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Obbiettivo donna: le fotografe come protagoniste

Obbiettivo donna: le fotografe come protagoniste

Inaugurata la decima edizione di Obbiettivo Donna, organizzata da Officine Fotografiche con il patrocinio del Municipio VIII di Roma Capitale, dedicata alla produzione fotografica femminile.

Martedi, 10/03/2015 -
Roma. Al via la decima edizione di Obbiettivo Donna, la manifestazione che Officine Fotografiche organizza e dedica alla fotografia femminile. Interessante e variegato il cartellone proposto; da mostre, collettive e personali, a incontri che indagano i nuovi linguaggi editoriali, per tutto il mese di marzo, fino al 2 aprile, è lo sguardo delle donne a posizionarsi al centro della scenario fotografico della capitale. Un progetto che, sostiene il curatore Emilio D’Itri, “se per molto tempo la fotografia è stata considerata un mestiere per soli uomini”, intende “dare rilevanza alla creatività” di cui le donne sono espressione.



Documentare intorno a sé, che suona quasi come un raccontare a partire da sé, il tema affrontato dai lavori delle fotografe esposti negli spazi, e non solo, di Officine Fotografiche. A inaugurare la rassegna, venerdì 6 marzo, sono state Francesca Cao, Liliana Ranalletta e Marina Rosso. Seppure attraverso visioni che indagano aspetti diversi dell’esperienza, c’è un fil rouge a unire i lavori delle tre artiste. Infatti, in ciascuna si osserva il segno di un’attitudine al racconto e allo storytelling prolungato nel tempo, una narrazione segnata da un approfondimento che solo un movimento lento dello sguardo riesce a ottenere.



Francesca Cao, autrice di Temporary Life, distende lo sguardo non solo nel tempo ma anche nello spazio. Nell’idea di realizzare un percorso di mappatura del Paese, il progetto si pone alla ricerca dei segni dei terremoti passati, dei vuoti che non sono stati riempiti, delle ferite non ancora diventate cicatrici. Le foto di Francesca assomigliano, anche per l’originale presentazione ideata dalla curatrice Irene Alison di Der Lab, alle scatole aperte di un trasloco. Accanto alle foto, gli oggetti che l’autrice trova e recupera, durante i suoi viaggi, da sotto le macerie delle città invisibili attraversate. Una scarpa, una vecchia cartolina, il pezzo di una stoffa. Sono oggetti che aspettano di essere nuovamente ordinati, e riutilizzati nei gesti della quotidianità, cui fanno eco le fotografie a ritrarre un’atmosfera sospesa nella sua rarefazione, incerta, messianica.



La stessa sospensione si osserva nel lavoro di Liliana Ranalletta, Di Mastri e di botteghe. È, quella delle artigiane e degli artigiani fotografati, una sospensione che riporta a una forma del lavoro manuale di tempi trascorsi, ma che pure riesce a resistere alla post-modernità. Una pittrice, un libraio, un orologiaio: Liliana presenta per ciascuno dei suoi artigiani un dittico formato da un ritratto e da una più ampia visione d’insieme ideata per cogliere la corposità fisica della bottega. Con le sue luci, la polvere e le statue abbozzate appena, gli stracci sporchi di colore.



Concepito e prodotto da Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, anche The Beautiful Gene, il lavoro di Marina Rosso, avanza la proposta di una mappatura. Non di spazi questa volta, ma di volti. Alla base del progetto, la significativa decisione della banca del seme più grande al mondo di non accettare alcun donatore dai capelli rossi. E se questo può portarci a riflettere sulle nuove famiglie – Marina stessa ricorda come oggi siano donne single a ricorrere alle banche del seme, senza un partner cui riferirsi per eventuali modelli estetici –, ha portato per sei mesi la Rosso a girare l’Europa alla ricerca dei funesti pel di carota. Il risultato? Una galleria di volti dalle (quasi) immancabili lentiggini e di sguardi che, almeno nel lavoro di Marina, sono di gran lunga preferibili al noioso principe azzurro, magari biondo e dagli occhi azzurri, delle vecchie favole che preferiremmo superare.

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