Nuova Etica Pubblica, focus su 'Pubblica amministrazione e imprese'
E' uscito il nr 4 di Nuova Etica Pubblica. Editoriale di Daniela Carlà Intervista a Matteo Richetti. Interventi su legalità e contrasto alla corruzione
Una leadership etica per il Paese: è la priorità per la quale impegnare la politica, la pubblica amministrazione, gli attori economici e sociali e l’associazionismo, verso cui orientare progetti e risorse, nel pubblico e nel privato. Il Paese ha bisogno di passi in avanti, di riforme, di progressi certi e verificabili, ma soprattutto di condividere obiettivi di medio periodo e di ritessere articolate e unificanti identità, di ritrovarsi in plurali, comuni e consolidate leadership, delle quali riconoscere concordemente la valenza anche etica e civile. Occorre ristabilire così “il circolo della fiducia”, auspicato da Marcella Mallen, senza umanismi sterili, ma assumendo differenze e articolazioni. L’orizzonte deve essere comune, insomma, e i percorsi e i sentieri tanti e diversificati. Sono fertili e inevitabili dialoghi e diversità, confronti e anche tensioni generazionali e tra i generi, dinamiche tra specificità territoriali e standardizzazioni, conflitti tra parcellizzazioni e regole, tra omologazioni e valorizzazioni delle differenze, tra differenziazioni e reti, ma nella condivisione di valori, assetti, regole di fondo. Ecco, dunque, il terreno effettivamente unificante, più importante di accordi contingenti, siglati magari presso studi notarili, ma fragili comunque perché suscettibili di essere contraddetti e rivisti dopo la cena successiva e che, in definitiva, scoraggiano e allontanano comunque i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Anche per la PA specifici interventi e magari utili modifiche normative non sono sufficienti per la definizione dei progetti e delle priorità di fondo nel medio periodo, e non aiutano ad affrontare la vera urgenza: il recupero di riconosciuta responsabilità presso l’opinione pubblica, di una forte e indiscussa identità di ruolo, di funzioni, di valori etici di riferimento. La crisi impone la ridefinizione e nuove composizioni degli equilibri, la revisione di molte regole. Non spaventa la voglia di cambiamento, “necessario e impossibile” (Michel Crozier), e neppure la vivacità del confronto, quanto, piuttosto, l’ostinazione nell’annichilimento degli interlocutori, la ricerca dell’impoverimento dei ruoli degli altri, l’elusione del confronto sulle tematiche per concentrarsi sui difetti degli interlocutori, sulla demolizione dei ruoli e dei poteri, nell’erronea convinzione che la propria leadership sia più autorevole quando si annienti l’altrui credibilità. Questo anche per la PA succube, e troppo spesso capro espiatorio, nello scontro tra fazioni e poteri da parte della politica, aggressiva quando è debole. Nuoce a tutti.
Nuocciono l’ottusa prefigurazione di soluzioni certe, il sottrarsi al confronto sulle cose, il privilegiare l’ostilità verso gli interlocutori, il non riconoscerne le responsabilità. Il nostro paese non ha bisogno di continue etichette e “denominazioni di origine controllata” per la primogenitura di idee e proposte, ma di vederle realizzate. E il futuro non si brevetta ma si costruisce, valorizzando concordemente i passi in avanti – anche quelli per i quali è da attribuire ad altre parti e ad altri poteri il merito -, ritrovando il senso delle cose comuni, del patrimonio che si consegna alle nuove generazioni, a prescindere dalla contingenza delle fasi e dell’avvicendarsi delle legislature, ma nel rispetto della distinzione delle articolazioni dei poteri, dei ruoli e delle funzioni. E anche nel rispetto degli equilibri e degli ambiti rispettivi della politica e della amministrazione.
