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NOTE SULLA STRATEGIA NAZIONALE PER LA PARITÀ DI GENERE - di Mariagrazia Rossilli

NOTE SULLA STRATEGIA NAZIONALE PER LA PARITÀ DI GENERE - di Mariagrazia Rossilli

Un'analisi del documento che "costituisce una delle linee di impegno del governo nell'ambito del PNRR"

Lunedi, 14/02/2022 -

Nello scorso agosto il governo italiano, dando seguito alle indicazioni della “Strategia europea per la parità di genere 2020-2025”, ha approvato la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che costituisce una delle linee di impegno del governo all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Family Act. Mentre altri paesi come Francia, Spagna, Portogallo si sono dotati da tempo di un piano di questo tipo, per l’Italia si tratta di una prima volta che potrebbe segnare un passo in avanti nelle politiche paritarie. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di “individuare buone pratiche per combattere gli stereotipi di genere, colmare il divario di genere nel mercato del lavoro, raggiungere la parità nella partecipazione ai diversi settori economici, affrontare il problema del divario retributivo e pensionistico e colmare il divario e conseguire l'equilibrio di genere nel processo decisionale”. Anche se il percorso per la sua implementazione è tutt’altro che definito, la Strategia potrebbe rappresentare un passaggio importante nel nostro paese, in quanto assunzione da parte del governo di un impegno preciso multidimensionale e verificabile attraverso le priorità, gli obiettivi e gli strumenti indicati non solo per promuovere le opportunità delle donne, ma anche per indurre, in questo modo, la modernizzazione della società nel suo insieme.

Un aspetto di novità positiva è la configurazione finalmente trasversale a tutte le aree socio-culturali-politiche, non semplicemente aggiuntiva, trattandosi della metà femminile della popolazione e non di un gruppo.

Si prevede perciò di realizzare misure che richiedano di essere mainstreamed e dunque adeguata predisposizione di strumenti e expertise.

Si prevede di effettuare la valutazione di impatto di genere ex ante come metodo di analisi di ogni iniziativa legislativa e politica in qualsiasi area e la valutazione ex post e di dare quindi nuovo impulso alle esperienze di bilancio di genere a livello nazionale come nelle istituzioni locali.

In questa direzione si prevede innanzi tutto di migliorare e adeguare le statistiche e di stipulare un”patto culturale” tra istituzioni e società civile per garantire pari opportunità e lotta alle disuguaglianze e agli stereotipi di genere, promuovendo anche linguaggio, modelli e comportamenti non sessisti da parte degli uomini.  

In contrasto con l’impegno di collaborazione tra istituzioni e società civile, non è però prevista la partecipazione delle organizzazioni e associazioni delle donne. Sono invece proprio le organizzazione delle donne, che a lungo si sono battute per la parità, a rappresentare gli attori essenziali per la implementazione e il raggiungimento degli obiettivi, in collaborazione sinergica con i molti attori istituzionali (amministrazioni centrali, regioni comuni rete delle consigliere di parità, INPS, Istat, Cnr, Banca d’Italia, MEF Rete di comitati unici di garanzia-CUG .. et al) che sono elencati al fine di un adeguato sistema di governance della Strategia.

Il punto di partenza del programma è la situazione attuale dell’Italia come rilevata dal Gender equality index annuale dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), il quale ci assegna un punteggio al di sotto della media europea e ben lontano dai primi tre paesi della classifica – Svezia, Danimarca e Francia. Obbiettivo della strategia è di risalire la classifica, partendo dall’attuale 14simo posto, per arrivare in dieci anni a collocare l’Italia tra i primi dieci paesi europei secondo una scansione che, nell’orizzonte temporale dei primi 5 anni, definisce dei target più o meno ambiziosi nelle diverse aree.  

Basandosi sull’impostazione dell’Eige, la Strategia si concentra, dunque, sulle priorità di lavoro, tempo, reddito, competenze, potere, aree su cui l’Eige principalmente fonda e misura il punteggio rispetto a uguaglianza/disuguaglianza di genere.

Vediamo dunque come vengono declinate le priorità.    

