Note ai margini - Qualche riflessione sul Piano triennale per il lavoro - Liberare il lavoro per liberare i lavori
Castelli Alida Lunedi, 18/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010
Presentato alla fine di luglio dal Ministro Sacconi il “Piano triennale per il lavoro - Liberare il lavoro per liberare i lavori” (www.lavoro.gov.it), ma se ne è parlato molto poco.
Che ci sia bisogno di un piano per il lavoro ce lo dicono da tempo i fatti, se è vero infatti che i livelli di disoccupazione (secondo l’Istat) non sono aumentati in maniera così rilevante come in altri Paesi. Continuiamo a rimanere sotto il 10%, ma dobbiamo anche sapere che questa media nasconde una situazione drammatica per le donne ed i giovani: il 28,7% delle ragazze da 14 a 25 anni è alla ricerca di un lavoro con punte che superano il 40% in quasi tutte le regioni meridionali. E dobbiamo anche sapere che ormai il numero delle persone che nemmeno provano a cercare un lavoro è cresciuto: sono circa 16 milioni coloro che in termini tecnici vengono definiti ‘scoraggiati’ e tra questi le donne rappresentano la fascia più consistente con le solite aggravanti del mezzogiorno. Quindi ben venga un piano a condizione che non sia neutro ma che abbia precisi riferimenti in termine di genere.
Nella sintesi del Piano si afferma che uno dei punti da sviluppare consiste nel “ripristino del lavoro intermittente e del lavoro a tempo parziale flessibile” . Per anni su questo punto abbiamo dibattuto. Da un lato, le donne che hanno denunciato la precarietà che deriva nel rapporto con il lavoro da tali forme contrattuali, dall’altro studiosi e politici - di ogni parte politica sia ben chiaro - che ci volevano convincere che erano forme di lavoro moderne e in grado di rispondere (sempre a costo delle donne dico io) alle modernizzazioni chieste dall’organizzazione del lavoro.
Ebbene, se queste forme non sono mai decollate è perché i datori di lavoro non le hanno mai volute, preferendo un bell’orario fisso che non crea complicazioni. Lo sanno molto bene quelle donne che dopo il primo o secondo figlio, vedevano solo in un’occupazione part-time, possibilmente transitoria, l’unica forma che permetteva di condividere figli e lavoro. Generalmente davanti a questa richiesta la lavoratrice si è sentita rispondere di no, allora spesso non rimane nessuna altra possibilità che un “licenziamento volontario”.
Forse su questi nuovi-vecchi strumenti dovremo discutere di più e approfondire meglio.
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