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Occupazione femminile Obiettivo strategico

Occupazione femminile Obiettivo strategico

Valore Lavoro - Cosa dicono, davvero, i numeri sul lavoro delle donne. Una conversazione con Linda Laura Sabbadini (ISTAT)

Bartolini Tiziana Domenica, 10/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013

“A determinare la tenuta dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile in questa fase sono due fattori: la crescita del tasso di occupazione delle ultra cinquantenni italiane, che permangono più a lungo nel mondo del lavoro a seguito della riforma pensionistica, e la crescita dell’occupazione femminile (soprattutto straniera) nei servizi alle famiglie dove il bisogno di assistenza è qualcosa di incomprimibile”. La lettura dei più recenti dati Istat che ci porge Linda Laura Sabbadini, Direttore del Dipartimento delle Statistiche Sociali e Ambientali dell’ISTAT, è chiarissima. Quindi dietro al segno più positivo dell’occupazione delle donne si cela una realtà per nulla confortante. Il dato molto preoccupante è quello dell’occupazione giovanile, che “ha subito un colpo e continua a subirlo” col 36,6 per cento di disoccupazione a dicembre 2012. In particolare Sabbadini sottolinea le criticità tutte femminili. “Le donne continuano a vivere i problemi della precarietà più degli uomini. È aumentato il part-time di 400 mila unità in gran parte femminili e quasi completamente nella componente involontaria soprattutto nel settore dei servizi, nella grande distribuzione e negli alberghi, dove spesso si combina con forme di contratti a tempo determinato. Non si tratta del part time per la conciliazione dei tempi di vita, ma del part time scelto dalle imprese. Altro fenomeno che si è accentuato soprattutto tra le laureate è quello definito della sovra-istruzione, cioè di donne impegnate in lavori di livello più basso di quello che dovrebbero svolgere in base al loro titolo di studio. Al sud la situazione è sempre più grave, visto che neanche una donna su tre riesce a lavorare”. Se la rappresentazione del presente è pesante, con questi dati e con questi elementi lo scenario futuro appare drammatico… “Dipende tutto da come si investirà sul capitale umano femminile. Siamo di fronte ad un grande spreco di risorse, un capitale umano pregiato che continua a crescere nei livelli di istruzione e negli investimenti in cultura perché fortemente determinato a farcela ma che continua a vivere una forte sofferenza. L’inversione di tendenza potrà arrivare dalle scelte politiche, cioè se si deciderà di adottare delle politiche che riescano veramente a valorizzare il capitale umano femminile”. Lei intende dire che saranno le scelte politiche a fare la differenza nel cammino che il Paese intraprenderà? “Assolutamente sì! Bisogna avere il coraggio di investire seriamente sulla valorizzazione delle risorse umane femminili, cosa che non si è fatta sinora, si tratta di una grande opportunità che abbiamo come sistema-paese. Le donne hanno investito molto in cultura e nell’istruzione, e continuano a farlo. Cresce il numero delle laureate, ma se non si investe nello sviluppo della ricerca scientifica, e se attecchisce la percezione che poi al fondo laurearsi non paga, c’è da chiedersi quanto potrà tenere questo trend”. In questo senso il dato recente delle diminuzioni delle iscrizioni all’università è preoccupante. “Le giovani donne non si ritraggono dall'investimento in formazione e cultura, leggono di più, vanno di più a teatro, a musei o a mostre, ma il problema lo incontrano nella transizione al mondo del lavoro. C’è un contrasto netto tra la dinamica positiva nella formazione e cultura frutto della determinazione e nuova soggettività femminile e la svalorizzazione successiva sul mercato del lavoro del capitale umano femminile”. Raggiungere l’obiettivo di Lisbona del 60% è ormai una chimera… “Bisogna capire che investire sulle risorse femminili deve essere un obiettivo fondamentale nell’ottica dello sviluppo e della crescita del nostro paese. Basta guardare a quello che hanno fatto altri paesi, dove hanno puntato sullo sviluppo dei servizi, anche di quelli sociali qualificati. Con una misura hanno raggiunto più obiettivi: sviluppare strumenti che aiutano la conciliazione e al tempo stesso incrementare l’occupazione femminile. Le donne sono il pilastro della cura nel nostro Paese. Ma non possono più farcela da sole. Bisogna ridare alla cura la centralità che merita nelle politiche pubbliche. Così tutti staranno meglio, non solo le donne”.



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