LAVORO
L’obiettivo principale della strategia è di aumentare di 4 punti percentuali l’occupazione femminile entro il 2026. Considerando i nostri bassi tassi di occupazione ulteriormente crollati durante la pandemia, l’obiettivo non rappresenta certo un’inversione di rotta. Per il raggiungimento di questo obiettivo nel PNRR è stata inserita una clausola di condizionalità che stabilisce una quota del 30% di occupazione femminile e giovanile da applicarsi al complesso dell’occupazione aggiuntiva prodotta dai progetti del PNRR stesso. Oltre a questo tipo di azioni positive si prevedono soprattutto incentivi per le imprese ad assumere lavoratrici, con sgravi fiscali e decontribuzioni, in particolare per le aziende che assumono lavoratrici nel Sud. Si parla di taglio del cuneo fiscale per datori di lavoro che convertono contratti a tempo determinato relativi a sostituzioni per maternità in contratti a tempo indeterminato e di analoghi tagli sul costo della dipendente che venga promossa con aumento salariale entro primi mesi di rientro dal congedo di maternità. Sul versante delle lavoratrici la focalizzazione è sugli stimoli al rientro al lavoro alla fine del congedo di maternità cercando di invertire il trend di abbandoni. A questo scopo si prevede pure la possibilità di introdurre una misura sperimentale consistente nell’esonero per un anno del 50% dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri dipendenti del settore privato che rientrino al lavoro dopo il congedo di maternità.

Ai fini della conciliazione di lavoro e famiglia di cui si tratterà più avanti, la strategia prevede l’introduzione di una flessibilità aggiuntiva per genitori con figli al di sotto dei 14 anni, ossia di un numero di giorni addizionali di smart working da organizzarsi in accordo con i datori di lavoro (misura che si dice potrebbe venire estesa anche a caregiver).

Mentre oltre il 35% dei nuovi contratti attivati nel primo semestre del 2021 è a tempo parziale e quasi la metà delle nuove assunzioni di donne è a tempo parziale (contro il 26,6% degli uomini) e con contratti a termine o discontinui (Inapp, Gender Policies Report 2021), carenti o assenti sono le misure specificamente mirate alla riduzione del part time involontario e a ridurre la pervasività delle molte tipologie di lavori precari in crescita durante la pandemia.      

REDDITO
Le disposizioni della Strategia rispetto alla riduzione del gender gap salariale e alla definizione di linee guida per l’incremento di sistemi di misurazione e indicatori aziendali di equal pay e per la conseguente attuazione di gender policies hanno trovato una prima attuazione nell’approvazione il 3 Novembre 2021 della Legge L. 162 “Modifiche al codice di cui decreto legislativo 11 aprile 2006 n,198 e altre disposizioni in materia di pari opportunità uomo donna in ambito lavorativo”. Questa legge anticipa l’impegno previsto fin dal 2017 nel Social Pillar europeo di rendere più efficace la legislazione rispetto alla effettiva attuazione del diritto alla parità retributiva tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, sancito addirittura nel trattato di Roma del 1957 e nella direttiva 2006/54/CE. Nonostante i lunghi dibattiti nelle istituzioni europee, non è però stata ancora approvata la proposta della Commissione Europea di una nuova direttiva volta a rafforzare l'applicazione di questo diritto mediante una maggiore trasparenza delle retribuzioni e una maggiore facilità di accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione (COM(2021) 93 final 2021/0050 del 4.3.2021 ). La legge 162 estende la definizione di discriminazione indiretta includendo “ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità….. pone o può porre il lavoratore … in posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori,limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita e scelte aziendali, limitazione nell’accesso ai meccanismi di avanzamento e progressione di carriera”. Concentrandosi sul miglioramento della trasparenza retributiva, la legge modifica l’articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D. Lgs. 198/2006) e abbassa da più di 100 a 50 dipendenti la soglia dimensionale delle aziende tenute a presentare ogni due anni un rapporto sulla situazione del personale. Il rapporto è tenuto ad includere dati su selezione e reclutamento, procedure usate per l’accesso alla qualificazione professionale e alla formazione, criteri adottati per la progressione di carriera, strumenti e misure adottate per la conciliazione, politiche aziendali a garanzia di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso. Ai fini della tutela giudiziaria il rapporto dovrà essere accessibile ai dipendenti e alle rappresentanze sindacali. Si prevede anche la pubblicazione in un’apposita sezione del sito del Ministero del lavoro dell’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e delle aziende che non lo hanno fatto, esponendo le imprese inadempienti a una sorta di pubblicità negativa. Le sanzioni in caso di mancata o mendace dichiarazione rimangono tuttavia blande: in caso di inottemperanza protratta per oltre un anno è disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi goduti dall’azienda; nel caso di rapporto mendace o incompleto si applica una sanzione amministrativa da €1000 a € 5000. A utile complemento dell’obbligo del rapporto biennale si aggiunge l’istituzione della certificazione della parità di genere che dovrà includere una serie ampia di indicatori e attestare le misure adottate da parte delle imprese per ridurre il gender gap nella retribuzione, nelle opportunità di progressione di carriera e nella conciliazione, anche mediante strumenti quali le discriminazioni positive. Le imprese pubbliche e private meritevoli che otterranno la certificazione potranno, infatti, godere di uno sgravio contributivo determinato nella misura del 1% fino a € 50.000 annui per ogni azienda (nel limite di spesa per 2022 di 50 milioni). Alle aziende in possesso della certificazione verrà riconosciuto anche un punteggio premiale nell’assegnazione di fondi pubblici rappresentante una condizionalità per la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche. Questa certificazione costituisce un incentivo per politiche aziendali virtuose e uno strumento potenzialmente produttivo delle necessarie innovazioni nell’organizzazione del lavoro, in specie nella pubblica amministrazione.

