Emanuela Irace Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2007
Se la tensione morale di Gramsci fosse alla base del nuovo partito della sinistra. Ci sono autori verso i quali lo sperdimento che si prova è simile a un amore a prima vista. Si leggono pagine e ci si sente a casa, o a quella che vorremmo avere di casa. Scrive Gramsci nel 1915: "Ho lavorato per vivere, mentre per vivere avrei dovuto riposare, avrei dovuto divertirmi. Forse in due anni non ho riso mai, come non ho pianto mai". E' poco più un ragazzo quando dalla Sardegna sbarca a Torino. Ma col metro di quegli anni, è già un uomo fatto, un sessantenne di oggi, con la nostalgia nel cuore e il dovere morale di portare fino in fondo la sfida con la vita. Il giovane di Ghilarza che scopre il continente e critica il marxismo e che sei anni dopo sarà tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, elabora un tipo di giornalismo che nei Quaderni dal Carcere, definirà "integrale": "E' puerile pensare che un concetto chiaro, opportunamente diffuso, si inserisca nelle
diverse coscienze con gli stessi effetti. E' questo un errore 'illuministico'". Con il rigore che gli è proprio, Gramsci rifonda ogni angolo della professione, componendo una nuova etica giornalistica.
Dell'inviato di guerra al cronista colto, che interpreta e traduce i poteri sullo sfondo, amplificando il ruolo delle riviste e del dibattito. Oggi, a settant'anni dalla morte del Fondatore di Ordine Nuovo, mentre la sinistra annuncia la propria crisi, e Liberazione si divide tra "Cuba" e le "Piazze", la tensione intellettuale e la critica di Gramsci acquistano ancora più valore, rispetto a quello smarrito da una classe dirigente che appare piccina e spaventata. Schiacciata su un conformismo da cui mai nascono pensieri. Il sapere non si nutre di pigrizie intellettuali, ha bisogno di inquietare, essere scomodo, frainteso, ambiguo, disturbante. "Se l'essere comunista importa responsabilità, l'accetto", dice il deputato Antonio Gramsci, al Tribunale fascista che lo accusa. E noi, quale responsabilità
politica siamo disposti ad assumerci? Potremmo avere il coraggio di scegliere Gramsci come fondatore morale del nuovo partito della sinistra, che una sua propria identità sta ancora cercando? Ma se l'esercizio della critica, produce in risposta anche da sinistra, il bavaglio del nemico, che
in questi anni ha imparato a portare come un clichè, il prefisso "anti" - anti-semita a chi critica il Governo di Israele, anti-democratico a chi non asseconda la politica dei partiti, anti-femminista a chi rivaluta il ruolo materno e la voglia delle donne di stare in casa - non si è più in presenza di cultura ma di opportunismo, dove ciascuno può "etichettare" con un marchio il dissenso - e l'esercizio della critica finisce per accontentarsi di briciole già masticate. Silenziose e comode, ma irrimediabilmente brutte, per assenza di idee e di coraggio.
(10 luglio 2007)
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