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Obiezione di coscienza e varie responsabilità

Obiezione di coscienza e varie responsabilità

SaluteBeneComune - Applicazione (vera) della legge 194 sull'aborto: i dati ufficiali e quelli reali. Tra risparmi e obiettori di coscienza che fine fa una conquista di autodeterminazione delle donne?

Michele Grandolfo Lunedi, 20/01/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2014

Polemiche sono state sollevate dalla discrepanza tra i dati sull’obiezione forniti dalle Regioni e riportati nella relazione della Ministra Lorenzin al Parlamento e quanto ritenuto essere la realtà effettiva, soprattutto in alcune regioni, come il Lazio, dove viene denunciata una particolare situazione di sofferenza per carenza di servizi in alcune aree. Non basta affermare che considerata la distribuzione delle IVG nell’anno e i carichi di lavoro settimanali necessari, i medici non obiettori sono sufficienti per effettuare tutte le IVG attese. Se si considerano le procedure coinvolte nel percorso IVG ci si rende conto quanto sia non banale che ci sia nel luogo, al posto, al tempo giusto il personale necessario giusto, con i presidi adeguati. Non è un caso che la legge 194/78 assegni esplicitamente alle Regioni la responsabilità di garantirne l’applicazione. Tanto che non farlo dovrebbe esporre immediatamente il Presidente della regione inadempiente all’accusa di interruzione di pubblico servizio. È la regione che assegna le risorse (che derivano dalle tasse) e le responsabilità per il loro appropriato uso, è la regione che deve valutare l’uso appropriato e la responsabilità delle inadempienze e porvi (obbligatoriamente) rimedio, perché il corrispettivo delle tasse è soltanto l’uso appropriato delle risorse. Sul percorso dell’IVG e sui flussi raccomandati l’Istituto Superiore di Sanità ha formulato proposte concrete già dalla metà del decennio successivo al varo della legge, con elaborati tecnici, tramite le relazioni annuali dei ministri al parlamento, contribuendo in modo determinante alla redazione del Progetto Obiettivo Materno Infantile, in seguito all’analisi epidemiologica dell’evoluzione del fenomeno, alle raccomandazioni tecniche dell’OMS e a indagini epidemiologiche speciali, in particolare riguardo l’assegnazione al consultorio familiare della funzione di prenotazione per le analisi pre-IVG e per l’intervento e la percezione del dolore in relazione alla anestesia impiegata.

La prima fase programmatica consiste nello stimare il numero di IVG atteso per area territoriale amministrativamente definita (ASL – Distretto) e, tenendo conto delle relative estensioni, delocalizzando i servizi al punto tale da mantenere l’efficienza operativa (il numero di IVG/settimana non deve essere inferiore alla soglia critica al di sotto della quale la scarsa quantità operativa ne riduce la qualità). Quindi, va programmata la continuità assistenziale CF-PO/AO-CF, con un particolare impegno all’aggiornamento professionale sul counselling che precede la redazione del documento che prende atto della volontà della donna e su quello post-IVG, sulle analisi necessarie pre-IVG , sulle procedure di intervento, tenendo conto delle alternative disponibili: medica (da privilegiare quando la richiesta di IVG è sufficientemente precoce) o chirurgica e, in tal caso anestesia locale (da privilegiare nella assoluta generalità dei casi perché assicura migliori esiti di salute e, al contempo, molto minori risorse, umane, strumentali, infrastrutturali e strutturali) o generale. Un trasparente processo programmatorio taglia l’erba sotto le istanze ideologiche e strumentali autoreferenziali e un monitoraggio adeguato, come consente il sistema di sorveglianza epidemiologica esistente in Italia, permetterebbe di monitorare e valutare l’efficacia nella pratica e l’efficienza offrendo alle autorità centrali gli strumenti adeguati per l’azione di vigilanza e di indirizzo, al fine di assicurare uguali diritti di salute in tutto il paese. Ma due questioni richiamano responsabilità centrali, locali e delle associazioni professionali. Per quale motivo non si consente di applicare la procedura medica fino alle 9 settimane gestazionali, come raccomandato dall’OMS e consolidato internazionalmente? Perché non si generalizza nel caso dell’aborto medico il sistema delle dimissioni protette? Perché si seguita a usare l’anestesia generale invece che la locale contro le raccomandazioni dell’OMS e differentemente dall’esperienza internazionale? Si garantirebbe di più la salute delle donne e si risparmierebbero centinaia di milioni di euro/anno da dedicare al potenziamento dei CF secondo il POMI, con ulteriori vantaggi per la salute delle donne e dell’età evolutiva e ancora più imponenti risparmi di risorse.


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