Ai fini dell’incremento dei redditi delle donne, la Strategia  sottolinea pure l’importanza dell’istituzione, con la legge del 1 aprile 2021 (l. n.46), dell’assegno unico e universale per i figli dal settimo mese di gravidanza fino a 18 anni e, se il figlio è a carico fino a 21 anni, assegno che costituisce, oltre che uno strumento per invertire la rotta della denatalità, una misura mirata alla semplificazione e razionalizzazione delle frammentarie e caotiche disposizioni già in essere (viene finanziato mediante l’abolizione di bonus e detrazioni esistenti), sicché per molte famiglie (si calcola attorno a 613.000) rappresenterà una riduzione rispetto agli assegni e delle detrazioni di cui si beneficiava precedentemente. L’assegno migliora sicuramente il reddito delle famiglie meno abbienti, incapienti e/o in disoccupazione, ma è comunque una componente del reddito familiare che non può essere confusa con quello individuale della lavoratrice.
Si prevede, infine, come stabilito nel PNRR, il potenziamento del Fondo per l’imprenditoria femminile e degli incentivi particolarmente per le aziende femminili innovative. Come ulteriore sostegno per le imprenditrici, specie nel caso di imprese di piccole dimensioni, si prevede pure di provvedere a forme di temporary management per accompagnarle nell’acquisizione delle necessarie competenze. Oltre al rafforzamento delle
tutele durante la gravidanza e delle garanzie relative al congedo di maternità per le partite IVA ( imprenditrici, borsiste, ecc ), si prevede l’istituzione, all’interno del Fondo di Garanzia per PMI, di uno stanziamento addizionale destinato a misure di accesso al credito agevolato specifiche per le imprese femminili, in particolare nel settore agricolo, nonché la creazione di prodotti di credito e microcredito per madri single, divorziate, donne a basso reddito, vittime violenza.

COMPETENZE

Come accade in tutto il mondo del lavoro anche nelle Università quando c’è da fare carriera  le donne restano indietro, benché le laureate siano di più degli uomini (57%) e siano presenti pressoché alla pari fra i dottori di ricerca e gli assegnisti. Tra i ricercatori è infatti maggioritaria la componente maschile e la forbice si allarga sempre più man mano che si sale fra i professori associati (61% uomini) e gli ordinari (75% uomini). Per cercare di ridurre queste eclatanti disuguaglianze la Strategia nazionale prevede un comprensivo insieme di provvedimenti a livello scolastico e universitario, nell’ambito delle acquisizioni di competenze così come delle misure antidiscriminatorie. Prevede l’attuazione di misure che abbracciano la revisione dei libri di testo su cui tanti sforzi sono stati da tempo profusi da organizzazioni professionali e femministe, l’introduzione di gender mainstreaming nella didattica e la conseguente adeguata formazione degli insegnanti, particolarmente rispetto alla critica agli stereotipi di genere che influenzano la segregazione formativa e professionale delle studentesse, svantaggiandole  in specie nell’ambito delle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Nel 2019, infatti, mentre nelle materie letterarie il 79% è rappresentato da laureate, nelle lauree Stem gli uomini rappresentano il 61%, con il massimo divario nelle regioni meridionali. Da qui la molta attenzione che, come già in vari programmi dell’UE, il piano riserva al potenziamento della presenza di studentesse nell’ambito delle discipline STEM, con la promozione di un corretto orientamento scolastico ed eventualmente di un ventaglio di possibili azioni positive, quali l’istituzione di specifiche borse di studio, la predisposizione di una riserva di posti per studentesse e/o l’abbassamento delle tasse per la loro iscrizione nelle facoltà scientifiche da realizzarsi con parte dei fondi dedicati alle donne nel PNRR.