La leadership etica si esercita nella capacità di anticipare, di motivare, di gestire, di fermarsi quando è necessario, di riconoscere ruoli differenti, ma considerando comuni nel medio periodo i valori di riferimento. E soprattutto valorizzando la dimensione civile ed etica dei comportamenti, dei singoli e delle organizzazioni di riferimento. Vi è bisogno di credibilità e del cambiamento possibile e sostenibile, sia nella politica sia nella PA. Abbiamo voluto aprire con l’intervista a Matteo Richetti, relatore della legge sui partiti, approvata recentemente alla Camera, perché la trasparenza e la democraticità nella vita interna dei partiti costituiscono il vero nodo, purtroppo poco presente nella discussione in questi mesi. Non è sufficiente cambiare le regole, se non si comincia dai soggetti, dai protagonisti, sia per la politica che per la PA. Attuare l’art.49 della Costituzione e organizzare la vita interna dei partiti con regole che ne favoriscano la democrazia, la non discriminazione, la partecipazione, è un imperativo. Occorre riflettere sull’attualità della modalità di organizzazione attraverso la forma partito. La riforma dei partiti, attraverso la piena attuazione dell’art. 49 della Costituzione, costituisce un’urgenza per il Paese e, io credo, per la PA, che non sarà effettivamente indipendente e imparziale secondo il dettato costituzionale, se i soggetti della politica, i partiti, non impronteranno se stessi e la propria vita interna ai principi di democraticità. Sono convinta della correlazione. E altrettanto convinta che sia stata sino a ora poco indagata, ma che sia centrale per l’esercizio nel Paese di una autorevole leadership etica.
Condividendo, con Giovanni Principe, che in primo luogo la politica debba partire da se stessa, (dunque dalla riforma dei partiti!). Credo che sia velleitario, comunque, pensare di riformare la PA senza riformare la politica. Ma, ovviamente, ciascuno deve concentrarsi su di sé, anche l’amministrazione e la dirigenza pubblica.
Di leadership etica racconta Antonello Scialdone, che richiama significativi approfondimenti. Insomma, il capo deve essere sempre sottoposto a regole, qualunque sia il potere che esercita. Antonello Scialdone si chiede quale sfida rappresenti questa prospettiva per il settore pubblico e per la PA in particolare considerando “lo specifico delle nostre amministrazioni, più aduse a far notizia per eventi riferibili alla presenza di guide a bassa intensità morale e per il rischio di abusi, manipolazioni e comportamenti oppressivi …..Questa testata e la stessa Associazione che la promuove, portando già nel nome il riferimento all’etica come manifesto, potrebbero …...stimolare plausibilmente una discussione nel merito, a partire dalle condizioni di adattabilità di questo approccio al contesto delle nostre istituzioni. Quali requisiti deve poter vantare –e/o acquisire sul campo- la dirigenza delle nostre amministrazioni per giocare ruoli virtuosi quali quelli finora richiamati? Quali contraddizioni incarna un apparato istituzionale sovraffaticato nel corso del tempo da prescrizioni e adempimenti ma tuttora insufficiente nel testimoniare un impegno etico e nel saperlo trasmettere e valorizzare? E’ possibile conseguire tramite modelli rinnovati di leadership una maggiore efficienza dei contesti organizzativi e livelli durevoli di soddisfazione del proprio personale?”
Ci interroghiamo su come la PA possa contribuire nel paese a una nuova leadership etica nel medio periodo, non schiacciata sulla contingenza: la leadership si rafforza nella analisi consapevole del presente e nella progettualità. E’ per questo che vi è necessità di una pubblica amministrazione capace e indipendente. Al contrario, la politica, quando evoca il servilismo e l’appiattimento dell’amministrazione pubblica, nuoce all’amministrazione – e quindi ai cittadini – ma nega innanzi tutto se stessa, rinuncia alla funzione che le è propria. La tematica della leadership etica e civica, dunque, investe l’amministrazione, la politica, la vita interna dei partiti. Ne scrive anche, con un approccio differente, Marcella Mallen, presidente di Prioritaria, associazione fondata dalle principali organizzazioni di rappresentanza dei manager italiani, che evoca “leadership civiche nella città di domani”, progetto ambizioso e concreto.
La priorità della leadership etica per il Paese investe gli assetti, le regole, i soggetti, e tra questi in primo luogo i partiti politici.
Il leader moderno, sia esso politico o imprenditore, dirigente d’azienda o dirigente PA, deve esplicitare il proprio angolo di osservazione, esprimere uno sguardo consapevole del punto di vista prescelto, ma non tradurlo in parzialità e comportamenti discriminanti. Soprattutto la pubblica amministrazione ha il dovere di efficacia nelle azioni – che richiede orientamento e scelte – e di imparzialità.
Occorre soffermarsi sulle funzioni e i limiti dell’operare delle pubbliche amministrazioni, sui valori che ne fondano l’agire, sulle relazioni con la politica, sulle aree riservate e su quelle in condominio.
