Venerdi, 22/02/2013 - Dal convegno predisposto dal Pd provinciale di Salerno lo scorso 20 febbraio sul Terzo Settore sull’economia sociale e sulla sussidiarietà si è levato unanimemente forte e chiara la richiesta di finanziare nuovamente il Fondo sociale nazionale. Ad accompagnare questa istanza è stato un confronto tra i vari soggetti che agiscono in nome e per conto della economia sociale, che sempre più si qualifica come protagonista del nostro sistema di welfare. Indubbiamente bisogna sgombrare il campo da eventuali luoghi comuni, poiché essa non si occupa solo di povertà, handicap o disagio ma anche di sanità, con le sue nuove modalità, di ambiente e di nuove tecnologie. Patrizia Stasi, responsabile del progetto Sisaf, attraverso il quale vengono gestiti a Salerno precipui servizi sociali, ha in maniera inequivocabile protestato contro il progressivo depauperamento del Fondo sociale nazionale, che nel 2004 aveva più soldi di oggi. Un costante e continuo suo indebolimento ha determinato la conseguente scelta politica di svuotare di senso quel principio di sussidiarietà, che dovrebbe essere alla base delle politiche sociali e per il quale i servizi sono per gli utenti, tutti. La conseguenza di tale circostanza è stata che finanche il correlato Piano regionale, frutto di “un diffuso copia-incolla non vede allocazione di risorse e ciò avviene proprio in un preciso momento storico in cui tutti i Piani sociali di zona si stanno disgregando” (Stasi).
Di fronte ad uno Stato che penalizza sempre più l’economia sociale, i soggetti che operano nel Terzo Settore si trovano di fronte ad evidenti criticità. Si è vero che essi reinvestono i profitti in servizi e prodotti, si è vero che le associazioni o le cooperative hanno una proprietà collettiva che non può essere venduta ed un capitale sociale che non può essere delocalizzato, ma è altrettanto evidente che occorrano degli input a livello nazionale, perché la realtà attuale li sta facendo collassare. Eppure, a ben vedere e al di là della specifica caratteristica per la quale il Terzo Settore costruisce simbioticamente le risposte ai bisogni insieme a chi ne richieda legittimamente il soddisfacimento, c’è un ben evidente dato economico che lo riguarda: i suoi operatori costituiscono il 9,7% degli occupati italiani, principalmente donne, con contratti a tempo indeterminato e con un trend in aumento dal 2003 ad oggi di oltre il 66%. Difatti si è passati dalle 1.366.000 unità lavorative di quell’anno alle 2.228.010 odierne, a dimostrazione che in un forte periodo di recessione economica c’è un settore che traina più degli altri.
Per far sì che lo Stato tenga conto del rilevante ruolo che l’economia sociale ha assunto in Italia, sia per la forza lavoro impiegata che per i servizi erogati, occorre che essa faccia sentire la propria voce alla classe politica, per analizzare le conclamate criticità alla sua sfera d’azione e approntare le conseguenti soluzioni. Dal convegno sono così nate una serie di proposte, indirizzate alla responsabile della segreteria nazionale del Pd, Cecilia Carmassi, titolare delle competenze in materia di politiche sociali. La Stasi ha richiesto sia la possibilità di adeguare i contratti alla durata dei servizi concessi dagli enti pubblici che quella di ampliare la percentuale dei relativi affidamenti alle cooperative del terzo settore, perchè “esse hanno al loro interno valori come legalità, coerenza, visione etica”, come anche la proposta di rendere operativo il FUA (Fondo Unico d’Ambito), perché “oggi come oggi, non esistendo un riparto differito, tutto va in un unico calderone”. Altri, invece, hanno proposto al prossimo governo di modificare i criteri determinativi dell’ISEE (Mastrovito, Acli) oppure di investire di più sull’offerta d’asili nido e di approntare nuovi modelli per sostenere la famiglia e l’occupazione, soprattutto femminile (Silvestri, Consorzio La Rada). Egualmente c’è stato chi ha sollecitato il miglioramento dei servizi per il tramite del rifinanziamento