Si prevede anche la possibilità di istituire quote per la presenza di genere nei comitati di valutazione del personale docente universitario e l’adozione di criteri gender neutral di valutazione delle performance accademiche, nonché la predisposizione di meccanismi sanzionatori nella allocazione dei fondi per le università e la ricerca sulla base della valutazione dei gender gap nel corpo docente.

Infine, per promuovere l’alfabetizzazione digitale, oltre al potenziamento dei corsi di informatica nella scuola dell’obbligo, si prevedono incentivi per le aziende private e l’organizzazione da parte di enti pubblici di corsi di alfabetizzazione post scolastica dedicati a target femminili.

TEMPO
Al fine di ridurre il divario di tempo che donne e uomini dedicano alla cura di figli e persone dipendenti e della condivisione dei compiti la Strategia prevede che, in ottemperanza della direttiva UE 2019/1158, il congedo di paternità obbligatorio di dieci giorni diventi strutturale a partire dal 2022 (legge di bilancio 2022). Il congedo è fruibile, in concomitanza con il congedo di maternità, entro i 5 mesi del bimbo, con retribuzione piena e contributi pensionistici figurativi. Dal momento che con tutta evidenza questo congedo troppo breve è assolutamente insufficiente ad impattare positivamente sullo sviluppo del bambino e sul divario di genere nel costo del lavoro, si riafferma la possibilità, prevista nel Family Act, di estenderne gradualmente la durata a tre mesi, magari a fronte del rientro al lavoro della madre e/o anche mediante specifici incentivi alle imprese. Tuttavia la strada per questo prolungamento sembra ancora lunga. Per quanto riguarda i congedi parentali facoltativi non ci sono novità rilevanti rispetto a quanto stabilito nel Testo Unico di tutela e sostegno della maternità e paternità (D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e successive estensioni ad autonomi e libero professionisti). Mentre è utile la possibilità di ulteriore frazionamento nelle ultime settimane di congedo, permane però l’esiguità dell’indennità (il 30% per un massimo complessivo per madre e/o padre di 6 mesi entro i primi 6 anni del bimbo) che costituisce un decisivo deterrente al loro utilizzo, in particolare da parte del percettore del maggior reddito in famiglia che è per lo più l’uomo.

Rispetto ai servizi per la prima infanzia la previsione introdotta dal PNRR è l’investimento di 4,6 miliardi per la loro costruzione o ristrutturazione e ammodernamento con l’obiettivo di creare 264.480 posti nuovi ( due terzi del totale nei nidi e il resto nelle scuole materne) entro il 2025. Dunque i posti aggiuntivi nei nidi dovrebbero essere 176.320 che porterebbero l'offerta complessiva a una copertura nazionale del 39,7 per cento nel 2026 che, pur superando finalmente l'obiettivo del 33 per cento stabilito dal Consiglio Europeo nel 2002, rimarrebbe comunque insufficiente.

Il piano prevede inoltre incentivi, sotto forma di defiscalizzazione e/o anche come contributi a fondo perduto per grandi aziende che provvedano a fornire asili nido e servizi di welfare aziendali.