Ci torneremo nei prossimi numeri, con un’ottica interdisciplinare, anche filosofica, interrogando e interrogandoci sul rapporto dell’amministrazione con l’etica. Sono utili il confronto tra culture, e l’approccio trasversale, che aiutano a chiedersi di quale amministrazione pubblica la collettività abbia bisogno, coinvolgendo giuristi, economisti, statistici, sociologi, urbanisti, filosofi, imprenditori, dirigenti d’azienda. E’ oggetto di riconsiderazione anche il rilievo da attribuire alle biografie dei singoli, il riflettere su quanto sia corretto e utile nella PA che le biografie affiorino nei curriculum: questioni non banali e alle quali non si possono continuare a fornire risposte casuali o semplicistiche.
Abbiamo anche seguito l’approccio di Laura Moschini, con l’attenzione rivolta alle nuove generazioni. Presentiamo con piacere la ricerca che coinvolge una platea di giovani nell’approfondimento del nesso tra etica, scienza, tecnologia, in un’ottica di genere.
Laura Moschini racconta, infatti, di etica, e di etica per i giovani, muovendo da considerazioni riguardanti “la cittadinanza responsabile” e superando “le diffidenze verso la filosofia dei discorsi riguardanti le così dette vere scienze, come sono considerati saperi in ambito scientifico e tecnologico. L’obiettivo è collegare i saperi etici con quelli politici ed economici. “La conclusione è incoraggiante, i giovani interrogati fanno delle domande precise e richiedono azioni in campo educativo, familiare e sociale, lavorativo e istituzionale e politico”: cioè politiche pubbliche. Cioè – e mi pare di non forzare - più pubblica amministrazione, funzionante efficacemente
L’amministrazione alla quale pensiamo è abitata da inevitabili conflitti e attraversata dalle innovazioni del presente, mette in discussione sé stessa, apre i “cantieri” ma poi li chiude, conosce il dubbio ma cerca risposte, in tempi certi e nell’esercizio della discrezionalità. Rivendica ruolo e funzioni dei propri dirigenti, della propria specifica leadership etica.
Non dovrebbe più costituire il luogo per l’annoiato confronto, - quasi sempre esclusivamente giuridico - presso i gabinetti dei ministri, che è funzionale a rivestire la realtà delle sole regole giuridiche e che ha concorso a far sì che le amministrazioni pubbliche non siano vissute come realmente abitate da fermenti, tensioni, passioni della nostra epoca.
Le sollecitazioni e gli interessi del presente nella PA troppo spesso si “lavorano” come provenienti dall’esterno, non come propri della PA medesima che ha, invece, responsabilità dirette nel conoscere e comporre gli interessi. Paradossalmente, la PA è vissuta come luogo di “decontaminazione”, non di confronto e valutazione. Al dirigente pubblico, troppo spesso, nella migliore delle ipotesi, si è chiesta la sola competenza tecnica, vagliata con canoni formali. Capace e meritevole finisce poi con l’essere considerato il dirigente che impari sapientemente a muoversi nella zona grigia dei gabinetti.
Vi è un problema di qualità della dirigenza pubblica – e non intendiamo disconoscerlo – nel rapporto con i cittadini. La disciplina della dirigenza pubblica è centrale. Claudia Maio e Roberto Bafundi ci accompagnano nella lettura della legge “Madia”, in corso di definizione, sottolineandone criticità e aspetti problematici. La lettura per punti coglie più nessi dei tanti approcci globali e ideologici. Insomma, la “destrutturalizzazione” nell’analisi ci lascia ancora più perplessi sugli ingredienti utilizzati. Auspichiamo le modifiche necessarie. Ma pensiamo anche che il problema non sia solo di leggi e di bontà delle leggi: continuiamo anche a pensare che per i problemi della P.A. la soluzione non sia sempre solo nelle leggi. E anche che la formazione improntata al solo formalismo giuridico non aiuti. E non giova neppure semplicemente integrarne l’approccio con esercizi adempimentali che sovrappongono controlli e “schizzano” valutazione, paralleli e troppo generici, densi di astratte e gergali competenze. Occorrerebbe invece cogliere come grande opportunità la portata innovativa della valutazione, investirci, nella convinzione che richieda interdisciplinarità, umiltà nell’approccio, sperimentazione, “falsificazioni”, riconoscimento dell’errore, come abbiamo appreso da Nicoletta Stame. Apprezziamo le riflessioni dell’AIV e di Mita Marra. La valutazione può contribuire a far funzionare l’amministrazione pubblica meglio e con costi minori. Ma si riduce a un costo aggiuntivo se la si piega al ruolo di ancella per giustificare, con vesti nuove, l’esistente, se non la si aziona come leva per le scelte innovative nelle politiche pubbliche. Condividiamo con Mita Marra l’approccio che liquida definitivamente, ricorrendo anche alla visione di Hirschman, la concezione tecnicistica della valutazione. E’ nostro intento contribuire al ragionamento sugli intrecci tra valutazione, partecipazione, democrazia.
