Mondo/ Turchia e Kurdistan - L’ultima parte di un viaggio nella realtà sociopolitica turca e kurda raccontato da due protagoniste e dalle tante persone che le sostengono
Giulia Salvagni Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005
Mehmet e Uiki
Mehmet Yuksel, responsabile Uiki Italia, commenta: “È stata importante la recente ammissione pubblica del presidente sull’esistenza di una questione kurda, ma le parole da sole non servono. Si deve riconoscere il dramma dei profughi kurdi interni alla Turchia e dare la possibilità di farli tornare ai loro villaggi”. Allora veniamo ai fatti: il presidente del consiglio turco Erdogan, in occasione di una recente riunione Nato in Danimarca, ha dimostrato cosa pensa in realtà dei kurdi.
Da un’agenzia del 15 novembre 2005 a Kopenhagen: “Erdogan ha annullato la conferenza stampa comune con il presidente Rasmussen, e lasciato la Danimarca. Erdogan avrebbe chiesto a Rasmussen di allontanare dalla sala i corrispondenti della Roj-TV (un’emittente kurda). Per l’opposizione di Rasmussen, Erdogan avrebbe chiesto che venisse loro impedito di parlare e fare domande. Anche questo non fu accettato da Rasmussen dichiarando alla stampa di comprendere la sensibilità della Turchia in tema di terrorismo, anche la Danimarca partecipa attivamente alla lotta al terrorismo, ma per la legge danese non è possibile impedire ai giornalisti di partecipare ad una conferenza stampa. Non comprenderebbe l’atteggiamento di Erdogan dicendo: “I governi non devono in nessun modo tentare di influenzare i media. La libertà e l’indipendenza della stampa fanno parte integrante dei principi fondamentali della democrazia della Danimarca”.
Quel silenzio vale oro
A proposito di quello che il governo turco propaganda come terrorismo kurdo, Mehmet racconta di un fatto accaduto il 9 novembre 2005 a Semdinli. I residenti della cittadina sono riusciti a fermare due sedicenti terroristi che avevano lanciato una bomba in una libreria. Hanno scoperto che in realtà erano agenti turchi in borghese, nella loro macchina avevano foto di kurdi, la pianta della città con luoghi da attaccare per poi far ricadere la colpa sul Pkk, e una lista di persone da uccidere. Agenti come questi sono molti. Dieci giorni fa, infatti, un dirigente del partito kurdo, il Dehap, è stato assassinato a Dersim.
“La Turchia è ancora un Paese fortemente militarizzato – spiega Mehmet – Ha un grande esercito e un potente servizio segreto che agisce in una posizione strategica tra Paesi occidentali e Medio Oriente”.
Tra i motivi del genocidio si potrebbe dire che i territori kurdi sono ricchi di materie prime utili al governo?
“Certo – risponde Mehmet - il Kurdistan, detto anche alta Mesopotamia, è un territorio ricco di petrolio, ha un’enorme quantità di acqua e di miniere. È un Paese molto ricco, con potenzialità economiche ben sfruttabili. E con tutto questo, la Turchia paga i suoi alleati. Offre le sue ricchezze ed i suoi servigi in cambio del silenzio. Per molti anni la Turchia ha avuto un’importanza strategica per la Nato. Ogni questione che poteva minacciare o indebolire la Turchia doveva essere eliminata, per questo motivo il movimento kurdo e i diritti del popolo kurdo e sono stati ignorati o repressi. Ma visto che le minacce di ieri, oggi non esistono più, l’Unione Europea può e deve farsi responsabile per trovare una soluzione democratica nella questione kurda.
Il gruppo di pace, sceso dalle montagne
Lerzan spiega: “Il problema dell’esodo interno dei kurdi, non è ancora stato capito dalla comunità internazionale”. Racconta di un gruppo di ragazze e ragazzi, scesi dalle montagne. “Scendere dalle montagne” oggi in Turchia ha un significato preciso: smettere la guerriglia e cercare di rientrare nella società civile. Questi giovani si sono presentati a Istanbul dicendo che avrebbero lanciato un’offensiva di pace, chiedendo alle associazioni di sostenerli in questo. Ma la polizia li ha incarcerati per cinque anni, usciti hanno diffuso un volantino ed hanno chiesto un incontro con il Parlamento turco. Per questo motivo sono stati nuovamente messi in galera. Usciti dopo alcuni mesi, hanno cominciato a collaborare con l’Ihd.
I volontari dell’associazione lavorano anche nei campi profughi kurdi per la realizzazione di progetti umanitari. Stanno creando degli ambulatori con l’aiuto di un’associazione di medici francesi e grazie al sostegno dell’associazione italiana “Verso il Kurdistan” ricevono soldi per i medicinali. Inoltre organizzano corsi di lingua turca per donne kurde, e corsi di computer per giovani disoccupati kurdi.
Turchia, produttrice di migranti verso l’Europa
Sarebbe interessante fare un’indagine sul perché i profughi richiedenti asilo che giungono in Italia dalla Turchia sono tutti giovani. Sono figli dei profughi kurdi che sono già stati cacciati dai loro territori ed oggi vivono nei campi. Oppure sono turchi che solo per aver partecipato a manifestazioni, vengono arrestati, picchiati, incarcerati. “Per questi ragazzi, una fase critica è anche la leva – osserva Giulia Di Martino, vicepresidente dell’associazione Ararat onlus -. Data la violenza dell’esercito, i giovani kurdi non vogliono trovarsi nella situazione di dover uccidere i propri familiari. L’obiezione di coscienza in Turchia non è contemplata dalla legge. Quindi i ragazzi scappano. Sono stata nei territori del sud-est – conclude - ma non esistono iniziative di recupero per questi giovani che oggi rappresentano solo un serbatoio per la migrazione”.
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