Rispetto alla effettiva implementazione di questo piano le perplessità riguardano innanzi tutto il fatto che l’ammodernamento e la costruzione di nuovi posti non producano scatole vuote, ossia la necessità che siano accompagnati da commisurati stanziamenti aggiuntivi nella spesa corrente per la gestione e l’assunzione di personale qualificato, tanto più che non è ancora chiaro come verranno ripartiti i 900 milioni annunciati per sostenerne la gestione. In questo senso sarà di cruciale importanza che i fondi stanziati servano a ridurre l’abissale divario tra nord e sud rispetto alla disponibilità in particolare di asili nido. Sarà parimenti cruciale come i fondi verranno ripartiti tra settore pubblico e sovvenzioni a privati e se si predisporrà l’eventuale gratuità e/o il contenimento delle rette.

La strategia prevede, inoltre, la possibilità che vengano armonizzati i regimi di defiscalizzazione e detraibilità di spese per baby sitter badanti ecc, la promozione di assistenza e cura per gli anziani degenti e la detassazione dei relativi beni necessari (riduzione dell’ Iva al 4% per pannolini pannoloni ecc), nonché la possibile conversione delle indennità per i soggetti fragili in ore di servizi garantiti. 

POTERE
Rispetto alla promozione delle donne ai livelli dirigenziali e di decision making la strategia propone di migliorare la legislazione esistente e la sua attuazione rispetto ai requisiti di parità e alle  preferenze di genere nelle liste elettorali a livello regionale e comunale. Propone anche di stabilire l’obbligo di pubblicazione di shortlist di candidati per i livelli dirigenziali nelle aziende quotate e conferma l’innalzamento al 40% (legge di Bilancio 2020) della quota prevista fin dal 2011 (Legge 120/2011 Golfo-Mosca) a favore del genere sottorappresentato nei Consigli di Amministrazione delle società quotate   estendendola pure ai membri esecutivi. È certamente una novità positiva l’approvazione per la prima volta di una strategia nazionale per la parità complessiva e trasversale nelle diverse politiche. Tuttavia, un rilievo fortemente critico - come già detto - è l’assenza di qualsiasi riferimento alla partecipazione attiva delle realtà associative delle donne essenziale all’ideazione e all’attuazione delle politiche stesse, nonché allo stesso processo democratico che anche in questo ambito viene sacrificato in nome di tendenze tecnocratiche. C’è poi da rilevare che gli obiettivi da raggiungere sono formulati per lo più in termini di riduzione dei gender gap, ragione per cui non si può escludere che tale riduzione possa avvenire anche in seguito al peggioramento delle condizioni degli uomini, nonostante la formale assicurazione contraria fornita nella Strategia.

L’aspetto più problematico riguarda obiettivi e strumenti relativi alla crescita dell’occupazione femminile, insufficienti in quantità e qualità. Non si prendono in considerazione gli effetti della pandemia che hanno fatto ulteriormente crollare il tasso d’occupazione al 49,3% (Istat, settembre 2021), ossia a ben 18,2 punti percentuali al di sotto dell’occupazione maschile. Né si prende in considerazione il fatto che la maggioranza degli investimenti previsti nel PNRR è nei trasporti, nella transizione/produzione energetica, nelle costruzioni, ossia in tutti settori a scarsa presenza femminile, rispetto a cui poco può la prevista quota del 30% a favore delle assunzione di donne e giovani. Senza contare poi che per la stragrande maggioranza i nuovi contratti delle lavoratrici sono a tempo determinato e che questi hanno continuato a crescere nel 2021 (INAPP, Gender Report 2021), rendendo lontano e aleatorio l’obiettivo della trasformazione in contratti a tempo indeterminato a cui sarebbero dedicati molti degli incentivi per le imprese proposti nella Strategia. 

Le misure incentivanti per le imprese a favore dell’occupazione femminile, come le varie forme di decontribuzione/fiscalizzazione, hanno da tempo dimostrato la loro scarsa efficacia nell’indurre le necessarie modifiche strutturali, oltre ad essersi rivelate strumenti troppo spesso utilizzati per assunzioni delle donne nelle peggiori condizioni lavorative e retributive. Confidare prioritariamente nel funzionamento di incentivi per le imprese non è un approccio che possa funzionare in modo duraturo, sul lungo termine a livello strutturale di sistema. Più che incentivi frammentari a singole imprese, sono necessarie, specie al sud dove l’occupazione femminile è del 32,5%, politiche per l’aumento della complessiva domanda di lavori di qualità, non precari e con retribuzioni dignitose e, dunque, investimenti pubblici nella sanità, nell’istruzione e ricerca, nei servizi sociali e di welfare, con un’inversione di rotta rispetto alla tendenza alla privatizzazione di questi servizi che ancora si prevede nell’assegnazione di fondi e sovvenzioni nel PNRR.                                                                            