Innovare non significa inserire barocchismi e complicare con adempimenti aggiuntivi; non giova potenziare l’Amministrazione gergale e astratta, dove imparzialità si coniuga nei fatti con distanza e indifferenza. L’indifferenza etica non è riconducibile all’imparzialità: ne configura l’antitesi. L’imparzialità presuppone la considerazione, non discriminatoria degli interessi, e non l’apatica e mestierante equidistanza. Per comporre gli interessi non si può prescindere da competenza, conoscenza, esperienza: il formalismo giuridico soccorre, invece, troppo spesso, l’anestetizzante distanza. L’amministrazione che si “difende” dall’ingresso degli interessi con asettiche impalcature giuridiche non è imparziale ma ideologica, genera falle per l’inevitabile incursione di interessi privilegiati, per parzialità, per consuetudini. Troppi e troppo coesistenti a lungo i malintesi. E gli equivoci sulla valutazione, ma anche sulla semplificazione, importantissima ed evocata in tutti i contributi come fondamentale nel nostro focus su amministrazione e imprese. E’ urgente semplificare. Ma per semplificare occorre avere idee chiare sugli obiettivi, conoscere, scegliere, togliere il superfluo, gestire il cambiamento con equilibrio. Credo che ciò non sia stato adeguatamente considerato dalle “riforme” della PA di questi anni, più o meno organiche e sistematiche, delle quali pure non si disconoscono le buone intenzioni. Le nostre considerazioni sono rivolte proprio a garantirne il regolare funzionamento; a valorizzarne l’efficacia. Il nostro obiettivo è migliorare la PA anche attraverso la normativa che la regola. E’ per questo che crediamo che anche l’intervento normativo in corso di elaborazione (c.d. riforma Madia) debba essere migliorato con le correzioni suggerite dalle associazioni della dirigenza, da parte della politica, dal Consiglio di Stato. Ma, soprattutto, è necessario ritrovare la coralità negli obiettivi di cambiamento. Vorremmo una migliore PA per i cittadini. Dobbiamo provare a riconoscerci tutti nelle finalità generali, ma anche nelle valutazioni e nelle valorizzazioni dei piccoli passi. Auspichiamo le necessarie modifiche alla normativa in corso di approvazione, soprattutto relativamente al ruolo della dirigenza pubblica. Impoverire la dirigenza della Nazione non giova alla politica forte e credibile. Ma non bastano le leggi: non ci stancheremo di ripeterlo. Occorre valorizzare le esperienze, trovare Il gusto delle condivisioni nella valorizzazione delle buone pratiche. Ma anche qui bisogna procedere con discontinuità. Si è ritenuto spesso, erroneamente, che per diffondere le buone pratiche sia sufficiente trasferire “pacchetti”, decretando così l’insuccesso nello scambio e nella trasferibilità delle esperienze positive. Ciò che si può trasferire è il metodo dell’apprendere; traslocare pigramente l’esperienza conduce sovente al fallimento.
Occorre coinvolgere gli attori sociali economici, confrontarsi con il mondo delle imprese, con tutte le realtà produttive e con l’associazionismo. Abbiamo voluto dedicare il nostro focus al rapporto tra la P.A. e il mondo delle imprese, avviando la nostra riflessione. Le imprese e la managerialità privata sono interessate direttamente alla PA, quando chiedono più semplificazione, ma soprattutto quando chiedono alla PA, nel complesso, di funzionare meglio.
Maurizio Sacconi, introducendo il focus, ci ricorda come l’economia e le imprese abbiamo bisogno di stabilità monetaria, di fluidità nell’accesso al credito, ma anche di innovazione, di scelte strategiche. Ci parla di Italia, di Europa, di Mediterraneo; non solo, dunque, di regole e interventi settoriali e specifici.
