Nel nostro viaggio di persone libro abbiamo sperimentato l'uso della memoria e della voce per non dimenticare una pagina di storia italiana: gli anni 70 e crediamo sia utile proseguire in questo percorso...
Lunedi, 18/10/2010 - Immaginate un palazzo rinascimentale nel cuore storico di Roma, in quei vicoli da intreccio dove le facciate delle case sono muri spessi e alti che impediscono la luce; qui, nel Rione Parione, all'interno di un cortile, c'è la sede della casa editrice di Ginevra Bentivoglio, una "donna di carta" – socia editora e persona libro.
Non è la prima volta che le persone libro accompagnano Ginevra nella promozione della sua attività o che Ginevra offra i suoi spazi e il suo tempo per la loro: uno scambio di risorse che rappresenta la specificità della nostra Associazione, di questo delicatissimo "far rete" che costruisce un modello forte di cooperazione, ma aggiungerei più propriamente di "solidarietà".
Questa volta l'occasione è stata l'inaugurazione di una Mostra fotografica sulla Roma degli anni 70, le cui opere sono raccolte in un Catalogo edito dalla Gb EditoriA, appunto.
Un'occasione semplice e difficile insieme: sperimentare un uso diverso delle persone libro facendole diventare il racconto a più voci di una pagina di storia italiana, da una parte, troppo spesso liquidata come "buia" e, dall'altra, l'esplorazione di una romanità per certi versi (molti) già all'epoca sul punto di sparire.
Finora l'esercizio di memoria e l'uso della voce come restituzione-dono delle parole si è limitato ai libri e, a volte, ai testi delle canzoni liberamente scelti dalle persone libro o suggeriti per essere in risonanza con la chiave tematica di qualche evento pubblico, ma è la prima volta che il nostro non dimenticare si è applicato a una pagina di Storia italiana, tra l'altro per alcune di noi – me compresa – radicata nel vissuto e quindi esperienza in prima persona.
Difficile. Per il periodo in se stesso che ha una complessità enorme: ricco di sfaccettature e sicuramente ingombrato da quella lente personale ma anche per la tipologia della documentazione che una ricerca storica richiede.
Perché quando si ha a che fare con la Storia i testi che dicono non sono più solamente i libri: si amplia il repertorio di fonti, si diversificano le tipologie.
Avrei dovuto saperlo (sono o non sono un'ex-bibliotecaria?) che proprio nella letteratura "grigia" spesso la Storia rivela in modo più evidente i suoi volti, ridando una temperatura plausibile a eventi che sono stati "fatti di cronaca" o "fatti privati" o "fatti sociali" prima di essere macerati all'interno del grande classificatore della Storia da scrivere, "quella" che di queste pieghe dimentica il timbro umano per far emergere solo linee e tensioni, ideologie e opinioni secondo il "visto si stampi" in voga.
Per una volta (e sarà la prima, spero, di una lunga serie) la nostra lettura è cambiata colorando la ricerca di un sapore nuovo e anche di un filtro in più: io c'ero in quegli anni, io ho una mia verità da frapporre o integrare alle versioni che i documenti riportano, una verità fatta di emozioni ma anche di dettagli fattuali che cambiano quel quadro d'insieme che la Storia, quando supera la Cronaca, spesso dimentica. E non sempre a ragione quando privilegia una chiave dominante che azzera la pluralità delle cose.
Sono cambiati allora i testi da dire: non solo libri dell'epoca ("Porci con le ali") e quelli che pur anteposti agli anni 70 rappresentarono una Guida di azioni e di pensieri futuri ("Lettere a una professoressa") ma anche libri di oggi che ricostruiscono l'atmosfera di quegli anni ("Otello Metafora"); e accanto testi di canzoni ("Cristo al Mandrione") che oltre ad avere una firma d'autore (Pasolini) contengono le sonorità di un dialetto (meglio sarebbe dire "lingua") che forse i romani nati nel 1922 e dintorni ancora usano, se sono in vita, perché noi delle generazioni successive del "romano" abbiamo conservato solo la cadenza slabbrata e un po' volgare ma non la preziosità pungente di un lessico che sembra ricavato dalla stessa pietra dei sampietrini delle nostre strade.