Per quanto attiene alla parità salariale la legge 162 /2021 certamente fornisce strumenti ulteriori per migliorare la trasparenza nelle retribuzioni e l’individuazione di situazioni di discriminazione diretta e indiretta, nonché incentivi per migliorare in generale le politiche aziendali in materia di parità di genere. Tuttavia è ben noto che la trasparenza retributiva, e di tutti i meccanismi connessi (criteri di selezione nelle assunzioni e nelle progressioni di carriera, ecc) non può essere sufficiente a raggiungere la parità retributiva, tanto più mediante una misura rivolta solo alle imprese con oltre 50 dipendenti, in un tessuto di piccolissime imprese come quello italiano in cui ancora nel 2021 la maggioranza delle assunzioni è avvenuta in aziende con meno di 15 dipendenti (INAPP, Gender Policies Report 2021). Come già dimostrato nell’esperienza di implementazione del decreto legislativo del 2006 è dubbio che il semplice rapporto biennale, accompagnato da sanzioni blande e da pubblicità negativa per le aziende, possa essere strumento veramente efficace per la effettiva rimozione di discriminazioni, specie se individuali. Maggiore attenzione di quanto se ne dia nella legge andrebbe dedicata alla predisposizione nelle politiche aziendali di piani di azioni positive che inducano modifiche negli aspetti dell’organizzazione del lavoro impattanti in modo discriminatorio, piani che nell’esperienza di molti paesi europei risultano particolarmente efficaci. È inoltre evidente che una legge rivolta alle politiche aziendali non è in grado di incidere sulle discriminazioni che si manifestano attraverso l’operare del mercato del lavoro. È questo il caso del lavoro part time che coinvolge molto più le donne ed è in grande crescita nella sua dimensione involontaria (nel 2020 risulta che il 61,2% delle lavoratrici part time sarebbe alla ricerca di un full-time, contro una media UE del 21,6%). È nel part time e nei lavori non standard che si origina tanta parte delle disparità retributive, nella progressione di carriera e nelle pensioni, disuguaglianze completamente sottovalutate nella Strategia che non prospetta nessun intervento specifico. Nella Strategia non si tratta in specifico nemmeno di interventi per combattere le discriminazioni annidate negli impieghi nella gig-economy rispetto a cui la Commissione Europea sta proponendo una direttiva che ne regolamenti diritti e tutele. Per quanto riguarda lo smart-working come strumento per la conciliazione di responsabilità familiare e lavoro, sarebbe necessario un quadro regolativo  molto più stringente e adeguato che vada oltre il riconoscimento del diritto alla sconnessione dalla rete, se si vuole evitare il rischio che diventi per le donne una forma di segregazione occupazionale simile al vecchio lavoro a domicilio, con conseguente appesantimento di tempi e carichi lavorativi e sovrapposizione di lavoro retribuito e non. Inoltre, nelle politiche di conciliazione la positiva introduzione dell’obbligo del congedo di paternità, oltre che l’estrema brevità dello stesso, sconta l’estrema difficoltà di renderne effettiva l’obbligatorietà per i molti lavoratori precari sottoposti a ogni tipo di pressioni e ricatti datoriali. A ciò si aggiunge l’irrisoria remunerazione dei congedi parentali che richiederebbe di essere parecchio aumentata, se realmente si intende incentivarne l’uso da parte dei padri. Le debolezze della normativa sui congedi di paternità e parentali evidenziano quanto aleatoria rimanga la possibilità di condivisione del lavoro di cura e come permanga, al di là delle dichiarazioni formali, un modello di conciliazione fondamentalmente al femminile, focalizzato sulle mamme e sul facilitarne il ritorno al lavoro, perpetuandone quindi le conseguenze di svantaggio. Insomma il modello di famiglia che si delinea attraverso le misure previste nella strategia è lontanissimo dal “dual earner-dual carer” che le politiche dell’UE tenderebbero invece a promuovere.
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