Ci siamo rivolti a un politico che, per competenza e per passione, è anche un profondo conoscitore sia della P.A. che del mondo delle imprese.
Non è sufficiente la deregolamentazione. Discutiamone e riflettiamo sulle innovazioni normative, senza eludere o considerare marginali le questioni di fondo e più complesse.
La disciplina degli appalti è decisiva.
Sul Codice degli appalti è intervenuto Carlo Mochi Sismondi – tra i maggiori interpreti della PA – che ha evidenziato le nuove positive principali tendenze, ma anche le criticità. Si è soffermato sul contrasto alla corruzione per concludere infine, che “è proprio la discrezionalità del dirigente e del politico dotati di autonoma responsabilità che è il ruolo sovrano contro la corruzione.”
Concordiamo, e pensiamo che occorra legare esplicitamente spending review, cambiamento, metodi negli acquisti.
Ora si discute già se anticipare “il tagliando” alla nuova disciplina degli appalti. Può essere utile. Nella consapevolezza, però, che la buona qualità delle norme, la soddisfacente tecnica legislativa, richiedono tempi e metodi congrui per la sperimentazione. Le inquietudini e le difficoltà applicative non sono buoni sintomi.
Antonio Matonti e Rocco Cifarelli (rispettivamente direttore e dirigente presso l’ufficio Affari Legislativi di Confindustria) sono intervenuti sull’annoso tema della complicazione burocratica, sottolineando aspetti interni alla PA e nessi con la dimensione organizzativa. Interessanti le riflessioni sul potere di autotutela della PA. E’ utile ragionare sia sulla discrezionalità amministrativa che sull’esercizio dell’autotutela. Interviene sul punto, utilmente, anche la “riforma Madia”. Importante il contributo di Alessandro Falcolini, nel tempo direttore delle risorse umane in più realtà aziendali, perché il tema della leadership etica deve aprirsi al confronto tra managerialità pubblica e privata, tra elementi distintivi e convergenti, a fondamento della leadership etica.
E’ un aspetto chiave per imprese eticamente e socialmente responsabili.
Senza sottrarsi alla sfida sulle aree più resistenti al cambiamento, più difficilmente riformabili e per le quali non sono più giustificabili rinvii. Il nodo delle partecipate si impone alla riflessione: la difficile riformabilità non è di oggi e neppure causale, per gli intrecci che rivela con la politica, con il modello di sviluppo, con il ruolo della PA. Manuela Arrigucci ci introduce a un primo esame del recente decreto legislativo, del quale andrà seguita l’attuazione.
Il paese desidera “normalità”, e relazioni equilibrate nell’esercizio dei pubblici poteri. Oriano Giovanelli mette in guardia da semplificazioni che attribuiscono alla PA le conseguenze della carenze delle politiche pubbliche industriali. Tanti i fattori che pesano e concorrono a tali politiche. Dunque “parlare di PA e imprese in primo luogo significa liberarsi dall’idea che qualcuno virtuoso possa stare sul banco degli accusatori e qualcun altro negligente su quello degli accusati”. Ha sviluppato, così, un utile analisi sulle molteplici sfaccettature del rapporto tra PA e imprese, per concludere “basterebbe un poco di normalità”. A dire il vero, non è indicazione banale e di scarso impatto.
Normalità e semplificazione, dunque. Ma, ci ricorda Sacconi, “la semplificazione non è un pranzo di gala”, a meno che non si intenda la semplificazione solo come adempimento di specifiche Commissioni e Comitati, decretandone così lo scarso impatto. La semplificazione esige confronto, evoca decisioni, imprime direzionalità all’agire della PA e nell’utilizzo delle risorse. La semplificazione, evitando sovrapposizioni e duplicazioni, implica soluzioni specifiche che possono scaturire solo dalla conoscenza, dalla padronanza “dei contenuti”.
L’analisi di genere, anche per il mondo delle imprese e per l’associazionismo datoriale, è fondamentale. Marina Di Muzio, grazie alla significativa esperienza professionale e associativa, richiama le esigenze delle imprenditrici, e lo fa per un settore importante - in cui si intrecciano innovazione e tradizione – come l’agricoltura. Marina Di Muzio muove delle considerazioni che le pubbliche istituzioni” hanno dimostrato scarso interesse nei confronti dell’universo femminile agricolo”.
