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Obiettivo salute. Senza tabù

Obiettivo salute. Senza tabù

Asia - Un passo avanti per le donne asiatiche: i governi hanno riconosciuto la loro autonomia anche nella vita sessuale

Elisabetta Borzini Sabato, 27/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015

La conclusione del dodicesimo Summit dei Ministri della Salute degli stati dell’ASEAN, tenutosi a Settembre ad Hanoi, Vietnam, è chiara: l’Asia affronta la salute a tutto tondo. Dalle malattie sessualmente trasmissibili alla terza età alle pandemie, in Paesi diversi tra loro ma spesso accomunati da quelle che i libri di storia chiamano dittature illuminate, c’è’ forse poco spazio di espressione per la società civile, ma una grande attenzione al suo benessere. Tra i temi trattati emerge un focus sull’HIV, e all’interno del pannello tematico si discute molto di categorie chiave e di donne. A differenza di molti Stati occidentali, in cui l’opinione pubblica viene imboccata con foto di madri africane che languiscono in letti di ospedale, qui il discorso, di natura politica e aperto a diverse figure professionali, è scientifico. Quello che colpisce è che sia Stati a maggioranza islamica (come l’Indonesia) sia a maggioranza cattolica (le Filippine) affrontino temi delicati come il preservativo femminile, la prostituzione e i rapporti sessuali tra uomini - più pericolosi dal punto di vista epidemiologico e bombe pronte a esplodere trattandosi spesso di uomini non omosessuali - con naturalezza e scientificità. Personalmente mi ha fatto riflettere su come reagirebbe in Italia una sala piena di scienziati, ma anche politici e giornalisti, a temi come il sesso anale, il lubrificante vaginale come arma contro il contagio e i female condoms. Ma la cosa che forse colpisce di più è la presenza attiva e partecipativa delle donne. L’Asia non è l’Africa, l’epidemiologia dell’HIV è molto diversa, ma tuttavia circa la metà dei nuovi casi tocca sempre le donne (con l’eccezione del Vietnam, dove la sieropositività femminile è pari a circa 1/5 rispetto a quella maschile).



Qui si incontrano donne, come l’epidemiologa americana Elizabeth Pisani, ma anche come la Ministra della Sanità Indonesiana, Nafsi Mboi, che parlano di HIV/AIDS e di sessualità. Il rischio di contagio nelle donne, essendo riceventi, aumenta esponenzialmente, specialmente se in compresenza di infezioni sessualmente trasmissibili che facilitano la lacerazione delle pareti vaginali e della cervice. Le donne sono anche, benché spesso si dimentichi, soggetti volontariamente sessualmente attivi. La bassa conoscenza anatomica del proprio corpo, associata a malattie sessualmente trasmissibili pre-esistenti, e l’attività sessuale non protetta rendono le donne, senza distinzione di casta, religione, stato sociale, una delle categorie a rischio. A tutto questo va aggiunto che in Paesi in via di sviluppo il sesso viene spesso suddiviso tra “familiare” (nel contesto della coppia), “commerciale” e “transazionale” (cioè un ibrido, non propriamente associabile alla prostituzione perché vi è una relazione tra i due individui e raramente viene pagato l’atto sessuale, mentre piu’ spesso l’uomo tende a “provvedere” a parte dei bisogni della donna). Il sesso transazionale si basa solitamente su una relazione fluida e non necessariamente di lungo termine, per cui la donna in questione molto spesso ha relazioni transazionali con più uomini contemporaneamente. Uno dei segreti meglio serbati della medicina moderna è il preservativo femminile (http://www.path.org/blog/2014/09/seven-secrets-female-condom/). È un fatto. I motivi di tanto mistero sono facilmente individuabili, il più ovvio: in moltissime culture il corpo della donna è un tabù che nemmeno lei conosce, e pensare che non solo sia lei a decidere se e quando procreare ma che abbia anche la conoscenza anatomica necessaria a inserire un preservativo nella cervice uterina è impensabile.



Benché la trasmissione per via sessuale (con rapporti vaginali) sia molto rara se tali rapporti avvengono quando la persona infetta ha una bassa carica virale (aggirandosi su 1/300 i.e. 1 possibilità su 300 di contrarre il virus), l’assenza di uno screening continuativo, soprattutto tra i giovani, è una bomba a orologeria. Però in paesi come la Thailandia, l’Indonesia, la Cambogia, dove i turisti vanno e trovano tutto e tutto a un prezzo risibile, il corpo delle donne diventa arma e campo di battaglia: il mercato del sesso è vasto e diverso, tutto si può provare e tutto si può avere, e spesso a pagarne le coseguenze sono donne-ragazze-bambine che non hanno la consapevolezza e le risorse per proteggersi. I governi tailandese e malese hanno affinato, nel corso degli anni, una strategia infallibile: le case chiuse (nei loro casi karaoke e centri massaggi) con anche un solo caso di sieropositività tra le ragazze sono costrette a chiudere. In questo modo i gestori sono i primi a mettere preservativi in ogni stanza e ad allontanare le ragazze che non li usano. Con questa politica, semplice ma infallibile, il tasso di HIV in Thailandia è stato abbattuto nel corso degli anni Novanta. L’Indonesia, prima dell’insorgere di gruppi di Polizia Morale, aveva una politica molto illuminata sul coinvolgimento dei gruppi chiave, quelli il cui comportamento a rischio poteva compromettere la salute di tutta la popolazione, tra tutti le prostitute e le waria, le prostitute transessuali.



Tutti questi Paesi, che convergono in Vietnam, portano storie di successi, per quanto riguarda il ruolo delle donne nella pandemia dell’HIV/AIDS e dà da pensare come il dialogo, sebbene spesso ostacolato da forze politiche o religiose, sia alla fonte di una risposta così puntuale ed efficace a una pandemia che in altre zone del mondo e parità di ricchezza (negando, di fatto, il nesso tra HIV e povertà) non cessa di mietere vittime. Al 12mo Summit dei ministri della sanità dei Paesi ASEAN si riconosce, forse per la prima volta, che le donne rientrano sì nella categoria a rischio ma principalmente per via delle loro scelte sessuali. Questo è un punto molto importante perché spesso delle vittime si ha compassione, le si relega al ruolo di “vittime dei fatti”, mentre con questa posizione i governi asiatici riconoscono nella donna un membro attivo della società, anche dal punto di vista sessuale, che va tutelato comunque e non solo in concomitanza di violenza domestica o in quanto vittima di traffico. Riconoscendo alla donna la sua dimensione sessuale la si porta su un piano di parità, in cui non deve essere protetta da se stessa o da non meglio specificati “uomini” ma del cui corpo lei stessa deve prendere atto e prendersi cura.

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