Israele - Israeliane e palestinesi lottano contro la progressiva occupazione dei territori. Adesso arriva anche il treno ad alta velocità Gerusalemme-Tel Aviv. Intervista a Tamara Traubmann
Piera Francesca Mastantuono Giovedi, 17/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011
Tamara Traubmann è nata in Cile e in seguito al golpe militare, lei e la sua famiglia sono stati costretti a lasciare il paese in quanto rifugiati politici, trasferendosi in Israele. Quando aveva 17 anni, ha rifiutato di far parte dell'esercito isrealiano e ha pagato per questo un caro prezzo, subendo l'espulsione dal kibbutz nel quale viveva, senza più sostegno finanziario. Ha 36 anni e vive a Tel Aviv; è giornalista e lavora come information coordinator di Whoprofits (http://www.whoprofits.org/), un progetto della Coalizione delle Donne per la Pace.
Quali sono state le ragioni e le conseguenze della sua scelta di rifiutare il servizio militare in Israele?
Non volevo far parte dell’occupazione e per questo ho scelto di non fare il servizio militare e sono stata mandata via dal mio kibbutz. Tutti hanno cercato di dissuadermi da questa scelta, affermando che avrei invece dovuto essere orgogliosa di proteggere lo Stato. La polizia ha poi presentato ordine di arresto verso di me ma sono riuscita a scamparvi grazie a mia madre, tuttavia ho dovuto trasferirmi lontano dalla mia famiglia, a Tel Aviv.
Qual è il ruolo delle donne nell’occupazione?
Hanno un ruolo fondamentale, sin dalla prima Intifada, quando alcune, israeliane e palestinesi, hanno iniziato a lottare contro la progressiva occupazione dei territori. Il movimento delle “Donne in Nero” ha fatto sì che le donne uscissero allo scoperto nello spazio pubblico palesando le proprie opinioni. E ciò era contro la tradizione che voleva la donna in casa. Gli attacchi verbali, durante le manifestazioni settimanali che le donne organizzavano, spesso a contenuto sessista, sono stati un’immediata risposta. Quello che faceva diventare pazzi gli uomini era che delle donne fossero lì innanzitutto come donne. Volevamo che le nostre idee venissero ascoltate, volevamo che fosse chiaro che avevamo da dire qualcosa.
È una “feminist organization” di tipo nazionale formata da donne, ma non solo, e ne fanno parte israeliane e palestinesi (con cittadinanza israeliana). La coalition è formata da circa undici organizzazioni diverse che hanno in comune una visione della società, libera da ogni tipo di oppressione e discriminazione. La battaglia contro l’occupazione è uno dei nostri punti principali, ma abbiamo una prospettiva di azione più ampia. Purtroppo oggi siamo diventati bersagli di attacchi più sottili, infatti vari decreti legge, alcuni già approvati in parlamento, sono fatti per colpire le organizzazioni in difesa dei diritti umani dei palestinesi. Ad esempio c’è una legge detta “anti - boicottaggio”, non ancora passata, che colpisce qualsiasi tipo di iniziativa che potrebbe potenzialmente portare ad un’attività di boicottaggio di Israele. La prima bozza di questa legge rendeva la sanzione applicabile anche agli stranieri, il governo l’ha cambiata perché avrebbe potuto creare dei problemi diplomatici. Nonostante ciò, se il disegno di legge dovesse passare, le associazioni o le singole persone, anche se solo sospettate di boicottaggio, sarebbero immediatamente condannate a pagare un’ammenda di 3.000 euro.
Cos’è il progetto “Who profits”?
È un importante progetto della coalition che ha l’obiettivo di rendere noto il coinvolgimento di aziende, tanto israeliane quanto internazionali, nell’occupazione. Abbiamo la possibilità di muoverci in tutto il territorio di Israele e della Cisgiordania, di raccogliere informazioni ed elaborare le ricerche che i locali raccolgono (e sono gli unici a poterlo fare) in relazione alla campagna palestinese BDS (Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni). Siamo una voce interna rispetto all’occupazione e la nostra ricerca è molto meticolosa, sul database abbiamo infatti inserito più di 1.400 compagnie che hanno a che fare con l’occupazione. Il criterio di selezione delle aziende è il loro coinvolgimento nell’occupazione al fine di denunciarne gli illeciti. Tra le associazioni denunciate c’è ad esempio la multinazionale francese VEOLIA coinvolta soprattutto nella costruzione di un tram, che collegherà le colonie che si trovano in aree palestinesi di Gerusalemme Est, direttamente con il centro della città. In Europa è stata portata avanti una campagna contro la VEOLIA: in Irlanda, Gran Bretagna e Francia gli attivisti hanno fatto in modo che i singoli municipi disinvestissero dalla VEOLIA, causandole così danni economici considerevoli, motivo per cui ora la società sta cercando di uscire dal progetto del tram e vendere le proprie quote. Oppure l’AGRESCO che commercializza ed esporta frutta e ortaggi etichettati come israeliani, sebbene siano prodotti nelle colonie illegali nei territori occupati della Cisgiordania.
In cosa consiste il treno ad alta velocità Gerusalemme - Tel Aviv?
Questo treno è parte di un progetto infrastrutturale che taglierà drasticamente i tempi di percorrenza attraversando però i territori occupati, dove ora ci sono villaggi, togliendo ancora più terra a proprietari palestinesi e creando ulteriori rischi d’inquinamento. Pur vedendo la partecipazione, per la realizzazione della ferrovia, di aziende straniere come l’italiana Pizzarotti & Co, la ferrovia è un progetto soltanto israeliano e sarà indirizzato solo dagli israeliani e, quindi, il fatto che i binari si snodino sul territorio palestinese è una violazione del diritto internazionale. C’era anche la possibilità alternativa di far transitare la ferrovia attraverso il quartiere ricco di Gerusalemme, Mevaseret, ma questo avrebbe voluto dire negoziare con i suoi abitanti, i quali si opponevano alla costruzione della ferrovia perché questo avrebbe abbassato il valore dei loro terreni. Quindi Israele ha violato le leggi internazionali certa che nessuno si sarebbe opposto, confidando nel silenzio del mondo.
Lascia un Commento