Francesco Rampi ci introduce al tema della partecipazione delle parti sociali alle scelte degli enti previdenziali e assicurativi. Cogliamo nella proposta di Francesco Rampi aspetti innovativi e meritevoli di approfondimento e di scelte, la necessità di ridefinire perimetri e ambiti di responsabilità tra enti e amministrazioni. La proposta di Rampi non si limita ai temi della governance. E neppure alla ricerca di un “modello astratto”, che rischia di non aderire alle specifiche peculiarità delle amministrazioni e degli enti. Anche INPS e INAIL presentano oggi storie, sviluppi, problematiche non automaticamente assimilabili. Il nodo non è rinviabile. Le pubbliche amministrazioni richiedono scelte e riforme, ma partendo dalla consapevolezza delle articolazioni, delle specificità delle tematiche, degli ambiti territoriali, dei soggetti implicati.
Sono convinta dell’importanza dei nessi tra dinamiche generali e specificità delle pubbliche amministrazioni nel nostro Paese. E che la storia delle amministrazioni pubbliche debba essere ancora scritta, cogliendo gli intrecci forti e sempre specifici con le politiche pubbliche di settore, con le dislocazioni delle mappe del potere, con le diversificazioni territoriali. Giovanni Principe sviluppa importanti considerazioni sul welfare, e propone una interessante lettura, in cui intreccia le leggi e gli assetti nella PA con le politiche sociali e del lavoro. Lo fa da attento conoscitore delle une e delle altre.
Giovanni Principe propone una lettura attenta e disincantata, condivisibile, del rapporto tra politica e pubblica amministrazione. Invita a riflessioni non scontate e specifiche: per la P.A. credo non sia utile la formazione astratta dei “tuttologi” e neppure quella empirica dei “praticoni”. Penso che la storia delle amministrazioni pubbliche italiane sia da scrivere, e il futuro da condividere, utilizzando conoscenze specifiche non solo nelle discipline di riferimento, ma anche negli ambiti tematici. E’ una storia collettiva, in cui sono coinvolti molti attori, del mondo del pubblico e del privato, e in primo luogo la dirigenza privata e pubblica. Riguardo a quest’ultima, sono convinta della utilità del ruolo unico. Ma sono altrettanto convinta che per assolvere al meglio agli incarichi affidati non siano sufficienti competenze generali e astratte, non contaminate dalle conoscenze delle articolate politiche pubbliche, dalle esperienze diversificate delle differenti amministrazioni, dalle specificità territoriali. Non vi è contraddizione nel riconoscere l’irrinunciabilità del ruolo unico e nel ritenere ugualmente indispensabili competenze e conoscenze specifiche. Queste ultime, infatti, non corrispondono affatto alle segmentazioni artificiose dei ruoli separati delle singole amministrazioni e alle confuse attribuzioni di responsabilità tra i livelli di governo. L’immobilismo all’interno di ciascun ruolo può contribuire a stratificare consuetudini
e assuefazioni ad ambienti, piuttosto che agevolare l’elaborazione e l’approfondimento di conoscenze tecniche, specifiche e indispensabili, funzionali all’articolazione delle politiche pubbliche e ai livelli di allocazione effettiva delle responsabilità.
Nel prossimo numero, con Guido Melis, proporremo il ragionamento sulle politiche dei beni culturali. Si impone, anche all’indomani dei terribili terremoti degli ultimi mesi, il tema del governo del territorio. Nella nostra rivista è già intervenuto sul tema Alberto Clementi, che ora ci restituisce uno sguardo sconfortato sulla “inattualità dell’urbanistica”, perché “si preferisce optare per segmentazioni e settorializzazioni nelle domande”. Eppure, ci ricorda Alberto Clementi, c’è da rispondere e contrastare “i processi di modernizzazione dei corpi sociali e di frantumazione individualistica”. Si impone una nuova “questione urbana nel nostro paese”:
Le speranze, non sono “nel patetico ritorno indietro” e nella decrescita, ma in “un’urbanistica delle convergenze” che sia “multilivello e multisettoriale”.