Sono cambiate le fonti: il Manifesto politico di "Rivolta femminista" (che Carla Lonzi scrisse e ciclostilò nel luglio del 1970), l'epistolario di Aldo Moro assurto a documentazione storica anche quando la lettera scelta ("a Eleonora Moro", la moglie, in data 5 maggio 1978 – ultima testimonianza di una vita che quattro giorni dopo si sarebbe tragicamente conclusa) avrebbe diritto a quella che i latini chiamavano "pietas" reverenza silenziosa che nessun clamore pubblico o storico dovrebbe mai avere il diritto di interrompere.
E, accanto, ancora: un'altra lettera-articolo-denuncia pubblicata sulle pagine del Corriere della Sera in cui Pasolini tuonò con amarezza il suo "j'accuse" che risuona al di là del tempo come un grido etico, inascoltato allora e seppellito dopo nella discarica di Ostia con il suo cadavere.
Sapori. Che sono voci di allora che le nostre voci, riprendendole tramite la memoria, ripetono con l'emozione che si prova di fronte a parole prese in prestito direttamente dalla vita, dove le persone che le hanno pensate e pronunciate sono ben diverse da quelle che esistono nei libri: sono state "vere" e non finzioni narrative.
Avrei voluto dare alla lettera di Moro la voce lenta e intima di chi scrive un addio che non è finzione letteraria; avrei voluto riscattare la sordità che ho avuto all'epoca quando fu - tra le tante - materiale dato in pasto ai giornali e che le diatribe dell'epoca ridussero unicamente a un AUT AUT ideologico: trattare o non trattare; lo Stato con la sua Ragione versus l'uomo con le sue ragioni.
E forse non è un caso che su quel verbo "trattare" ho inciampato: non l'ho detto, è mancata la voce senza più memoria, e se non ci fosse stato il pronto suggerimento di una persona libro al mio fianco avrei guardato in silenzio la platea. Senza riscatto.
Sapori diversi queste parole in prestito, che non sono solo dei libri.
E le battute di un copione cinematografico con le quali abbiamo voluto dedicare un omaggio alle voci tipiche della romanità (Anna Magnani e Aldo Fabrizi) tratte da un film degli anni sessanta (Campo de' Fiori) stanno lì ad indicarci quanto sia grande il campo delle cose da non dimenticare.
Una strada nuova. Difficile.
Chissà se Bradbury avrebbe mai immaginato un'evoluzione in tal senso delle sue persone libro sparse nel bosco con il loro carico pesante di interi volumi a memoria. Il "Sapere" dei libri.
Non tutto quello che ha voce è scritto nei libri.
Ed è stato prezioso che proprio ieri sera, tra chi era venuto ad ascoltarci, ci fossero - a sorpresa - due delle aspiranti persone libro della Sardegna, di quella cellula che sta prendendo forma a Cagliari, sulla spinta semplice di un ascolto estivo che è diventato subito contagio e immediata realtà.
Preziosa la loro presenza, perché è così che questo progetto acquista forma, passo dopo passo. Sperimentando.
E io sono convinta che proprio da quella "assenza di previsione iniziale" derivi questa enorme instancabile libertà di poter diventare la voce di tutto.
Anche di quel "tutto", care persone libro, che non è scritto nei libri.
E se è così, forse è vero che "non dimenticare" può essere pericoloso.
(Oggi il Progetto delle persone libro è davvero dilagante e transregionale: a noi romane e aretine si aggiungono i gruppi di Bari e di Cagliari e domani, 18 ottobre, alla Libreria Feltrinelli di via de Certetani a Firenze, dalle ore 18.00 alle ore 20.00 presenteremo insieme il libro che racconta la nostra storia itinerante).
Lascia un Commento