del Fondo sociale nazionale, che dal 2009 ha visto di anno in anno azzerati prima le erogazioni finanziarie per l’inclusione degli immigrati, poi per l’infanzia ed infine per l’autosufficienza (Cerracchio, ANFFAS). Califano, a nome delle Misericordie, ha richiesto una nuova legge regionale sul 118 ed una maggiore dotazione di defibrillatori, mentre Coleti (Forum Terzo Settore Campania) ha ben evidenziato la ferma e dura opposizione all’idea che la gratuità faccia concorrenza al profitto, tanto ferma da consentire il respingimento a luglio di un emendamento governativo al riguardo. Cavaliere (Arci) ha successivamente sottolineato come sia importante armonizzare le leggi regionali disciplinanti l’economia sociale con quelle nazionali, per garantire una sussidiarietà orizzontale, e nel contempo ripristinare tutti i luoghi di concertazione con il Governo ed altri enti pubblici, istituendo all’uopo un organismo indipendente rappresentativo del Terzo Settore. Di Benedetto (FISH), in conclusione degli interventi, ha ribadito la centralità della persona con disabilità nell’erogazione dei servizi di cui abbisogna, chiedendo alle istituzioni territoriali pubbliche una interrelazione tra gli stessi che vada in tale direzione.
A queste istanze C. Carmassi ha risposto, evidenziando inizialmente i punti centrali del programma del Pd sulla famiglia: misure di conciliazione tra essa ed il lavoro rivolte alle donne, atteso che ancora si è portati culturalmente a ritenere che “le donne che vanno a lavorare tradiscono i propri figli”; aumento del limite temporale dei congedi parentali obbligatori; rivisitazione dell’affido condiviso, dal momento che i figli sempre più diventano un campo di battaglia. Sull’ISEE la componente della segreteria nazionale del Pd ha rimarcato il forte bisogno di una sua rivisitazione che ”ne eviti le furbizie, perché sono ingiuste”. Illegittimità presenti anche in alcune cooperative sociali che, nate da imprese, si comportano come tali usufruendo dei benefici fiscali delle prime. Altro punto da riformare è la misura dell’entità dei profitti in capo al Terzo Settore, attraverso una discussione franca e schietta tra la classe politica, le istituzione e gli operatori dell’economia sociale. Cogliendo, però, anche l’occasione di discutere di nuovi modelli alternativi sia per meglio comprendere dove debba agire l’impresa sociale, sia per far integrare meglio il Terzo settore con il volontariato, soprattutto nell’azione indirizzata al soddisfacimento dei bisogni promananti dagli utenti. Riguardo al ripristino del Fondo sociale nazionale la Carmassi si è detta d’accordo, anche se a suo parere, occorre rivitalizzarlo alla luce delle pecche individuate nel precedente sistema, quale ad esempio la troppa autonomia assegnata alle Regioni. Il tutto, chiaramente, in un’ottica che privilegi modelli nuovi, alla luce delle singole specificità riscontrate e per il LEA (Livelli Essenziali d’Assistenza) e per le politiche di integrazione socio-sanitaria e per le indennità d’accompagnamento e per le linee guida sulla disabilità, con l’auspicio che si riveda finanche il ruolo dell’Inps, la funzione del 5per mille e il servizio civile.
A questa cospicua mole di elaborazione e di lavoro, di cui dovrà farsi carico il prossimo governo, darà il proprio contributo un correlato dipartimento provinciale, che a breve sarà costituito all’interno del Pd provinciale, con l’intento primario di “condurre ad una migliore conoscenza dei bisogni delle comunità territoriali attraverso la lente d’ingrandimento delle politiche sociali” (Landolfi). Non resta che augurare un proficuo lavoro a tutti, ognuno per le sue specifiche competenze e per il precipuo campo d’azione, un lavoro che vada, però, nella direzione di impegnarsi oltremodo ad onorare quel principio fondamentale che dovrebbe essere alla base di ogni singolo consesso civico: “non c’è nulla che sia più ingiusto che fare parti eguali tra diseguali” (Don Milani).
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