Marcella Mallen ci informa sulla sfida dei manager privati per la leadership civica delle città di domani, sul ruolo dei manager nel generare sviluppo di qualità, sollecitando le energie necessarie. Nell’affrontare i nodi della qualità dello sviluppo la lettura di genere è decisiva. La prospettiva di genere amplia lo sguardo, fa comprendere il mondo, veicola concretezza e differenze, fa uscire dai confini teorici e pratici sino a ora conosciuti della governance, della democrazia e della cittadinanza.
Antonella Anselmo muove le proprie riflessioni, secondo un’ottica di genere, tra diritto, economia e sviluppo sostenibile. L’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile prevede che entro il 2030 si ponga fine a ogni forma di discriminazione di genere. Credo che abbiamo accumulato troppi ritardi, dalla stagione dei vertici delle NU degli anni ’90 ad oggi. Ma non vi è altra via per il superamento dei confini nazionali, rispetto a quella analizzata nella conferenza di Pechino sulle donne, ma anche con i vertici dello sviluppo sociale e sui diritti umani, nel confronto internazionale sulle relazioni tra commercio, sviluppo e diritti. L’accelerazione nuova nell’agenda contro la discriminazione di genere potrebbe riavviare l’intero processo. Valorizzare le specificità e le differenze, soprattutto di genere, è nella responsabilità dei decisori. Le problematiche poste dalle donne, come soggetto politico, investono direttamente la governance in tutte le articolazioni e a tutti i livelli.
L’analisi sul linguaggio di Stefania Cavagnoli ci interessa particolarmente perché si inserisce direttamente nell’analisi dell’articolazione dei poteri pubblici e conferma che la declinazione per genere del linguaggio individua coerentemente anche una responsabilità pubblica per la grammatica della parità. Stefania Cavagnoli indugia nel rapporto tra il pensiero del potere e la lingua. “Non a caso, nessuno designa al maschile le donne infermiere o maestre o operaie”. Le reazioni suscitate dalla discussione sulla lingua e il genere, i nervosismi constatabili quando si contesta la presunta comicità della giusta richiesta di declinare le cariche al femminile, inducono alla riflessione. Il tema è costantemente dichiarato residuale, ma trattato e vissuto sempre come un nervo scoperto, e non è un caso.
Semplice la ricetta: abituare all’uso del femminile ogni qualvolta si faccia riferimento a cariche e incarichi di responsabilità Se ne comprenderà l’importanza e la funzionalità all’innovazione, e si cureranno, e con beneficio per tutti, i nervi scoperti.
E’ un aspetto decisivo della parità nelle istituzioni, nei luoghi di potere, nel percorso per la democrazia paritaria. Di parità e di democrazia paritaria dobbiamo ragionare anche con riferimento alla PA, per l’intreccio tra la riformabilità della politica e della PA. Nel testo “Madia” vi sono importanti disposizioni anche in sintonia con le proposte dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria. Quest’ultima non è un’ennesima sigla, ma un raccordo operativo e unitario tra oltre 60 associazioni femminili e femministe – da quelle storiche come l’UDI e il CIF a quelle rilevanti nella storia recente del Paese, come SNOQ – che ha operato dal 2000 a oggi e che ha ottenuto significativi risultati, anche grazie all’approccio trasversale e all’impegno delle parlamentari che, a prescindere dallo schieramento e dalla forza politica di appartenenza, ne hanno sostenuto le proposte.
Abbiamo voluto proporre la presentazione che Marisa Rodano ha svolto il 20 settembre u.s. in occasione del convegno “SE NON E’ PARITARIA NON E’ DEMOCRAZIA - NON VI E’ PARITA’ SENZA DEMOCRAZIA - Accordo di azione comune per la democrazia paritaria. Bilanci e prospettive”, evento insignito della Medaglia Premio del Presidente della Repubblica. Il tema della democrazia paritaria si impone come lo snodo a garanzia di tutte le differenze, per l’emanazione dei principi di buon andamento e della imparzialità nelle PA, che si sostanziano nella capacità di assumere e gestire diversità, senza precipitarle in discriminazioni. Nelle PA, dunque, la differenza di genere può essere agita come leva di cambiamento e valorizzazione ad ampio spettro delle differenze: anche nelle PA la democrazia paritaria è obiettivo non di parte ma generale.
