmopolita e borghese. Il successo elettorale a Roma ai Parioli, nei maggiori centri urbani a partire dalla ricca e benestante Milano e nel voto all’estero sottolinea questa dinamica con chiarezza e, se vogliamo, crudeltà.
Che c’entra il femminismo in tutto questo? C’entra eccome. Sono oramai anni che il dibattito mediatico che riguarda le donne si concentra su problemi che riguardano soprattutto la loro élite. Se guardate ai temi femministi di cui si parla maggiormente sui giornali e sui social troverete soprattutto: l’avanzata delle donne nelle carriere manageriali, accademiche, politiche e nei CDA, le discriminazioni che bisogna superare, sempre per fare carriera, le STEM, il bisogno di asili (per le donne che un lavoro ce l’hanno), le donne e la tecnologia. Tutti discorsi che interessano, a esagerare, il 10% della popolazione femminile over 15: mettendo insieme donne dirigenti, quadri, imprenditrici, lavoratrici in proprio, indipendenti e professioniste si arriva al 13%, tutte le laureate appartenenti alla Forza lavoro (occupate e in cerca di occupazione) arrivano all’11,3%. Il restante 90%, o poco meno rimane escluso da questa narrazione.
E la violenza sulle donne? Certo in questi anni si sono fatti dei passi avanti importanti, dalla Convenzione di Istanbul in avanti e pure la copertura mediatica, soprattutto della cronaca nera, non è mancata. Ma il fatto che nessun partito politico si sia speso con forza su questo tema dà da pensare sullo scollamento tra la realtà e la sua rappresentazione.
Anche in questo caso basti pensare alla differenza tra il #Metoo americano e quello italiano. Negli USA le grandi stelle di Hollywood, ricchissime e bellissime, hanno subito allargato la campagna politica coinvolgendo tutte le donne, sfilando sul red carpet del Golden Globe a braccetto con le rappresentanti delle principali associazioni per i diritti civili. Qui in Italia, dopo molto tempo, tante titubanze e troppe cautele, è uscita una lettera di sostegno delle attrici e giornaliste e chiusa lì.
Anche il femminismo italico ha quindi, al pari del PD, un problema di rappresentanza che rischia di ridurlo alla battaglia di una minoranza di donne privilegiate e colte, una specie di protezione dei panda per tutelare la biodiversità sociale. E’ certamente un problema dovuto soprattutto alla debolezza, non certo alla volontà, della nostra élite di donne, che dipendono ancora troppo dalla cooptazione del mondo maschile e non hanno abbastanza forza negoziale per farsi carico anche della condizione femminile delle altre, delle donne del sud, del welfare, del lavoratrici precarie, della povertà diffusa.
Ma i risultati delle elezioni sono proprio lì a dimostrare che, o le donne crescono tutte insieme, sostenendo politiche che a vario livello riguardano tutte, o le politiche di genere sono destinate a scomparire, con danno collettivo e generalizzato.
Quindi avanti, care manager, professoresse, amministratrici, imprenditrici, tocca soprattutto a voi, che ne avete il potere, le capacità e le conoscenze. Fatevi coraggio.
Articolo pubblicato il 19 marzo 2018 in http://www.ladynomics.it/
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