Abbiamo qui proposto il contributo all’elaborazione di Francesca Izzo, che ha recensito il bel libro di Anna Loretoni. Francesca Izzo è tra le più acute e autorevoli interpreti della contemporaneità, autrice di contributi decisivi, sui quali ci siamo già fermati a riflettere, centrali nella elaborazione sull’evoluzione della democrazia. Francesca Izzo ha sviluppato il fecondo nesso tra liberalismo e femminismo, analizzato da Anna Loretoni, “Il punto di vista delle donne funziona come un potente solvente rispetto a codici, norme, visioni assunti come naturali, li fluidifica consentendo di vedere fenomeni altrimenti nascosti”. “Il concetto di genere rende possibile, slargando lo sguardo teorico, politiche di inclusione verso tutti coloro che vivono ai margini”. Le conclusioni teoriche di Francesca Izzo aprono a sviluppi decisivi per la democrazia.
L’universo femminile evoca responsabilità e libertà al tempo stesso. Non vi è contraddizione. L’intreccio tra responsabilità e libertà è uno dei temi di fondo nell’etica contemporanea: ne scrive Antonella Crescenzi, che già ci aveva proposto l’elaborazione di Francesca Izzo, e che ora recensisce Marina Terragni.
Marina Terragni e Antonella Crescenzi confermano l’importanza per le donne di codici valoriali e del rifiuto del mercantilismo, “per una giusta collocazione politica e simbolica alla resistenza all’utero in affitto, esaltando il gesto anarchico femminile di ribellione alle leggi di mercato come atto di liberazione non solo delle donne ma di tutti”.
Non ci sottraiamo agli interrogativi inediti della nostra complicata contemporaneità, agli enigmi e alle sfide. Non contribuiamo a distribuire facili certezze, confutate nell’istante successivo.
Abbiamo necessità di gestire consapevolmente la fisiologica inquietudine del vivere contemporaneo consolidando strumenti di verifica delle soluzioni, di confronti senza complessi, chiusure e provincialismi. Il tema riguarda l’Occidente intero, chiamato a decidere di se stesso. Prendere a prestito pezzi di altri sistemi, strumentalmente o in buona fede che sia, non aiuta molto.
Un esempio? Giuseppe Beato sviluppa un’attenta analisi del sistema vigente negli USA, sulla dirigenza pubblica che ci piace proporre come punto centrale di un ragionamento sul rapporto tra amministrazione e politica, che invita finalmente a coglierne la complessità, a evitare strumentalizzazioni, luoghi comuni, provincialismo. Quante erronee convinzioni sugli altri sistemi, su quello USA in particolare?
Politica, imprenditoria privata, dirigenza pubblica e privata: siamo tutti chiamati a un’assunzione collettiva di responsabilità, riconoscendo ruoli e funzioni e rispettandoli.
Dobbiamo, tutti insieme, promuovere il benessere, prenderci “cura” del nostro paese, contrastare l’illegalità. Proseguiamo anche a occuparci del contrasto alla corruzione, con Carla Collicelli che ci presenta il progetto per contrastare la corruzione della sanità. Anche qui convince l’intreccio tra salde conoscenze complessive e linee di intervento aderenti alle specificità settoriali. Più sono alti e complessi gli interrogativi, più abbiamo bisogno di risposte chiare e di regole semplici.
Anche Maurizio Sacconi conclude sull’importanza di regole semplici, che mettano a nudo le responsabilità dei preposti al procedimento. Ecco: il nodo delle responsabilità reciproche torna a imporsi. Tanto più nella società dell’inquietudine, liquida e disincantata. “Viviamo negli anni della globalizzazione virtuale che ha portato a una crisi definitiva dello spazio……Non c’è più un centro perché ogni punto è virtualmente il centro. …… all’insicurezza dovremo abituarci………è la sfida per il futuro che potremo accogliere se dall’esterno, sapremo procedere insieme, non come rigide monosfere, ma come parti di schiume che sanno coesistere” (Peter Sloterdijk). Come cambia la leadership etica a fronte della
complessità e nell’epoca dell’insicurezza? Sempre Peter Sloterdijk ci ricorda “ la leadership deve essere utile e responsabile” solo così l’occidente potrà salvarsi, “con moralità e disciplina”.
“L’autodistruzione non è un dovere morale”. Siamo consapevoli dei rischi, della fase difficile.
Il pericolo di involuzioni antidemocratiche e qualunquistiche, di degenerazioni populistiche, è alto e affiora con l’antipolitica. Ma per contrastarlo effettivamente, occorrerebbe porre fine all’assalto alla PA.
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